Ancora violenze al campo profughi di Zawiya, Libia.
Un bambino di pochi anni è stato ripetutamente colpito alla testa durante la repressione della rivolta verificatasi nella notte di martedì 27 agosto. Secondo fonti interne al campo, la sommossa è stata provocata dal riconoscimento da parte di un gruppo di etiopi di un presunto aguzzino da cui avevano subito torture in un campo del sud del Paese dove erano stati precedentemente rinchiusi. Per tutta risposta, i responsabili del centro hanno punito i rivoltosi impedendo la distribuzione di acqua e di cibo.
Sempre martedì 27, sono stati riportati nel campo un gruppo di uomini e di donne ripresi dalla guardia costiera dopo che questi avevano tentato di fuggire dal Paese. Come da prassi consolidata, questi sono stati rinchiusi per punizione nella parte chiusa della struttura, quella non accessibile neppure al personale dell’Unhcr, laddove vengono praticate le torture. In questa zona, le famiglie vengono sempre divise. Uomini e donne possono ricongiungersi solo per le canoniche tre ore di aria al giorno.
Racconti di una ferocia inaudita trapelano quotidianamente dalle zone inaccessibili dei centri di detenzione libici. Racconti che, nonostante le denunce degli attivisti per i diritti umani e delle Ong, si scontrano contro il muro di indifferenza con il quale l’Europa ha circondato le sue frontiere.
“Abbiamo inoltrato stamattina agli uffici dell’Unhcr una richiesta di verifica delle condizioni del bambino e di eventuali altri feriti e siamo in attesa di una risposta – commenta Yasmine Accardo, portavoce della Campagna LasciateCIEntrare -. Per conto nostro, ribadiamo ancora una volta che i lager libici vanno chiusi e le persone liberate, concedendo dei visti umanitari e aprendo un canale aereo affinché possano al più presto raggiungere luoghi sicuri”.