Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sentenza n° 569 del 3 settembre 2007 del TAR Friuli Venezia Giulia, sez. I

Diritto di asilo, permanenza nel territorio nazionale, more del giudizio

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Friuli Venezia Giulia

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

Sul ricorso numero di registro generale 43 del 2007, proposto da:
B. – Gratuito Patrocinio, rappresentato e difeso dall’avv. C., con domicilio eletto presso […];

contro

Prefettura di Trieste, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, domiciliata per legge in Trieste, piazza Dalmazia 3;

per l’annullamento

del rigetto della richiesta di autorizzazione a permanere sul territorio dello Stato in pendenza di ricorso giurisdizionale ai sensi dell’art. 17, comma 2 DPR 303/2004..

Visto il ricorso con i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio della Prefettura di Trieste;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nell’udienza pubblica del giorno 11/07/2007 il dott. O. S. e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:

FATTO

Il ricorrente si è visto respingere la domanda di status di rifugiato politico e, nelle more del giudizio civile di accertamento, ha avanzato richiesta al Prefetto per essere autorizzato a rimanere in Italia ai sensi dell’art. 17 DPR 303/2004.

Il rigetto, disposto nell’assunto che “dalla documentazione in atti non sono emersi fatti sopravvenuti che comportino gravi rischi per l’incolumità e la libertà personale successivi alla decisione della competente commissione… e che inoltre non sussistono nemmeno gravi motivi personali o di salute che richiedano la permanenza ulteriore … in Italia” è oggetto del presente ricorso, che ne deduce l’eccesso di potere per carente, omessa o insufficiente motivazione in relazione alle ragioni addotte, nell’assunto che non sarebbe stata fatta alcuna verifica delle argomentazioni addotte di cui non verrebbe neanche dato conto. Viene inoltre rimarcata la “diabolicità” della norma che impone a chi è fuggito dal proprio paese per proteggere la propria incolumità di provare elementi di pericolo successivi alla decisione della commissione e, quindi alla sua fuga.

Si è costituita in giudizio l’Amministrazione intimata controdeducendo per il rigetto del ricorso.

DIRITTO

L’art. 17 del DPR 16.9.2004 N. 3003 “Regolamento relativo alle procedure per il riconoscimento dello status di rifugiato”dispone che “1.Il richiedente asilo che ha presentato ricorso al tribunale può chiedere al prefetto, competente ad adottare il provvedimento di espulsione, di essere autorizzato, ai sensi dell’articolo 1-ter, comma 6, del decreto, a permanere sul territorio nazionale fino alla data di decisione del ricorso. In tal caso il richiedente è trattenuto nel centro di permanenza temporanea ed assistenza, secondo le disposizioni di cui all’articolo 14 del testo unico.

2. La richiesta dell’autorizzazione a permanere deve essere presentata per iscritto ed adeguatamente motivata in relazione a fatti sopravvenuti, che comportino gravi e comprovati rischi per l’incolumità o la libertà personale, successivi alla decisione della Commissione territoriale ed a gravi motivi personali o di salute che richiedono la permanenza dello straniero sul territorio dello Stato. L’autorizzazione è concessa qualora sussista l’interesse a permanere sul territorio dello Stato ed il prefetto non rilevi il concreto pericolo che il periodo d’attesa della decisione del ricorso possa essere utilizzato dallo straniero per sottrarsi all’esecuzione del provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale.”

La norma regolamentare subordina quindi la potestà del Prefetto di concedere la richiesta autorizzazione provvisoria a permanere in Italia alla verifica di vari requisiti; in particolare sembra imporre al richiedente di provare l’esistenza di fatti sopravvenuti – successivi alla decisione negativa della commissione territoriale – che comportino gravi e comprovati rischi per la sua incolumità o la sua libertà personale ed a gravi motivi personali o di salute che richiedono la permanenza dello straniero sul territorio dello Stato.

L’analisi della norma evidenzia anzitutto che tali requisiti sono richiesti in via cumulativa, in quanto viene usata la congiunzione “e” anziché quella disgiuntiva “o”. Debbono quindi sussistere sia i fatti sopravvenuti, che dimostrino il grave pericolo in cui incorrerebbe lo straniero in caso di rientro in patria, sia i gravi motivi personali o di salute, che richiedono la sua permanenza in Italia. Già questo sembra non avere molto senso, a meno che non si intenda che i gravi motivi personali siano insiti nella circostanza di avere presentato ricorso avverso la decisione negativa della Commissione territoriale e nel voler far valere il proprio diritto di essere presente alla discussione del proprio ricorso. Ma non è questa, comunque, la più grave illogicità in cui incorre la norma de quo: si pretende infatti che uno straniero, fuggito dal proprio Paese e che, dal momento dell’entrata in Italia, non ha potuto lasciare il territorio italiano, dovendo rimanere presso gli appositi centri di identificazione di cui all’art. 1 bis del D.L. 30-12-1989 n. 416 convertito in legge, con modificazioni, con L. 28 febbraio 1990, n. 39 (Gazz. Uff. 28 febbraio 1990, n. 49), possa fornire la prova di circostanze di pericolo sopravvenute e quindi successive alla sua partenza. E’ infatti evidente che, se anche può essere astrattamente e del tutto teoricamente possibile ipotizzarne l’esistenza, come potrebbe accadere, ad esempio, se ad un governo dichiaratamente ostile e che ha pronunciato la condanna all’ergastolo di tutti i militanti del Partito cui apparteneva il rifugiato fosse succeduto un governo ancora più ostile che ha mutato tale sentenza in una di condanna a morte, in ogni caso riesce difficile immaginare che uno straniero in Italia possa aver sempre mantenuto contatti con il Paese d’origine talmente stretti da esserne venuto a conoscenza e da riuscire a procurarsene le prove.

In ogni caso, anche a prescindere dalla apparente illogicità di tale previsione, non va dimenticato che si tratta di una norma regolamentare e quindi di una normativa secondaria di attuazione per cui va verificata anche la sua rispondenza al disposto normativo primario.

L’art. 1 ter, sesto comma del D.L succitato, aggiunto dall’art. 32, comma 1, L. 30 luglio 2002, n. 189 in effetti prevedeva che “Il ricorso non sospende il provvedimento di allontanamento dal territorio nazionale; il richiedente asilo può tuttavia chiedere al prefetto competente di essere autorizzato a rimanere sul territorio nazionale fino all’esito del ricorso. La decisione di rigetto del ricorso è immediatamente esecutiva”. E’pertanto evidente che la legge non subordinava la decisione del Prefetto ad alcuna delle sopraricordate limitazioni conferendogli, anzi, un’amplissima discrezionalità. Tale discrezionalità è invece stata pesantemente limitata dalla succitata normativa regolamentare che, peraltro, non trova alcuna fonte normativa con riferimento a tale specifica disposizione. Infatti, come ricordato nel preambolo dello stesso DPR 303/2004 le norme di legge che rimandavano ad una futura normativa regolamentare d’attuazione non includevano l’art. 1-ter ma erano invece “l’articolo 1-bis, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 1989, n. 416, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 febbraio 1990, n. 39, introdotto dall’articolo 32 della legge 30 luglio 2002, n. 189, che dispone l’emanazione di apposito regolamento per l’attuazione della medesima norma e dei successivi articoli 1-quater, comma 1, e 1-quinquies, comma 3”. Pertanto appare evidente che il regolamento in questo caso è andato contra legem, introducendo delle limitazioni ad una potestà decisionale prefettizia che la legge aveva invece inteso essere ampiamente discrezionale.

Tutto quanto sopra premesso il Collegio ritiene che mentre l’art. 1-ter non presenta a tale riguardo alcun sospetto di violazione di precetti costituzionali – tanto più che non se ne evince alcun’ espressa negazione del potere cautelare del giudice ordinario, dato che la norma appare congegnata come ampliativa della sfera giuridica del soggetto interessato cui viene offerta un’ulteriore possibilità di tutela cautelare affidata al Prefetto e quindi in via extragiudiziale, con conseguenti minori costi e formalità – la sopravvenuta norma regolamentare abbia invece, del tutto contra legem, costretto tale possibilità entro limiti tali da svuotarla praticamente di ogni contenuto.

La norma regolamentare de quo deve quindi ritenersi illegittima e, considerato che essa sacrifica illegittimamente un interesse legittimo riconosciuto dalla legge ( art. 1-ter cit.), tale norma deve essere disapplicata. (C.S.,V, 20.5.2003 n. 2750). In conseguenza di ciò l’atto impugnato va ritenuto viziato per un palese difetto di motivazione, limitandosi a riportare una motivazione stereotipata che riproduce il disposto regolamentare e non dà conto in alcun modo delle valutazioni effettuate sulle ragioni addotte dal ricorrente a sostegno della sua istanza.

Il ricorso deve quindi essere accolto con il conseguente annullamento dell’atto impugnato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale del Friuli Venezia Giulia, respinta ogni contraria istanza ed eccezione, definitivamente pronunciando sul ricorso in premessa lo accoglie e per l’effetto annulla l’atto impugnato.

Condanna la soccombente amministrazione alla rifusione delle spese e competenze del presente giudizio a favore dello Stato (ex art.133 DPR 115/2002), che liquida in complessivi euro 1200,00 comprensivi del contributo unificato.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Trieste nella camera di consiglio del giorno 11/07/2007 con l’intervento dei signori:

Vincenzo Antonio Borea, Presidente

Oria Settesoldi, Consigliere, Estensore

Vincenzo Farina, Consigliere