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dal Corriere della sera on line del 13 gennaio 2012

Un viaggio tra i disperati del Cara «Senza farmaci né speranza»

Vengono dall’Afghanistan, dal Pakistan, dalla Nigeria, dal Bangladesh. Sono uomini e donne, molti giovanissimi. Ma ciò che sconvolge di più è vedere in un luogo così difficile dei bambini. Sono queste le anime che vagano, come dannati all’inferno, tra i capannoni e le stradine del Cara (Centro accoglienza richiedenti asilo) di Bari-Palese. E questo è lo scenario che si è presentato a una delegazione di giornalisti durante la visita effettuata insieme al presidente della Regione Puglia Nichi Vendola, all’assessore regionale alle Politiche d’inclusione dei migranti Nicola Fratoianni e alla portavoce dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) Laura Boldrini.

L’ACCESSO – L’iniziativa rientrava nell’ambito del primo corso di formazione sul tema dell’immigrazione rivolto ai giornalisti e organizzato dall’Assostampa di Puglia. «Ci sono più persone della capienza normale del centro – ha spiegato Boldrini -, questa è una situazione frequente in molti centri per richiedenti asilo perché ci sono stati degli arrivi consistenti lo scorso anno. Vediamo anche che c’è tanta apprensione per il loro futuro – ha aggiunto – specialmente per quelli che hanno avuto una risposta negativa dalla Commissione territoriale: si tratta in gran parte di migranti lavoratori che si trovavano in Libia, hanno lasciato la Libia per la guerra e chiaramente non hanno ottenuto la protezione della Commissione territoriale perché la Commissione deve valutare le condizioni individuali sulla base della Convenzione di Ginevra che parla di persecuzione nel Paese di origine. Dunque, in questa situazione, il problema era nel Paese dove loro si trovavano per lavoro e quindi stanno ricevendo dei dinieghi e questo crea molta frustrazione».

TRA LE ABITAZIONI – Basta allontanarsi dal gruppo e alcuni degli ospiti del centro non aspettano che parlarti della loro realtà quotidiana nel centro. Non sono reclusi, ma le condizioni in cui vivono non si possono di certo dire che siano umane. Ciò che la maggior parte denuncia sono le scarse condizioni igieniche, case fredde, umide e con vetri rotti, cibo scadente. Gli appartamenti sono angusti e sporchi. Un afghano riferisce anche di scarsi controlli medici. Non vengono fatti check up e a volte somministrano le stesse pillole per patologie differenti. Un ragazzo africano racconta, invece, di un credito che percepiscono giornalmente, non in moneta ma sotto forma di ticket. È di circa 2 euro, ma loro spendono molto di più soggiornando al centro. Anche perché pare che da queste parti ci sia chi faccia del commercio di sigarette, cioccolata e altri alimenti, gente che non si sa come possa avere accesso all’interno.

Mariangela Pollonio