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Emilia-Romagna – Il lavoro di cura ed assistenza svolto dalle donne migranti

Intervista a Verica Tretu, assistente familiare

Secondo i dati delle prefetture, in Emilia Romagna queste persone rappresentano la metà dei cittadini stranieri regolarizzati attraverso l’ultima sanatoria. Ma la maggior parte delle collaboratrici familiari svolge il proprio lavoro in nero, perché al termine della sanatoria, chiusasi nel novembre del 2002, la richiesta di lavoro per colf e badanti non si è esaurita.

Una ricerca promossa dalla Regione Emilia Romagna e curata dall’Irs di Milano in collaborazione con l’Ausl di Ravenna evidenzia che una fetta sempre più consistente dell’attività di cura e assistenza alle persone anziane è rappresentata dal mercato privato formale e informale, composto per la maggior parte da cittadine straniere. Più Precisamente Dalla ricerca emerge che il 21,5 % degli anziani ultrasettantacinquenni residenti in ER fruisce di assistenza privata a pagamento, sostenendo una spesa media mensile di 570 euro.

Nel 73,2% dei casi l’assistente domiciliare viene individuata attraverso canali informali, come gli amici e i conoscenti. Nel 90% si tratta di una donna proveniente dall’Est europeo, in media di 41 anni. Quando l’impegno prestato è continuativo (2 casi su 3), la spesa media delle famiglie si aggira intorno ai 900-1000 euro al mese.
Tre datori di lavoro su 4 affermano di aver regolarizzato un lavoratore straniero con la sanatoria.

Al convegno che si è tenuto giovedì 15 aprile 2004 a Bologna abbiamo intervistato Verica Tretu, un’assistente familiare che lavora a Brisighella, in provincia di Ravenna.

R: Sono in Italia da circa sei anni. Quando ho ricevuto la proposta di lavoro per assistere una famiglia a Brisighella ero a Padova, dove ho interrotto il lavoro. Mi hanno fatto una proposta di lavoro con la promessa di mettermi in regola e da allora lavoro sempre lì. Sono riuscita ad entrare nelle quote di ingresso dell’anno 2000, che sono state poche.

D: Quanto dura il suo attuale permesso di soggiorno?

R: Il primo soggiorno è stato di un anno, poi di due anni e ad agosto devo chiedere il rinnovo. Spero che me rinnovino per più tempo perché le pratiche burocratiche sono molto impegnative.

D: Che tipo di attività svolge nel suo lavoro?

R: Devo seguire due persone nella stessa famiglia: una autosufficiente di 83 anni molto difficile, e l’altra non autosufficiente della stessa età. Devo dire che psicologicamente è più pesante il lavoro con la persona non autosufficiente che con quella che non lo è, e che richiede invece un’assistenza continua. Io abito presso di loro, inizialmente non avevo nemmeno una camera, ma poi sono riuscita ad ottenerla dopo diverse richieste. Ho dovuto pretenderlo, anche perché questa è la nostra vita e se intendiamo restare più tempo possibile è necessario che si crei le condizioni adatte, altrimenti non possiamo farcela.

D: Qual è il suo tempo di lavoro?

R: Non si smette mai di lavorare, e ovviamente non sono rispettate le ore scritte nel contratto perché c’è sempre da fare. Io non ho solo la responsabilità delle due persone ma di tutta la casa: le spese, le medicine, tutto quanto. Ho la responsabilità di tutta la gestione della vita e della casa delle due persone.

D: Come sono organizzati i momenti di tempo libero?

R: Da questo punto di vista sono forse più fortunata di altri perché avendo la totale gestione della casa posso scegliere autonomamente quando uscire. Secondo il contratto avrei un giorno libero alla settimana diviso in due pomeriggi. Per quanto riguarda invece le ferie, previste dal contratto, sono di un mese all’anno, che io uso per tornare in Moldavia dove ho due bambini.

D: Cosa potrebbe migliorare la qualità della vita e delle condizioni di lavoro delle assistenti familiari straniere?

R: A mio avviso c’è bisogno di un sostegno, di un punto di riferimento che a noi manca completamente. L’ ho proposta anche al Convegno perché mi auguro che si agisca in tal senso. Questa persona potrebbe fare tante cose soprattutto per noi ma anche per le persone che “badiamo”. questa figura dovrebbe essere presente dall’inizio del rapporto di lavoro. Bisogna considerare anche che noi non sappiamo quando può finire il lavoro. Quando il lavoro finisce noi ci troviamo anche senza casa e avremmo bisogno di qualcuno a indirizzarci e aiutarci, anche per far riconoscere i diplomi e titoli di studio che noi abbiamo conseguito nel nostro paese.

L’ingaggio di Verica Tretu ha seguito un percorso più unico che raro, ossia l’assunzione tramite quote emanate dal Decreto Flussi.

Ma che ne è invece di quelle famiglie che desiderano assumere una collaboratrice domestica o assistente familiare?
Sono moltissime le lettere di ascoltatori e visitatori di Melting Pot Europa che scrivono alla redazione per sapere come “mettere in regola” la propria colf oppure l’assistente del familiare anziano. Ebbene, la legge Bossi-Fini non prevede alcun tipo di emersione dal lavoro nero, pertanto tutte le cosiddette colf e badanti assunte a sanatoria conclusa sono costrette a restare irregolari, clandestine.

La richiesta che fanno da sempre associazioni e sindacati è di mantenere aperta una regolarizzazione permanente. Una soluzione di buon senso per ridimensionare realmente la clandestinità. Magari ripristinando anche il cosiddetto “sponsor” ovvero la possibilità di entrare in Italia per ricerca lavoro per un determinato periodo, opportunità abolita dalla legge Bossi Fini.

Anche la Regione Emilia-Romagna ha avanzato al Governo nel dicembre scorso alcune richieste, tra le quali la richiesta di destinare esclusivamente all’ER 2000 posti per assistenti famigliari all’interno delle quote stabilite dal decreto flussi; della possibilità di dedurre completamente gli oneri contributivi e almeno in parte le retribuzioni e la richiesta della reintroduzione per questa categoria professionale della figura dello “sponsor” prevista prima della “Bossi-Fini”.

Si tratta di requisiti per poter garantire una parziale sicurezza alle cittadine straniere a cui sempre più si rivolgono le famiglie italiane per sgravare la struttura della famiglia da una serie di problemi che caratterizzano la società. Infatti la precarietà lavorativa, l’erosione del potere d’acquisto dei salari, l’aumento del tempo giornaliero di lavoro, insieme al progressivo aumento dell’invecchiamento della popolazione, della disabilità e di conseguenza del bisogno di cura, fanno sì che la famiglia sia obbligata sempre più a ricorrere ad un’assistenza informale ad un costo che, si calcola, è circa un terzo di quello del mercato regolare e formale, per non parlare poi dell’alto costo dei servizi pubblici.

Ma certamente le condizioni della maggior parte delle collaboratrici domestiche sono ancora lontane da un lavoro con diritti e tutele garantite, e il caso di Verica Tretu rappresenta purtroppo una situazione minoritaria.