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Dallo sbarco a Trapani… al Cpt di Torino – Viaggio andata/ritorno, con permanenza in gabbia

Racconto della visita di venerdì 27 giugno 2003 al Cpt di C.so Brunelleschi

Appena entrati ci dirigiamo verso le gabbie dove sono chiusi i migranti. Sappiamo che ci sono 74 migranti provenienti dalla Sicilia (su un totale di 82 rinchiusi, tutti uomini perché le donne sono state trasferite al CPT di via Corelli a Milano). Il loro racconto è quello di un “viaggio”: quasi tutti provengono dal Maghreb (Marocco, Tunisia, Algeria), ma ci sono anche due palestinesi; tutti sono sbarcati in Sicilia e sono stati detenuti per 3 giorni e 2 notti a Trapani, al Serraino Vulpitta, in una sola stanza, dove dormivano a terra, senza bagno; poi sono stati trasferiti in aereo a Torino, senza che nessuno dicesse loro dove li stavano portando; ora sono rinchiusi da 10 giorni all’interno del Cpt di c.so Brunelleschi.

Quasi tutti dichiarano di avere intenzione di raggiungere parenti in regola, soprattutto in Francia e in Germania, fratelli, cugini, nipoti; sono quasi tutti persone che chiedono di spostarsi in luoghi migliori da quello di provenienza, ricongiungendosi ai familiari; persone che non riescono a parlare italiano, quasi tutti al loro primo viaggio: tra noi nessuno parla arabo, allora si appoggiano ai compagni di gabbia lì da più tempo per spiegarci da dove vengono, per chiederci come si fa ad uscire da lì, perché li hanno portati in questo posto, che cosa hanno fatto per essere chiusi in gabbia; persone fermate dalle ferree e armate maglie delle leggi sull’immigrazione della fortezza europea di Schengen.

Dal loro arrivo in Italia non sono mai stati informati della possibilità di poter contattare degli avvocati, neppure durante l’incontro col giudice, arrivato dopo 48 ore di trattenimento al Cpt di Torino con il compito di convalidare (o meno) il trattenimento, momento cruciale in cui i migranti avrebbero potuto dichiarare le proprie ragioni, per fare la domanda di rifugio politico o per motivi umanitari: il giorno precedente il nostro ingresso sono infatti stati liberati tre su quattro ragazzi che sia a Trapani che in udienza con il giudice avevano dichiarato di essere minori. Inoltre durante le udienze non è mai stato presente un interprete né un mediatore culturale, nonostante la nuova convenzione del gestore del Cpt, la Croce Rossa, lo preveda. Infatti i due ragazzi palestinesi, che vorrebbero chiedere l’asilo politico, non hanno capito come fare e non l’hanno chiesto.

Tra gli altri incontriamo Rachid: ha il corpo coperto da 117 punti di sutura, è caduto dalla barca dentro le eliche del motore, buttandosi in mare per fuggire alla cattura; dichiara di essere minore. Gli diciamo che c’è la disponibilità da parte di alcuni avvocati di assisterlo, anche senza compenso, e gli passiamo carta e matita (è vietato introdurre biro) e dopo un minuto compare una lista di tutti coloro che nominano gli avvocati, quasi tutti i rinchiusi in questa gabbia.

Proviamo a spiegare che molti di loro non avranno nessun appiglio legale per pensare di ottenere la liberazione, perché di fatto il loro è un respingimento alla frontiera, neppure un’espulsione, come se non fossero mai entrati in Italia, come se nel cuore di Borgo San Paolo, a Torino, ci fosse la frontiera coi loro paesi (e di fatto corso Brunelleschi lo è, una frontiera: confine d’inciviltà, buco nero dei diritti).

In mezzo alle altre due gabbie c’è la gabbia “rossa” dove mettono i più “difficili”: da questa gabbia era partita domenica 22 giugno la protesta e lo sciopero della fame, erano state divelte le lamiere dei tetti delle 4 baracche; oggi si vedono i segni sui corpi dei 2 uomini che si sono tagliati le braccia e le gambe, non durante tentativi di fuga, ma come atti di autolesionismo. Qui rimangono i cinque detenuti “sopravissuti” ai trasferimenti in altri cpt (Milano) o ai rimpatri effettuati in fretta e furia, per fare posto ai nuovi arrivati da Trapani. Sono gli “anziani”, che conoscono bene l’italiano e i meccanismi del Cpt, per questo li tengono nella gabbia dei “difficili”, per sorvegliarli meglio.

Alla fine della nostra visita, nella notte tra sabato e domenica mattina, le rivolte sono continuate, con incendi delle coperte e dei materassi; durante la trattativa i responsabili dell’ufficio stranieri della questura hanno minacciato che se non fosse tornata la tranquillità, l’atteggiamento della polizia sarebbe diventato più duro.

Ad oggi, lunedì 30 giugno, evidenziamo che la lista di nomi con la nomina degli avvocati consegnata nelle mani della polizia durante il nostro ingresso di venerdì mattina non ha ancora avuto esito, in quanto non ancora pervenuta agli avvocati. Inoltre coloro che si sono dichiarati minori (almeno 6 ragazzi) non sono stati ancora sottoposti all’accertamento radiografico del polso.

Come testimoni delle visite settimanali che si susseguono da circa tre mesi all’interno del Cpt, possiamo dire che questa è stata la più difficile da “tollerare”: ci troviamo di fronte a volti di uomini disorientati e disperati che, dopo essere sopravvissuti al viaggio, sono stati respinti alla frontiera; il loro progetto migratorio è stato interrotto dalla violenza e dalla coercizione messa in atto dalle nostre leggi, senza che potessero sperimentare le loro speranze di una nuova vita in Europa. Le continue rivolte danno il segno della loro richiesta di libertà e della denuncia di ingiustizia: senza il loro protagonismo non saremmo stati in grado di svelare la vera situazione ai media e all’opinione pubblica: tutti coloro che vengono fermati alle nostre frontiere non vengono messi in centri di accoglienza, ma all’interno di centri di detenzione per l’espulsione!

I Cpt del centro-nord dell’Italia sono quelli funzionali e effettivi nel concretizzare la politica dei rimpatri, sono molto efficienti nelle loro funzioni: identificazione, collaborazione con i consolati per organizzare il rimpatrio, logistica e scorte all’interno degli aeroporti.

Ci auguriamo che anche in altre città che vedono la presenza di Cpt si possano attivare delegazioni permanenti di monitoraggio, fondi di solidarietà per la consulenza legale dei detenuti e azioni di denuncia per la loro chiusura, che è l’unico reale obiettivo che dobbiamo perseguire.

Torino, 30 giugno 2003

Gruppo Migranti Torino Social Forum