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Diario di viaggio Idomeni 1

Macao, Dal progetto Quassù la terra è bellissima: viaggio a Idomeni

L’autostrada che da Salonicco porta a Idomeni è molto più decadente di quanto mi potessi aspettare.
Alle vecchie barriere dei caselli ormai in disuso si alternano grossi fabbricati e pompe di benzina abbandonate, scheletri di una crisi economica che tutto ha divorato, alimentata dalle politiche arroganti di un’Europa ormai sempre più divisa. Un’Europa nella quale si chiudono le frontiere e si costruiscono barriere. Un’Europa nella quale la libera circolazione degli individui è un principio, un’idea che si è frantumata contro gli egoismi dei vecchi stati nazione.

Le prime tende le scorgo ben prima di arrivare a Idomeni: l’ultima area di servizio prima del confine con la Macedonia, abbandonata da qualche anno, è diventato uno dei campi “satellite” di Idomeni. Le tende si contano a decine sul selciato e nei prati circostanti. Rallento di colpo perché ci sono bambini ovunque, sia ai lati della carreggiata, sia che attraversano pericolosamente le quattro corsie della strada correndo dietro ai loro fratelli maggiori. Non riesco a rendermi conto di quante persone possano esserci ma si tratta sicuramente di qualche centinaio.

Capisco di essere vicino al campo di Idomeni dalla presenza della polizia. Parecchi veicoli fermi a bordo strada stanno subendo perquisizioni e controlli da parte degli agenti: si tratta sia di auto che di furgoni carichi di aiuti. La tensione è salita dopo che, qualche giorno fa, una dimostrazione lungo il confine è degenerata nella violenza della polizia ai danni di attivisti e migranti e a seguito della quale sono stati arrestati senza ragione apparente una decina di persone.

La prima cosa che si percepisce quando si entra in un campo di questo tipo è l’odore; l’odore tipico di plastica bruciata e legna che pizzica le narici e fa lacrimare gli occhi. Questo odore arriva prima delle immagini perché lo senti già da lontano e a mano a mano che ti avvicini si fa sempre più forte fino a quando ad un certo punto ci sei dentro. Sei immerso nella folla, migliaia di suoni e colori e odori si mischiano, i bambini ti rincorrono e si arrampicano su di te. Entrare a Idomeni fa un po’ questo effetto: un secondo prima sei in una strada decrepita in mezzo al verde e un secondo dopo sei avvolto da una folla sterminata di persone che si muovono disordinatamente intente a fare qualcosa.

Dopo una piccola ricognizione nel campo e un po’ di tempo passato con chi è qui da mesi per avere una panoramica della situazione, monto la tenda. La monto a caso, in un punto non troppo lontano dal gazebo di #OVERTHEFORTRESS, vicino a dove si trova anche la grande Info Tent, dove si coordinano gli attivisti sul campo, e la Tea Tent, dove viene distribuito chai caldo a qualunque ora del giorno.

Il mio nuovo “vicino”, Salah, iracheno che si trova nel campo da un mese e mezzo, mi aiuta col montaggio. Non che ne avessi bisogno ma è stato un gesto che mi ha permesso di mettere tutto a fuoco. Fino a quel momento avevo vissuto una sensazione di smarrimento costante: avevo si parlato con delle persone, iniziato a scambiare contatti e pianificare le giornate successive, ma per qualche motivo la vivevo in modo quasi passivo. Ora invece avevo un nome, il mio vicino di tenda aveva un nome (ed anche due splendidi bimbi di cui un neonato di appena quattro mesi) e, nonostante non parlasse mezza parola di inglese, siamo riusciti a comunicare col linguaggio universale dei gesti e quando anche i gesti erano di difficile interpretazione c’erano i sorrisi e i sorrisi dei suoi bimbi e tutto intorno per un attimo si è fermato.

Ok, sono a Idomeni, sono esattamente dove dovrei essere e so esattamente cosa devo fare…

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Progetto Da quassù la Terra è bellissima