Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

L’Europa rinchiude i nuovi boat-people

Editoriale di Plein Droit , rivista di GISTI, Francia

L’Europa rinchiude i nuovi boat-people

Poco più di un anno fa su queste stesse pagine scrivevamo che «L’Unione Europea potrebbe istituire fuori dalle proprie frontiere dei campi di permanenza ove internare i richiedenti asilo e selezionarne l’ingresso prospettiva» che paragonavamo a «un film dell’orrore o un incubo».
Oggi l’incubo è alle porte. La vicenda dei 37 africani candidati all’esilio tra la costa libica e l’isola di Lampedusa a bordo della nave Cap-Anamur, che si era vista vietare l’accesso alle acque territoriali italiane, è servita da detonatore. Alla fine di un patetico gioco “dello scaricabarile” tra Italia, Germania e Malta, l’episodio è servito come pretesto al Ministro dell’Interno tedesco Otto Schilly per reclamare a fine luglio l’istituzione in Africa del Nord di campi dove rinchiudere i richiedenti asilo al fine di evitare – così sosteneva – che rischiassero la vita nel tentativo di raggiungere l’Europa. L’idea ha rapidamente riscosso successo: inizialmente è stata ripresa dal governo italiano con il nome di «portali d’immigrazione», successivamente ha trovato un alleato di spessore nella persona del futuro commissario europeo per le questioni di immigrazione e asilo Rocco Bottiglione, che l’ha infarinata d’utilitarismo prospettando che tali «centri» potessero anche giocare un ruolo di «sportello» per mettere in contatto i candidati all’immigrazione con «il mondo del lavoro in Europa».

Sostenuta da un simile patrocinio, alla riunione dei ministri dell’Interno dell’Unione l’ ”esternalizzazione” delle procedure d’asilo si è imposta come priorità. Il principio è ormai acquisito: sebbene il termine «campi», giudicato politicamente scorretto, sia bandito dal vocabolario ufficiale, un milione di euro è stato stanziato dalla Commissione europea per mettere in atto dei «centri sperimentali nei paesi di transito» o «programmi di protezione regionali» nei tre paesi del Magreb (Marocco, Tunisia, Algeria), in Libia e in Mauritania.

Ma ovviamente nessuno è scemo, e per proporre i campi ad un’opinione pubblica scossa o esasperata dalle immagini quasi quotidiane dei naufraghi di viaggi tragicamente terminati sulle spiagge andaluse, maltesi o siciliane, si fa appello a ragioni umanitarie. Sarebbe per salvar loro la vita, oppure per proteggerli dagli scafisti – quindi in un certo senso a fin di bene – che i migranti verrebbero rinchiusi lontano dagli sguardi. Come se il potenziamento dei controllo alle frontiere dell’Unione Europea non fosse la prima causa di mortalità di chi è costretto ad assumersi i rischi di attraversarle.

In realtà sullo sfondo di questi discorsi è ben evidente l’intenzione reale: per proteggersi dai migranti e richiedenti asilo l’Europa è pronta a tutto. Dopo diversi anni questa Europa arriva a far pressione sui paesi della riva sud del mar Mediterraneo affinché cooperino nella gestione e nel controllo delle loro frontiere esterne, trasformandole in «grandi zone d’attesa» dell’Unione. E oggi è riuscita a mettere in pratica questa volontà insieme alla Libia, opportunamente ritornata “rifrequentabile” per delegare ad essa il lavoro sporco.
Grazie alla sospensione dell’embargo, che dall’attentato di Lockerbie impediva di vendere le armi ad un paese considerato all’avanguardia nel dispositivo anti-immigrati del sud Europa, l’Italia può ora fornire alle autorità libiche elicotteri, radar, motovedette e armamenti necessari alla sorveglianza delle frontiere contro l’invasore e allo stesso tempo le tende e i prefabbricati per allestire i campi. Poco importa se la Libia – che non ha firmato la convenzione di Ginevra – gravino forti sospetti in materia di diritti umani nel trattamento dei migranti e in generale.
La formula si è diffusa a macchia d’olio. Il Ministro della Giustizia svizzero – Christophe Blöcher – auspica di «riformare in profondità il sistema dell’asilo per dissuadere l’abuso di domande». Il suo piano prevede l’installazione, in collaborazione con l’esercito svizzero, di campi per i rifugiati nelle regioni in crisi. Dal canto loro l’Austria e i tre paesi baltici neo comunitari hanno fatto sapere che presto non saranno più in grado di affrontare l’arrivo di Ceceni sul proprio territorio e hanno proposto che l’UE finanzi un campo in Ucraina per accoglierli.

I moniti e le proteste dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, che si è dichiarato preoccupato per queste prospettive di esternalizzazione dell’asilo, giungono con grande ritardo. Se è vero che l’ACNUR non ha mai sostenuto il progetto dei campi al di fuori dell’Unione, è altrettanto vero che l’ambiguità delle posizioni prese da qualche tempo ha probabilmente aiutato ad alleviare i sensi di colpa dei paesi più determinati a sbarazzarsi dei rifugiati. Contro ogni evidenza statistica – l’Europa accoglie molti meno rifugiati e richiedenti asilo di altre regioni del sud del mondo, in particolar modo le più povere – l’ACNUR non ha mai veramente smentito la tesi secondo cui l’UE starebbe subendo un’insopportabile pressione dovuta all’«abuso dell’utilizzo delle procedure d’asilo».
Alla fine del 2003 l’ACNUR ha infatti lanciato proposte per abbassare questa presunta pressione, e ha preconizzato l’impiego di una procedura comune che permettesse il trattamento delle domande d’asilo all’interno di «centri d’accoglienza europei», per facilitare sia la permanenza in un paese membro di rifugiati riconosciuti, sia l’allontanamento di «persone provenienti da paesi d’origine le cui domande d’asilo hanno un alto tasso di rifiuto nei paesi di destinazione» (introducendo in tal modo il concetto di «falsi richiedenti asilo»). Il vantaggio di questa misura consisterebbe – secondo l’ACNUR – nel fatto che questi potrebbero essere «raggruppati (e detenuti nel caso vi siano probabilità che possano fuggire) prima di essere espulsi e in qualità di gruppo rimpatriati più facilmente)» [1]. Dai centri di permanenza temporanea per raggruppare i migranti prima della loro espulsione dall’UE ai campi delocalizzati fuori dall’Europa c’era solo il Mediterraneo da attraversare: ora è cosa fatta.

[1] Documento di lavoro dell’ACNUR, 22 dicembre 2003.

*Traduzione a cura di Neva Cocchi