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Il diritto alla salute è un diritto fondamentale e giustifica il rilascio del pds umanitario

Tribunale di Bari, ordinanza del 24 maggio 2019

Una ordinanza del Tribunale di Bari, in relazione al diritto del cittadino straniero di usufruire delle cure mediche nel paese ospitante posta la caratteristica riconosciuta al diritto alla salute quale diritto umano fondamentale che trova espressione e garanzia anche nella nostra Costituzione.

Non v’è dubbio che il diritto alla salute – da qualificarsi “diritto umano fondamentale” ai sensi e per gli effetti di cui alla costante giurisprudenza di legittimità – risulterebbe esposto a grave compromissione laddove lo stesso non potesse continuare a godere dell’assistenza specialistica assicuratagli in Italia, essendo improbabile che, per le note condizioni di inadeguato sviluppo, prestazioni di assistenza e cure mediche almeno equivalenti possano essergli garantite dall’arretrato sistema sanitario maliano.

Con tale motivazione il Tribunale di Bari – sezione specializzata in materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’unione europea – riconosceva ad un cittadino maliano, affetto da una grave patologia, il diritto ad una protezione di tipo umanitario.

In merito alla disciplina sostanziale applicabile, sul punto è opportuno rilevare che la giurisprudenza della Suprema Corte, nell’attribuire al giudice ordinario la cognizione delle controversie relative al rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari sulla base del rilievo che tali controversie hanno ad oggetto diritti umani fondamentali (cfr. Cass., SS.UU., n. 13393 del 9.9.2009; Cass., SS.UU., n. 11535 del 19.5.2009), ha osservato che il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, non definisce i seri motivi di carattere umanitario che limitano il potere di rifiutare o revocare il permesso di soggiorno allo straniero privo dei requisiti previsti da convenzioni o accordi internazionali. Ciò nondimeno, al di là del generico rinvio alla disciplina del diritto internazionale umanitario – cioè all’insieme dei trattati internazionali o delle regole consuetudinarie che, in caso di conflitti armati, di natura sia internazionale che interna, limitano il diritto delle parti in conflitto nella scelta dei mezzi o metodi di combattimento, proteggono le persone e i beni coinvolti o che rischiano di rimanere coinvolti nel conflitto – non sembra dubbio che i “motivi di carattere umanitario” debbano essere identificati facendo riferimento alla fattispecie previste dalle convenzioni universali o regionali che autorizzano o impongono al nostro Paese di adottare misure di protezione a garanzia dei diritti umani fondamentali e che trovano espressione e garanzia anche nella Costituzione. Ciò non solo per il valore del riconoscimento dei diritti inviolabili dell’uomo derivante dall’art. 2 Cost., ma anche perché, al di là della coincidenza dei cataloghi di tali diritti, le diverse formule che li esprimono si integrano completandosi reciprocamente nell’interpretazione, come sancito dalla Corte Costituzionale nella pronuncia n. 388 del 1999 (cfr. Cass., SS.UU., n. 13393 del 9.9.2009, cit.).

Si segnala, inoltre, che, trattandosi di domanda incardinata precedentemente all’entrata in vigore del d.l. n. 113/18 (5.10.2018), recante “disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione”), in attesa della decisione delle Sezioni Unite sul punto, essa deve ritenersi insensibile alle innovazioni introdotte dal “decreto sicurezza”, il tribunale riconosceva il diritto ad un permesso di soggiorno per motivi umanitari e ciò non solo per la natura sostanziale e non processuale delle introdotte modifiche all’istituto della protezione umanitaria (v. l’art. 11 prel. c.c. in base al quale “…la legge non dispone che per l’avvenire”), ma anche per la natura intrinseca della protezione umanitaria da configurarsi quale diritto soggettivo che “preesiste” al suo riconoscimento, trovando origine nella peculiare condizione deprivazione dei diritti umani patita dall’individuo nel Paese di origine nel quale non può fare dunque più rientro (cfr. Cass., S.U., n. 19393/2009 e Cass. n. 4455/2018, dove si afferma la natura dichiarativa e non già costitutiva della pronuncia giudiziaria resa sulla domanda di protezione umanitaria).

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Tribunale di Bari, ordinanza del 24 maggio 2019