“Questa Corte ha più volte chiarito che, ai fini dell’accertamento della fondatezza o meno di una simile domanda di protezione internazionale, il giudice del merito è tenuto, ai sensi dell’art. 8, terzo comma, del d.lgs del 28 gennaio 2008, n.25, a un dovere di cooperazione che gli impone di accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi di indagine e di acquisizione documentale, in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate e non di formule generiche come il richiamo a non specificate fonti internazionali“.
Sono queste le motivazioni, pubblicate nella sentenza n. 11312 della Suprema Corte, Sesta Sezione Civile, con le quali è stato accolto il ricorso di un cittadino pakistano, difeso dall’Avvocato Nicola Lonoce, a cui era stato negato l’asilo sulla base di generiche “fonti internazionali” che attesterebbero l’assenza di conflitti nel paese di provenienza. La Commissione prefettizia di Lecce e poi il Tribunale della stessa città, nel 2017, avevano negato ad A. S. sia la protezione internazionale e sia quella umanitaria.
Secondo la Suprema Corte, in particolare la decisione del Tribunale era stata presa “in base a generiche informazionisulla situazione interna del Pakistan, senza considerazione completa delle prove disponibili” e senza che il giudice avesse usato il suo potere di indagine.
La Cassazione invita i giudici a evitare “formule stereotipate” ma a “specificare sulla scorta di quali fonti” abbiano acquisito “informazioni aggiornate sul Paese di origine” dei richiedenti asilo.
Il caso sarà riesaminato dal Tribunale di Lecce.
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Corte di Cassazione, sentenza n. 11312 del 26 aprile 2019