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Fonte: Peacereporter.net

Spagna – Criminali “sin papel”

Si chiamano Cie e sono come i nostri Cpt. In tutto e per tutto. Le storie

Una donna coraggiosa. Marta Rosario è boliviana. Per lo Stato spagnolo è una extranjera en situaciòn irregular, una sin papeles. Vive in Spagna da tre anni, da tre anni non vede i suoi due figli, ancora bambini. Suo marito la picchia regolamente, anche dopo la separazione. Lo scorso ottobre Marta Rosario ha deciso di denunciare le vessazioni del marito e un recente furto (commesso da lui, sospettava). È andata alla polizia. L’hanno arrestata. Un uomo in divisa le ha puntato un dito contro e le ha gridato: “Che faccia tosta che hai! Venire a denunciare un furto quando sei senza documenti”. L’hanno sbattuta dentro un Cpt, in Spagna Cie (Centros de internamientos para extranjeros). Un carcere. Peggio di un carcere. La ley de extranjeria spagnola autorizza le autorità a detenere gli stranieri in situazione irregolare “per organizzare la loro espulsione”, “come ultima misura, quando non siano in possesso di un domicilio fisso”. Marta Rosario, invece, aveva una casa. Per due anni ha lavorato da interna in una villa alla periferia di Madrid: si occupava dei tre bambini di una famiglia agiata, lui avvocato, lei assessore comunale del Partido popular. Non avevano voluto regolarizzarla “perché il mio partito è contro”, le aveva spiegato la seňora. Marta Rosario si prendeva cura dei tre bambini come fossero i suoi, i suoi che non vedeva da due anni. Vitto e alloggio più 540 euro al mese, da mandare a casa. Quando l’hanno arrestata i suoi fratelli hanno denunciato ai mass media ciò che stava accadendo. Invano. Marta Rosario, però, è una donna testarda: per ben due volte si è rifiutata di prendere il volo che dovrebbe riportarla dai suoi figli. L’hanno picchiata, però l’hanno riportata indietro al Cie (per non disturbare i turisti europei che prendono l’aereo per andare in vacanza in Bolivia). Al quarantesimo giorno, come prescrive la legge (che, però, potrebbe cambiare a breve allungando il tempo di detenzione fino a 18 mesi), l’hanno messa in libertà. Marta Rosario ha voglia di denunciare: una piccola radio comunitaria raccoglie la sua rabbia.

Ikea o ‘Guantanamo’? Un mercoledì sera, nel programma sin fronteras, si riuniscono Marta Rosario e alcuni parenti di ragazze detenute nel Cie di Madrid. Giusto poco prima di entrare in onda iniziano a squillare i cellulari. Il tecnico del programma chiede di spegnergli. “Sono le ragazze, che ci chiamano da dentro, possono chiamare solo a quest’ora” spiegano i ragazzi. Si dice loro che chiamino in studio. Inizia la diretta. Le ragazze detenute sono un torrente: “Per favore aiutateci a uscire da qui, questo è un inferno, è peggio che una prigione” implorano immediatamente. Vivono ventiquattro ore su ventiquattro con le tapparelle abbassate, senza mai vedere la luce del giorno, non le lasciano uscire nel cortile. “Ho appena sentito un poliziotto che diceva ‘il rispetto si conquista maltrattando’” dice Maribel a voce bassa, per paura che qualche guardiano possa sentire. Raccontano di una ragazza colombiana, Adriana, che ha partorito qualche giorno prima e che è stata separata dopo un giorno da sua figlia. In studio la tensione è grande, si fatica a fare domande, ma non c’è n’è bisogno. Elena, boliviana, racconta di aver diarrea mista a sangue. Il dottore le ha prescritto paracetamolo. In studio c’è il fidanzato di Maribel, ecuadoriana. Quando sente la sua voce la ragazza, che si era mantenuta calma fino a quel momento, scoppia in lacrime: “Non ho fatto niente di male per meritarmi questo, qui è un inferno, nessuno sa quello che succede qui, solo noi che siamo dentro”. Si passa a parlare delle visite: cinque minuti al giorno per ogni detenuta. “Preferisco che non vengano a trovarmi” spiega Elena “cinque minuti è una pena. E non poter nemmeno dare un abbraccio, come fossimo delinquenti”. “Delinquenti” è una parola che ritorna: “Nessuna di noi è una delinquente, siamo qui solo por no tener papeles, e non crediamo che sia un reato”. In effetti, non lo è: in Spagna essere sprovvisti di documenti è una contravvenzione. Che lo Stato punisce con una privazione di libertà. “Siamo solamente venute a lavorare” continuano “quando vengono gli spagnoli in Bolivia non li trattiamo cosi”. Non fa una piega. Ma sembra inutile dirlo. Come sembra inutile dire quello che dice Marta Rosario verso la fine del programma: “Le imprese europee stanno utilizzando le nostre risorse naturali, si arricchiscono con esse. E a noi ci trattano cosi”.
Carlo Cascione