Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Flussi 2006 – Commento al nuovo schema di decreto bis

Tempi di attesa per le procedure, allargamento delle quote, presentazione e smaltimento delle domande.

Il nuovo governo, come da programma elettorale, ha annunciato l’intento di modificare la legge Bossi -Fini (l. 30 luglio 2002, n. 189) e di introdurre ulteriori novità quali, ad esempio, il disegno di legge in materia di cittadinanza (che non mancheremo di commentare) e il famoso decreto flussi (Schema di decreto del presidente del Consiglio dei Ministri concernente la programmazione aggiuntiva dei flussi d’ingresso di lavoratori extracomunitari non stagionali nel territorio dello Stato per l’anno 2006). Già prima dell’estate si era manifestata la volontà del governo, in particolare da parte del Ministro per la solidarietà sociale Paolo Ferrero, di allargare le quote.
Diciamo subito, per evitare equivoci e, soprattutto, per evitare drammatici disguidi da parte degli immigrati, che l’allargamento numerico delle quote non è né una sanatoria, né una regolarizzazione.

Il 14 marzo scorso sono state presentate, in occasione del decreto flussi, circa 540 mila domande di autorizzazione all’ingresso dall’estero, basate sul teorico presupposto della presenza all’estero dei lavoratori stranieri. Poiché le quote disponibili non erano sufficienti, la decisione del governo è stata quella di allargare le quote.
Ciò, innanzitutto, non comporta la possibilità, per chi è già in Italia in condizione irregolare e lavora (in nero) presso il datore di lavoro che aveva presentato la domanda, di regolarizzare direttamente la propria posizione di soggiorno rimanendo qui.
Va infatti sottolineato che rimane fermo il criterio per cui questi lavoratori, che non dovrebbero essere presenti in Italia, dovranno attendere la lunga procedura di rilascio dell’autorizzazione all’ingresso e, in occasione del rilascio del nulla osta nei confronti del datore di lavoro e della sua trasmissione al lavoratore (teoricamente presente all’estero), costoro potranno presentarsi ai consolati italiani competenti per territorio e richiedere il rilascio del visto di ingresso per motivi di lavoro subordinato. Questo vuol dire ritornare al proprio paese rischiando un’ espulsione.

Ritornare nel proprio paese da clandestini
La quasi totalità dei lavoratori interessati sarà pertanto costretta ad uscire clandestinamente dall’Italia, così come vi è entrata (verosimilmente ricorrendo a vari faccendieri), evitando accuratamente di lasciare tracce della propria presenza in Italia (quali il timbro di uscita sul passaporto dallo spazio Schengen). L’interessato dovrà poi attendere tutto il tempo necessario (molto secondo l’esperienza pratica maturata in questi anni) per ottenere presso il consolato italiano il rilascio del visto di ingresso. Una volta compiuto questo percorso rocambolesco, i lavoratori potranno finalmente rientrare dalla porta principale essendo rimasti nel frattempo senza lavoro e senza reddito per mesi, con il rischio che, nel frattempo, se hanno continuato a soggiornare irregolarmente in Italia, siano colpiti da un provvedimento di espulsione che impedirebbe il perfezionamento della procedura di autorizzazione all’ingresso dall’estero.

Una procedura lunga, con molti rischi
Bisogna inoltre considerare che proprio la lungaggine di questo tipo di procedura comporterà che questi lavoratori siano di fatto costretti a convincere il datore di lavoro a mantenere la sua disponibilità all’assunzione; e ciò perché, se egli nel frattempo cambia idea e rinuncia alla domanda, gli stessi perdono la possibilità di entrare in Italia regolarmente.
Se consideriamo che nella quasi totalità dei casi si tratta di lavoratori (soprattutto domestici) che stanno già lavorando in condizioni irregolari, e se consideriamo che l’autorizzazione all’ingresso può essere rilasciata solo per il datore di lavoro che aveva presentato la domanda – non per un altro diverso, subentrato successivamente – ecco che nel lungo tempo di attesa per ottenere l’autorizzazione, costoro continueranno a rischiare l’espulsione. I rischi possono consistere in un controllo di polizia sul territorio italiano o in occasione del transito alla frontiera. Se questi lavoratori si trovano in condizioni di lavoro difficili, di sfruttamento, dovranno continuare a sopportare queste condizioni sperando che il datore di lavoro mantenga – per un tempo indefinito – questa sua disponibilità all’assunzione.

Il ruolo del datore di lavoro
Il permesso di soggiorno potrà essere rilasciato solo se il datore di lavoro che aveva presentato la domanda di assunzione dall’estero, si recherà presso lo Sportello Unico a perfezionare il contratto di soggiorno (art. 5 bis, T.U. sull’Immigrazione) e procederà all’assunzione del lavoratore autorizzato all’ingresso.
Diversamente, se quel datore di lavoro dovesse cambiare idea e non fosse più disponibile a perfezionare il rapporto di lavoro all’atto del rilascio dell’autorizzazione, tutto verrebbe a cadere.
Esempio pratico – Ci è stato segnalato il caso di una badante costretta a lavorare 14 ore al giorno (compresi il sabato e la domenica) per un anziano a fronte di una retribuzione di circa 500 euro mensili; qualora la signora volesse conservare la speranza di perfezionare questa procedura d’ingresso, dovrà rimanere in queste condizioni per chissà quanto tempo. Se l’interessata dovesse fuggire da questo luogo di sofferenza per cercare altre opportunità, automaticamente la sua domanda verrebbe a decadere o comunque la procedura non verrebbe più perfezionata da quello stesso datore di lavoro. Peraltro non vi sarebbe più possibilità di sostituire a quella un’altra domanda.

Cosa comporta l’allargamento delle quote
Allargare le quote significa aumentare anche il peso e la lungaggine della procedura infatti il rilascio di 170 mila autorizzazioni all’ingresso dall’estero richiede una certa mole di lavoro da parte degli uffici competenti. Tuttora si hanno poche e scarne notizie delle autorizzazioni rilasciate finora (quasi tutte per lavoro stagionale). Inoltre le procedure sono ancora in corso perché una volta rilasciato il nulla osta c’è l’ulteriore tempo di attesa per il rilascio del visto di ingresso da parte del consolato competente.
Passando da 170 mila a 350 mila autorizzazioni, proviamo a immaginare quanto tempo ci vorrà perché gli Sportelli Unici delle Prefetture smaltiscano tutte le domande. Non è fantascienza immaginare che se il governo si dovesse limitare a gestire un decreto flussi allargato numericamente, ma con la procedura ordinaria, probabilmente non basterà tutto il 2007 per smaltire le quote per il 2006. Questo immaginando che i datori di lavoro mantengano la disponibilità all’assunzione e che il lavoratore non venga colpito da un provvedimento di espulsione o sia intercettato alla frontiera.
Si può capire quindi come sia fortemente aleatoria la possibilità di perfezionare questa procedura.

Quando il rientro a casa è molto rischioso
La situazione si complica ulteriormente quando il lavoratore proviene da paesi transoceanici, che si possono raggiungere soltanto con un viaggio per nave o per aereo. Questo per il semplice motivo che le frontiere marittime e aeroportuali sono molto più controllate e, quindi, l’uscita dal territorio (senza lasciare tracce della presenza in Italia e senza rischiare l’espulsione) è ancora più difficile di quanto non lo sia per chi deve invece recarsi in uno dei paesi dell’est europeo varcando solo le frontiere terrestri. Dal punto di vista legale naturalmente non c’è differenza, né per quanto riguarda la normativa applicabile né per quanto riguarda i rischi teorici e pratici. Tuttavia è certo che una cosa è andare a prendere il visto di ingresso in Moldova o Romania, altro è invece andare a prenderlo in Senegal oppure in Brasile.
Per fare un esempio, proprio qualche giorno fa ci si è presentato il caso di una lavoratrice moldava che aveva utilizzato il decreto flussi 2005 e pensava di avercela fatta, perché il suo datore di lavoro aveva ottenuto all’inizio di quest’anno il nulla osta, lei era quindi rientrata nel suo paese, trovando il modo per evitare che sul suo passaporto fossero applicati timbri di uscita dallo spazio Shengen, ed aveva ottenuto all’inizio dell’estate il sospirato visto di ingresso per lavoro, cosicché è finalmente entrata regolarmente in Italia e ha chiesto –tramite l’UTG- alla competete questura il rilascio del permesso di soggiorno. Dopo lunga attesa e reiterati tentativi di ottenere risposta, si è vista notificare un avviso di procedimento di diniego del permesso perché “dai controlli effettuati è risultato che è uscita dall’Italia con il volo XX in data…. e che quindi era irregolarmente presente sul territorio nazionale”, la qual cosa è sufficiente per considerare l’autorizzazione già rilasciata come annullabile perché non sussistevano i presupposti per rilasciarla… Per l’appunto, tutto il traffico aereo –specialmente dopo l’11 settembre- è minuziosamente registrato !

Una soluzione senza rischi: la sanatoria
Più volte abbiamo sostenuto che non ha senso pratico parlare di un puro e semplice allargamento del decreto flussi.
La soluzione reale, corretta e più umana, che non suoni come una presa in giro nei confronti di questi lavoratori sarebbe quella di una pura e semplice regolarizzazione o sanatoria oppure, se si preferisce una diversa definizione, di una procedura di emersione.

Tale soluzione sarebbe “economica” sotto numerosi profili.
Prendiamo in considerazione innanzitutto un profilo di buonsenso, di minima umanità ed equità, che eviterebbe di costringere queste persone ad attendere ancora, probabilmente, per un anno almeno.
Se la sanatoria del 2002 che ha riguardato 700mila persone è stata quasi completamente smaltita nell’arco di due anni, per le previste 540 mila autorizzazioni – che oltretutto richiedono una procedura più complessa perché interessa non solo uffici in Italia, ma anche consolati italiani all’estero – è realistico immaginare che ci vorrà ben più di un anno.

Uffici intasati e contributi mancati
Dal punto di vista burocratico questa procedura rischia di mandare letteralmente in paralisi gli uffici competenti (U.T.G.), nonchè di bloccare tutti gli altri adempimenti che, per esempio, riguardano i lavoratori che già hanno un regolare permesso di soggiorno in Italia.
Dal punto di vista strettamente economico, anche senza voler considerare gli aspetti umani prima evidenziati, spostare in avanti di molto tempo questa regolarizzazione significherebbe posticipare anche il pagamento di regolari contributi, ritenute fiscali, che servono a tutta la collettività. Attuare una regolarizzazione significherebbe invece elevare immediatamente i dati del prodotto interno lordo e del mercato del lavoro, i dati contabili delle casse previdenziali e dell’erario, migliorando nell’immediato la situazione economica del paese. Non che questo sia l’aspetto principale, come prima precisato, ma si tratta di un elemento che merita di essere preso in considerazione.

Il contenuto del decreto flussi bis
Il decreto è stato già licenziato dal governo e ora passerà al vaglio delle competenti commissioni parlamentari. Voci di corridoio stimano che molto probabilmente il testo arriverà senza modifiche alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. Noi continuiamo a sperare e ad augurarci che questo decreto arrivi invece con sostanziali modifiche e venga trasformato in un vero e proprio decreto di regolarizzazione.
Si precisa a questo riguardo che non vi sono ostacoli di tipo tecnico legislativo alla eventuale decisione da parte del governo in merito ad una regolarizzazione o sanatoria, esso può infatti direttamente provvedere –senza sottoporsi al voto parlamentare- ad emanare un provvedimento che abbia il contenuto sostanziale di una regolarizzazione. Questo è quanto avvenuto nell’autunno del 1998 con il D.P.C.M. del 16 ottobre, con cui è stata disposta l’emanazione di un decreto flussi che permetteva l’applicazione delle quote a coloro che già soggiornavano irregolarmente in Italia, perfezionando il rapporto di lavoro immediatamente in loco.
Sarebbe pertanto possibile fare una sanatoria semplicemente correggendo lo schema del decreto flussi e prevedendone l’applicazione direttamente nei confronti di chi è presente in Italia. In pratica, si tratterebbe di stabilire quantomeno che le persone che ottengono il nulla osta in base al decreto flussi (che quindi hanno dimostrato di avere un regolare contratto di lavoro e un alloggio e che non hanno subito condanne penali o espulsioni) possano ottenere direttamente in Italia (se sono già presenti) il permesso di soggiorno, eliminando a fase “consolare” (rilascio del visto di ingresso) della procedura. In fin dei conti, si tratterebbe della regolarizzazione più restrittiva e selettiva mai vista in Italia, e non solo, meno generosa perfino della sanatoria adottata con la legge Bossi-Fini !
Per il momento però non sembra che questa volontà ci sia, o meglio questa volontà sembra esserci da parte di alcuni, ma nell’ambito della compagine governativa i punti di vista al riguardo appaiono alquanto diversi.
Pochi giorni fa è stato in visita a Padova il Ministro per la Solidarietà Ferrero che ha detto abbastanza chiaramente che, non solo con riferimento alla maggioranza parlamentare, ma anche alla compagine governativa, vi sono punti di vista notevolmente diversi, e sembra che al momento non vi sia spazio per una possibilità di regolarizzazione.
Naturalmente confidiamo che ci sia ancora spazio per la discussione e che non se ne faccia una questione ideologica o di schieramento.

Cosa contiene il testo del decreto
Si tratta di uno schema molto sintetico perché si limita a stabilire, per l’anno 2006, una ulteriore quota di 350mila ingressi per motivi di lavoro subordinato non stagionale, di cittadini extracomunitari residenti all’estero. Non si parla di lavoro autonomo.
Queste quote possono essere rilasciate solo sulla base delle domande di nulla osta al lavoro che, a seguito di verifica delle condizioni di ammissibilità, risultino regolarmente presentate dai datori di lavoro entro la data del 21 luglio 2006.
Sappiamo che la quasi totalità delle domande (540mila) è stata presentata il 14 marzo. Poiché, dal punto di vista legale – secondo il Testo Unico sull’Immigrazione ancora vigente ( art. 3, d.l.vo 25 luglio 1998, n. 286) – il decreto flussi, sia il primo che il secondo, sono destinati a durare per tutta la durata dell’anno, teoricamente le domande avrebbero potuto essere presentate anche successivamente.

Un suggerimento importante
Lo stesso Ministero del Lavoro attraverso una circolare, aveva precisato che anche nel caso in cui non fossero stati più reperibili i famosi kit, si sarebbero potuti utilizzare i fac-simile, e inoltrare comunque la domanda (tramite ufficio postale, con raccomandata indirizzata allo Sportello Unico presso l’Ufficio Territoriale del Governo (Prefettura) contenente la modulistica, sia pure non in originale.
Riteniamo di aver fatto bene, a suo tempo, a suggerire di presentare comunque la domanda, anche dopo il 14 marzo, perché avevamo motivo di credere che vi fosse la possibilità di un allargamento delle quote con la conseguente possibilità di considerare anche domande presentate successivamente, come in effetti è avvenuto. Siamo contenti di aver dato qualche chance di assunzione regolare e di ottenimento del permesso di soggiorno anche a coloro che non avevano presentato la domanda entro il 14 marzo.

La presentazione delle domande
Il limite per la presentazione delle domande, comunque, sarebbe quello del 21 luglio. Questo significa che, stando alla formulazione attuale dello schema, le domande presentate successivamente o quelle che ancora dovessero essere presentate, non potrebbero essere ammesse. In verità, dal punto di vista interpretativo, non è molto chiaro questo limite indicato nello schema di decreto flussi bis poiché, come già precisato, il decreto dovrebbe conservare validità per tutto il corso dell’anno, relativamente alle quote disponibili.
Esempio pratico – Se le quote messe a disposizione fossero sufficienti a soddisfare tutte le domande presentate entro la data del 21 luglio e consentissero di soddisfare anche altre domande (ovvero fossero rimasti altri posti), si dovrebbe ritenere che ci sia ancora la possibilità di prendere in considerazione domande presentate successivamente.

Tentar non nuoce…
Ancora una volta, sempre sottolineando che si tratta di un semplice tentativo, chi non avesse ancora presentato la domanda, potrà inoltrare la raccomandata allo Sportello Unico competente per territorio. Raccomandiamo sempre che vi sia un effettiva disponibilità di occupazione e che non si tratti invece di ricorrere a qualche faccendiere che vende, come purtroppo continua a succedere, queste opportunità di regolarizzazione.