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Tratto dalla News letter n. 25 a cura di Italia Lavoro UT Veneto

Gli immigrati a Treviso

Secondo la Camera del Lavoro i nuovi cittadini sono a quota 6%

Sono oltre 30 mila, provengono soprattutto dall’ex Yugoslavia, dal Marocco, dall’Albania, dalla Romania e dal Ghana, e contribuiscono alla formazione del pil della provincia di Treviso per 2 miliardi e 500 milioni di euro, pari a 5 mila miliardi di vecchie lire, con livelli salariali che si fissano ad una quota media di 800/900 euro mensili. E’ l’esercito di lavoratori immigrati nella ricca Marca Trevigiana che, secondo uno studio redatto dalla Cgil del Veneto, e’ composto anche da comunita’ piu’ piccole e che nel 2004, secondo le proiezioni della Camera del Lavoro, tocchera’ quota 40 mila.
L’anno prossimo percio’ gli stranieri extra-Ue rappresenteranno il 6% della popolazione trevigiana. E si tratta di una crescita che potrebbe invertire i trend demografici dell’intera regione, dove, secondo uno studio di Veneto Lavoro, nel 2010 la popolazione veneta in eta’ lavorativa – tra i 15 e i 74 anni – perdera’ circa 175 mila unita’.

E’ finita insomma l’epoca dell’immigrato ”vu cumpra”’; i venditori ambulanti lungo le le strade o le spiagge venete si sono trasformati in lavoratori regolari, molti diventati, negli anni, capiturni o capisquadra. Altrettanti, addirittura, titolari di piccole aziende.
Nella provincia di Treviso gli immigrati sono occupati in prevalenza nel settore delle costruzioni (20%, rumeni e provenienti dall’ex Yugoslavia), del legno e manufatti, dell’ edilizia (30%, rumeni, macedoni, albanesi, marocchini): in questo caso sono quasi 6.000 i lavoratori regolarmente iscritti alle Casse Edili Artigiane Ceav e Ceva mentre su 7.487 lavoratori iscritti alla Cassa Edile dell’Industria 1.925, pari al 34,6%, sono stranieri.
La maggior parte sono imprenditori. Nel settore della chimica sono 700 gli extracomunitari assunti con contratti e tempo indeterminato e 200 con contratti a termine, il 25% dei quali di nazionalita’ marocchina, il 20% albanese, quindi rumeni e senegalesi.
Le aziende, di norma applicano contratti di sei mesi, poi, dopo una lunga trafila di assunzioni a tempo determinato e licenziamenti, applicano contratti a tempo indeterminato.
Il 35%, in base ai dati raccolti dalla Camera del Lavoro, non viene riconfermato. Nel settore agroalimentare extracomunitari sono in particolare i guardiani degli allevamenti intensivi e dei bovini: questi lavoratori sono soprattutto di nazionalita’ indiana e pakistana perche’ ritenuti molto fedeli dai datori di lavoro e perche’, se in Italia senza la famiglia, sforano senza problemi l’orario contrattuale giornaliero e non avanzano richieste di pause per le festivita’.

Nelle serre e nelle fungaie trevigiane i lavoratori sono per lo piu’ donne, nella maggioranza provenienti dai paesi dell’est e dalla Cina, assunte con contratti a tempo determinato.
Nel periodo della raccolta dei prodotti agricoli, soprattutto per la vendemmia, e’ forte la presenza di lavoratori stagionali polacchi: fino al 2000 erano quasi tutti clandestini (arrivavano in Italia con passaporti turistici e venivano retribuiti in dollari americani, con paghe molto piu’ alte della contrattazione aziendale), attualmente sono in possesso di regolare permesso di soggiorno e collocati con le quote dei lavoratori stagionali extracomunitari.
Nel settore metalmeccanico gli immigrati sono presenti soprattutto nelle aziende trevigiane di medie e grandi dimensioni (ad esempio Zanussi, De Longhi, Castelgarden, Zorzi, dove hanno superato il 10% del totale dei lavoratori): negli ultimi anni hanno fatto il loro ingresso nel mondo del lavoro anche molte donne e, addirittura, intere famiglie. Sempre nel metalmeccanico, nelle imprese artigiane il 50% degli addetti e’ immigrato e si caratterizza per inquadramenti bassi, scarsita’ di formazione e un alto numero di ore di straordinario (mediamente lavora per 45 ore alla settimana).

Complessivamente alle aziende trevigiane la manodopera immigrata costa 500 milioni di euro, pari a 1000 miliardi miliardi di vecchie lire: meta’ di questa cifra va al lavoratore, l’altra meta’ e’ divisa tra imposte e contribuzione previdenziale e assicurativa con la quae si garantiscono il pagamento delle attuali pensioni. Una piccola parte dello stipendio i lavoratori immigrati lo utilizzano per la propria sussistenza, il resto viene inviato alle famiglie rimaste ai paesi d’origine attraverso i servizi offerti da agenzie (tra queste la Western Union e la Finint) che, ad ogni spedizione, applicano una tassa di commissione che varia a seconda della cifra inviata. Ad esempio, per spedire in patria 200 euro, l’immigrato-cliente ne paga in media 30 all’agenzia; per l’invio di 500 euro le commissioni salgono addirittura al 10%.
I problemi denunciati con maggiore frequenza sono legati all’ alfabetizzazione, all’alloggio, al ricongiugimento famigliare.