Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
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da Liberazione del 29 luglio 2003

I centri vanno chiusi. Tutti di Checchino Antonini

Intervista a Federica Sossi del Tavolo migranti

Arigore di legge, non dovrebbe neppure esistere un centro come quello di Bari Palese, teatro sabato dell’invasione antirazzista. “Ufficialmente è un centro di identificazione per richiedenti asilo – spiega a Liberazione, Federica Sossi del Tavolo migranti dei social forum – previsto dalla Bossi Fini ma non dovrebbe funzionare perché mancano i decreti attuativi”.
Sossi, ricercatrice universitaria milanese, è autrice di “Autobiografie negate”, libro denuncia della Manifesto libri e ha partecipato alla compilazione della mappa di quelli che definisce “luoghi della detenzione europea”.

Ma quanti sono i cpt?

Ufficialmente “solo” 14 ma bisogna aggiungere tutti quei centri a statuto “strano”, per l’identificazione, il transito, il trattenimento, la prima accoglienza. Sono diffusi alle frontiere, specie Puglia e Sicilia, e sono tutti piantonati da forze dell’ordine per impedire la libertà di movimento. Ne abbiamo contati 40. L’ultimo è a Torino: una “comunità per minori stranieri non accompagnati a carattere sperimentale”.

Dai resoconti delle visite emergono condizioni di vita disumane.

Si sta sperimentando una modalità di detenzione secondo un’idea anticipata di recente dal Viminale: come già ci sono questure, carceri, prefetture, non ci sarebbe nulla di strano – secondo il prefetto Annamaria D’Ascenzo – se ogni città avesse anche un cpt. Sono luoghi di sospensione dei diritti, di ogni forma di diritto: alla difesa, alla parola, ad essere persone. Quindi anche a lavarsi, come a Lampedusa, senz’acqua e coi bagni schifosi. Ovunque le visite alle camerate vengono impedite, si mostra solo una sorta di “vetrina” che copre abusi sempre più “normali” come la quantità di psicofarmaci che viene distribuita agli “ospiti”.

Già ai tempi del centrosinistra, i cpt erano anche un supplemento di prigione per chi veniva scarcerato.

I detenuti a fine pena sono in aumento al nord e variano tra il 34% e il 47%. A Via Corelli sfiorano spesso il 90%. E’ uno degli espedienti per giustificare, presso l’opinione pubblica, strutture di questo tipo. Ma a Modena la loro cifra è irrisoria, eppure la giunta di centrosinistra ha voluto il cpt spacciandolo come rimedio contro la microcriminalità.

Che cosa è cambiato con la Bossi Fini?

Intanto sono raddoppiati i tempi di permanenza, da 30 a 60 giorni. Poi è stata consentita una più dura repressione che si aggiunge all’assoluta mancanza di trasparenza. Una delle ultime circolari del Viminale vieta ai parlamentari regionali di farsi accompagnare nei centri da assistenti e consulenti e anche la stampa, senza la pressione politica dei movimenti, non sarebbe mai riuscita a entrare nei cpt come successe a Torino il 30 novembre 2002.

Perché l’associazionismo rifiuta di partecipare alla loro gestione?

Significherebbe cogestire la detenzione, cooperare alla violenza come accade alla Croce rossa che, quasi ovunque, s’è aggiudicata l’affare dei centri in convenzione col Viminale. A Bologna, uno degli indagati per le violenze è un loro operatore e molti racconti che abbiamo raccolto ci dicono che la Cri collabora alle espulsioni. L’unica parola d’ordine possibile è chiuderli.