Un decreto del 28 febbraio 2013, adottato dal Presidente del Consiglio dei ministri Monti ha stabilito la “Disciplina della cessazione delle misure umanitarie di protezione temporanea concesse ai cittadini dei Paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale nel periodo 1° gennaio – 5 aprile 2011”. E’ bene precisare innanzitutto che il decreto si riferisce soltanto a coloro che hanno conseguito un permesso di soggiorno per motivi umanitari in base all’art. 20 del testo unico n. 286 del 1998, giunti in Italia prima del 5 aprile del 2011 e non a tutti coloro che sono in possesso, o sono ancora in attesa di ricevere, un permesso di soggiorno per motivi umanitari in base all’art. 5 comma 6 dello stesso testo unico, o un permesso di soggiorno per asilo o protezione sussidiaria, dunque la maggior parte delle persone, in genere sub-sahariani, che sono ancora in accoglienza nei centri gestiti dalla protezione civile, per le quali la circolare del 18 febbraio 2013 ha stabilito la proroga delle misure di accoglienza fino alla consegna da parte delle questure dei permessi di soggiorno e dei documenti di viaggio, dopo ritardi che in molti casi hanno superati persino i dodici mesi. Ritardi che hanno confermato le molteplici inadempienze dell’Italia alle direttive comunitarie in materia di accoglienza, come i tribunali tedeschi hanno già rilevato, negando il trasferimento in Italia di richiedenti asilo in base al Regolamento Dublino 2 n.343/2003/CE.
Il decreto (DPCM) del Presidente Monti riguarda dunque le persone, in gran parte migranti tunisini, già interessati dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 aprile 2011, “concernente le misure umanitarie di protezione temporanea da assicurarsi nel territorio dello Stato a favore di cittadini appartenenti ai Paesi del Nord Africa affluiti nel territorio nazionale dal 1° gennaio 2011 alla mezzanotte del 5 aprile 2011”, che all’articolo 2 individuava “le condizioni per il rilascio, ai cittadini sopraindicati, del permesso di soggiorno per motivi umanitari della durata di sei mesi, ai sensi dell’articolo 11, comma 1, lettera c-ter, del D.P.R. n. 394 del 1999. Successivamente i D.P.C.M. 6 ottobre 2011 e 15 maggio 2012, disponevano la proroga del termine di scadenza dei predetti permessi di ulteriori sei mesi.
Il decreto firmato da Monti il 28 febbraio di quest’anno e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.60 del 12 marzo scorso richiama la Decisione n. 575/2007/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 maggio 2007 che istituisce il Fondo europeo per i rimpatri per il periodo 2008-2013, nell’ambito del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori». Le premesse del provvedimento adottato dal governo tecnico, ormai alle sue ultime battute ( almeno si spera), chiariscono bene il tipo di approccio che questo governo, e le forze che lo hanno sostenuto, hanno mantenuto nei confronti dei giovani che sono arrivati dai paesi del nord africa a partire dal febbraio del 2011, dopo l’avvio di quelle che, spesso a torto, sono state definite come primavere arabe, processi spesso cruenti ed ancora in piena transizione, come conferma il disperato suicidio di un giovane nel centro di Tunisi ancora pochi giorni fa e la situazione di generale instabilità che caratterizza tutto il Maghreb, dove sono sempre più a rischio i diritti umani e le libertà democratiche. Eppure il governo Monti, che in questi anni ha trattato con la Tunisia per inasprire gli accordi di riammissione e per incrementare la collaborazione di polizia, dà atto nell’ultimo decreto“dei riflessi positivi che la concessione delle misure umanitarie di protezione temporanea ha determinato sia in relazione all’inserimento socio-lavorativo di un elevato numero di migranti beneficiari delle stesse, sia nell’attuazione della piu’ complessiva strategia di rientro dall’emergenza umanitaria Nord-Africa; del consolidamento del processo democratico in corso in Tunisia e dei proficui rapporti di collaborazione in essere con le autorita’ del Paese nordafricano ai fini di un piu’ efficace governo del fenomeno migratorio”. Si riconosce in altri termini che la Tunisia rimane un partner affidabile nelle politiche di rimpatrio forzato e di blocco dell’immigrazione irregolare, malgrado un quadro politico che è sotto gli occhi di tutti, come nel caso dell’assassinio politico del leader dell’opposizione democratica Chokri Belaid. La Tunisia infatti continua a permettere i voli di rimpatrio collettivo con riconoscimento sommario da parte dei consoli di turno, direttamente negli aeroporti, dopo il trattenimento illegale in centri informali, senza che gli espellendi possano presentare richiesta di asilo o fare valere qualsiasi diritto di difesa. Esattamente gli stessi accordi negoziati tra la dittatura di Ben Alì e il ministro dell’interno Maroni nel 2011.
Ma per il governo Monti lo stato di emergenza nordafrica e’ scaduto il 31 dicembre 2012 e dopo l’ordinanza del Capo Dipartimento della protezione civile n. 33 del 28 dicembre 2012 “con la quale si e’ provveduto a regolare la chiusura dello stato di emergenza e il rientro, nella gestione ordinaria, da parte del Ministero dell’interno e delle altre amministrazioni competenti, degli interventi concernenti l’afflusso di cittadini stranieri sul territorio nazionale, sarebbero venuti meno “i presupposti per un ulteriore prolungamento della durata delle misure umanitarie di protezione temporanea. Eppure quell’ordinanza non riguarda, se non in minima parte, i cittadini tunisini giunti fino al 5 aprile del 2011, ma concerne in misura ben maggiore i profughi sub sahariani giunti successivamente dalla Libia ed è grave che il governo Monti prima confonda le due categorie di profughi che provengono da contesti ben diversi, per discriminare alla fine proprio i tunisini, che oggi sono quasi assenti nelle strutture di accoglienza. Dunque l’emergenza nord africa sarebbe cessata a colpi di decreti ed ordinanze adottati dalle autorità italiane, mentre la situazione nei paesi di provenienza si aggrava ogni giorno di più ed anche per questa ragione il numero degli sbarchi in Italia, tanto dalla Libia che dalla Tunisia e dall’Egitto, appare sensibilmente ridotto rispetto agli anni precedenti.
Il governo Monti, ormai in carica soltanto per l’ordinaria amministrazione, ha ritenuto dunque “ nel rispetto dei principi e delle norme nazionali e internazionali che regolano la materia, di dover disciplinare le modalita’ di cessazione delle suddette misure ( di protezione), stabilendo che ”I cittadini stranieri beneficiari delle misure di protezione umanitaria concesse ai sensi del citato decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 5 aprile 2011, possono presentare entro il 31 marzo 2013 domanda di rimpatrio assistito nel Paese di provenienza o di origine”. Entro il medesimo termine, “gli stessi cittadini stranieri possono presentare domanda di conversione dei permessi di soggiorno per motivi umanitari in permessi per lavoro, famiglia, studio e formazione professionale”. Il decreto prevede poi come unica alternativa, per chi non riesce a convertire il permesso di soggiorno, il cd. rimpatrio assistito previsto dall’art. 14-ter del Testo Unico 286 del 1998, come aggiornato nel corso del 2011 con la legge n.129 proprio per dare attuazione alle direttive comunitarie in materia di rimpatrio assistito.
Si applicano così le disposizioni di cui al comma 3 dell’art. 14-ter del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e dunque “Nel caso in cui lo straniero irregolarmente presente nel territorio e’ ammesso ai programmi di rimpatrio di cui al comma 1, la prefettura del luogo ove egli si trova ne
da’ comunicazione, senza ritardo, alla competente questura, anche in via telematica.
Fatto salvo quanto previsto al comma 6, e’ sospesa l’esecuzione dei provvedimenti
emessi ai sensi degli articoli 10, comma 2, 13, comma 2 e 14, comma 5-bis ( respingimenti ed espulsioni n.d.a.). E’ sospesa l’efficacia delle misure eventualmente adottate dal questore ai sensi degli articoli 13, comma 5.2, e 14, comma 1-bis. La questura, dopo avere ricevuto dalla prefettura la comunicazione, anche in via telematica, dell’avvenuto rimpatrio dello straniero, avvisa l’autorità giudiziaria competente per l’accertamento del reato previsto dall’articolo 10-bis, ai fini di cui al comma 5 del medesimo articolo.
In base all’art. 6 del Decreto del Presidente del Consiglio Monti del 28 febbraio scorso, “Nei confronti di coloro che non abbiano presentato entro i termini su indicati domanda di rimpatrio assistito, ovvero richiesta di conversione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, sono adottati, caso per caso, i provvedimenti di espulsione ed allontanamento dal territorio nazionale previsti dalla legislazione vigente”. A meno che non si tratti di
a) soggetti in possesso dei requisiti previsti dall’art. 19 comma 2 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286;
b) soggetti che possono dimostrare la sussistenza di gravi motivi di salute che ne impediscono il rientro nel Paese di origine, per il periodo in cui perdura tale stato;
c) soggetti che possono dimostrare la sussistenza di gravi ragioni di carattere umanitario che rendono impossibile o non ragionevole il rimpatrio;
d) componenti di nuclei familiari con minori che frequentano la scuola fino al termine dell’anno scolastico.
Il Decreto del 28 febbraio fissa poi, con l’art.3, le modalità di attuazione dei programmi di rimpatrio assistito
“I cittadini stranieri di cui all’articolo 1, comma 2, possono essere ammessi a uno dei programmi di rimpatrio volontario e assistito promossi dal Ministero dell’interno attraverso il Fondo europeo per i rimpatri, nell’ambito della programmazione annuale 2011 e 2012.
2. La domanda di adesione ai programmi di rimpatrio volontario di cui al comma 1 e’ presentata dall’interessato, entro i termini fissati dall’articolo 1, comma 2, ai soggetti incaricati dell’attuazione degli interventi di rimpatrio. Tali soggetti assicurano anche l’informazione sulle procedure da seguire”.
Secondo l’OIM, “Il programma è rivolto agli stranieri arrivati in Italia dal 1 gennaio 2011 ospitati in una struttura di accoglienza gestita dalla struttura commissariale per l’emergenza migranti e appartenenti alle seguenti categorie:
– Richiedenti asilo;
– Richiedenti asilo denegati, entro dei termini per presentare ricorso;
– Titolari di un permesso per protezione internazionale che rinunciano allo status;
– Titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari in corso di validità di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 aprile 2011;
– Titolari di un permesso di soggiorno per motivi umanitari;
Dal programma sono esclusi:
– Gli stranieri che, pur essendo giunti in Italia dal 1 gennaio 2011, non sono più ospiti di strutture di accoglienza”. Non si comprende adesso, alla luce degli ultimi provvedimenti adottati dal governo se i programmi di rimpatrio assistito potranno avere come destinatari migranti che non sono attualmente ospiti nel sistema di accoglienza gestito in regime di prorogatio da parte della Protezione civile.
I programmi di rimpatrio assistito, finanziati dall’Unione Europea e gestiti dall’OIM prevedono comunque la possibilità di ritornare nel paese di origine con un biglietto aereo, un’indennità da 400 euro a persona (consegnata solo al varco della frontiera) e una reintegrazione da 1.100 euro (una per nucleo familiare e concessa esclusivamente una volta arrivati a destinazione).Questo, secondo quanto dichiarato dall’OIM. “ La competenza di tale progetto straordinario è della Protezione Civile e continuerà a essere attuato, fino al 30 giugno 2013, da Oim a cui vanno inviate le segnalazioni attraverso il sito internet”.
In realtà, malgrado le somme di danaro offerte ai migranti, il rimpatrio volontario “assistito” non rappresenta una alternativa credibile per la maggior parte delle persone attualmente in possesso di un permesso di soggiorno per motivi di protezione temporanea ex art. 20 del testo unico 286 del 1998, che vivono e lavorano in Italia da oltre due anni, ma che nella maggior parte dei casi non sono “ospiti in strutture di accoglienza” o non si trovano nelle condizioni di convertire il loro permesso di soggiorno, attesa la difficoltà di trovare su un mercato del lavoro sempre più in crisi. E’ sempre più difficile infatti trovare qualcuno che sia disposto a formalizzare un contratto di lavoro e poi un contratto di soggiorno con i requisiti ormai irraggiungibili fissati, prima dalla legge Bossi-Fini, e poi ulteriormente inaspriti con i pacchetti sicurezza di Maroni nel 2009 e nel 2011. A meno di non ricorrere ai soliti venditori di carte false, con il rischio di finire sotto processo, poi in galera e quindi nei CIE, per essere comunque espulsi, come è successo a tanti che sono stati costretti a impegnare tutti i loro risparmi per “comprarsi” un contratto di lavoro o una dichiarazione di disponibilità dell’alloggio. Persone costrette a lavorare come schiavi, in Italia “in nero” da almeno due anni, che per rinnovare o convertire il permesso di soggiorno hanno dovuto piegarsi al ricatto di chi gli prospettava a caro prezzo l’unica possibilità di restare legalmente nel nostro paese. Ma sarà ben difficile che i migranti provenienti dall’emergenza nord-africa, arrivati in Italia dal 1 gennaio al 5 aprile 2011 accettino il rimpatrio assistito dopo avere subito mesi di pratiche illegali di detenzione, prima a Lampedusa e poi in altre strutture di pseudo accoglienza, ed essere stati abbandonati dallo stato, esposti ad ogni forma di sfruttamento e di abusi.
Secondo quanto dichiarato da un rappresentante dell’OIM alla Stampa, al 15 marzo del 2013, «In tutto abbiamo ricevuto 259 domande su un totale in Italia di circa 26 mila profughi”. In molti casi poi, molti dei profughi giunti dalla Tunisia nei mesi di febbraio, marzo e aprile del 2011 sono già destinatari di provvedimenti di respingimento differito adottati dalla Questura di Agrigento e quasi sempre i loro nominativi sono stati trasmessi dalla polizia alla procura di Agrigento per l’apertura di un procedimento penale ai sensi dell’art. 10 bis del T.U. n.286 del 1998, come aggiornato dalla legge 94 del 2009 con la quale Maroni ed il governo Berlusconi introdussero il reato di immigrazione clandestina, oltre sei mila procedimenti penali aperti in pochi mesi nel corso della primavera del 2011 dalla procura di Agrigento come atti dovuti rispetto alla segnalazione di migliaia di “notizie di reato” da parte dei nuclei interforze antimmigrazione, notizie di reato che riguardavano in gran parte persone poi ammesse alla protezione umanitaria o temporanea, se non addirittura riconosciute come meritevoli del diritto di asilo o della protezione sussidiaria. Oggi dunque, con il provvedimento adottato dal governo Monti il 28 febbraio scorso, alla fine di marzo, tra pochi giorni dunque, migliaia di profughi dalla Tunisia, giunti in Italia fino al 5 aprile del 2011, se non presenteranno avendone i requisiti una richiesta di conversione del permesso di soggiorno, potrebbero essere immediatamente suscettibili di allontanamento forzato previo internamento nei famigerati centri di identificazione ed espulsione italiani, o peggio in uno dei tanti luoghi informali di trattenimento amministrativo che le forze di polizia utilizzano quando si tratta di dare corso a misure di allontanamento forzato verso la Tunisia.
Dai programmi di rimpatrio assistito, secondo quanto si apprende dal sito ufficiale dell’OIM sembrerebbero comunque esclusi i migranti che non siano più ospiti in strutture di accoglienza. Dunque per la maggior parte dei tunisini giunti nel 2011 fino al 5 aprile di quell’anno l’alternativa che si prospetta rimane solo la conversione del permesso di soggiorno per protezione temporanea, ottenuto in base all’art. 20 del T.U. 286 del 1998, o la stipula di un contratto di lavoro, e quindi di soggiorno. Qualora ciò non fosse possibile, la strada segnata dal governo Monti è quella della clandestinità, magari con il passaggio in un altro paese europeo, come sta già accadendo e come i partner europei lamentano da tempo al punto da minacciare una sospensione del Regolamento sulle frontiere Schengen n.562 del 2006 sulla libera circolazione all’interno dei confini europei.
Le scelte praticate dalle autorità amministrative e dai diversi governi nei confronti dei migranti tunisini giunti in Italia dal gennaio del 2011 appaiono chiaramente discriminatorie anche rispetto al trattamento riservato ai profughi subsahariani sbarcati in Italia dopo essere partiti dalla Libia a partire dall’aprile di quello stesso anno. Si tratta di persone che in molti casi sono stati trattenuti illegalmente nel CPSA (Centro di primo soccorso ed accoglienza) di Lampedusa nell’estate del 2011. Mentre i permessi di soggiorno per motivi umanitari sono stati prorogati ancora di recente, per coloro che vengono definititi “profughi libici” anche se quasi nessuno è cittadino libico, per coloro che sono giunti dalla Tunisia, soprattutto per quelli arrivati dopo il 5 aprile 2011, nessuna possibilità di ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, ma ancora la prospettiva di altra detenzione arbitraria e di rimpatri sommari, che violano il divieto di espulsioni collettive, questo grazie agli accordi conclusi da Maroni nel suo viaggio a Tunisi il 3-5 aprile del 2011. Accordi che il governo Monti ed il ministro dell’interno Cancellieri si sono affrettati a riconfermare, fornendo alla Tunisia motovedette e tecnologie militari per intensificare la guerra all’immigrazione “illegale”.
Si apre in questi giorni una nuova fase politica, che sarà caratterizzata a lungo dall’incertezza degli equilibri parlamentari e dalla separatezza, se non irresponsabilità, delle forze di polizia nella gestione delle politiche di sicurezza e in questo ambito delle procedure di trattenimento e di rimpatrio dei migranti irregolari. Una gestione poliziesca delle pratiche relative all’ingresso ed al soggiorno dei migranti che potrebbe proseguire oltre, anche dopo la nomina di un nuovo ministro dell’interno. Una situazione nella quale non è ipotizzabile che a breve possano essere cancellate le vergognose norme introdotte dalla legge Bossi-Fini e poi ulteriormente peggiorate dai pacchetti sicurezza voluti da Maroni nel 2009 e nel 2011. Norme che sono incorse in severe censure da parte della Corte costituzionale ( ad esempio sulla cd. aggravante di clandestinità) e dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea ( caso El Dridi sui rimpatri forzati), mentre la prassi dei respingimenti collettivi è stata sanzionata dalla Corte Europea dei diritti dell’Uomo ( caso Hirsi). Non appena sarà costituito un nuovo governo si dovranno adottare al più presto misure che per via gerarchica incidano efficacemente sulle prassi applicate dalla polizia, soprattutto per
a) Consentire il rinnovo di tutti i permessi di soggiorno per motivi di protezione temporanea, ex articolo 20 del T.U. sull’immigrazione, in analogia a quanto già disposto per i permessi di soggiorno rilasciati per motivi di protezione umanitaria ex art. 5 co.6 dello stesso Testo Unico;
b) Prorogare le misure di accoglienza attualmente in corso fino a quando non saranno effettivamente consegnati tutti i documenti di soggiorno ed i titoli di viaggio e completare tutte le procedure di integrazione e sostegno previste in favore degli immigrati tutti provenienti dal Nordafrica dal gennaio del 2011 in poi;
c) Stabilire l’immediato effetto sospensivo dei ricorsi contro i dinieghi degli status di protezione o di asilo, e limitare a sei mesi, come impone la direttiva comunitaria 2008/115/CE sui rimpatri, il termine massimo di trattenimento nei centri di identificazione ed espulsione (CIE) in attesa di una modifica legislativa che li chiuda del tutto; rendere “effettive” e non meramente “cartacee” le convalide giurisdizionali e le proroghe delle misure di trattenimento amministrativo, come impone la giurisprudenza della Corte di Cassazione che stabilisce una interpretazione della legge costantemente disattesa dalle questure.
d) Non ricorrere più alla detenzione dei migranti appena sbarcati in strutture di accoglienza informali, come il centro di prima accoglienza e soccorso di Pozzallo, strutture chiuse e dalle quali si possa poi essere rimpatriati, soprattutto in Egitto ed in Tunisia senza avere accesso alla procedura di asilo e senza potere esercitare i più elementari diritti di difesa;
e) Favorire il trasferimento immediato di tutti i richiedenti asilo in centri di accoglienza aperti come i CARA, e raddoppiare l’attuale capienza delle strutture di accoglienza dei CARA e del sistema degli SPRAR, evitando luoghi di concentramento come il mega Cara di Mineo (CT) e senza scaricare soltanto sugli enti locali – come si è fatto finora- gli oneri di mantenimento, con particolare riferimento ai soggetti vulnerabili ed ai minori non accompagnati.