Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Germania – Non viene espulsa perché rischia l’infibulazione

Commentiamo una notizia di qualche giorno fa.

(Ansa) – Cittadina del Togo non è stata espulsa perché rischiava l’infibulazione, accolto il ricorso della giovane donna fuggita dal Togo.

Il rischio di subire mutilazioni genitali può giustificare la mancata espulsione di una donna verso il suo paese d’origine. Lo ha stabilito il Tribunale amministrativo di Oldenburg (nordovest della Germania), che ha accolto il ricorso di una giovane di ventitrè anni scappata dal Togo proprio per la minaccia di subire mutilazioni.
I giudici tedeschi hanno ritenuto che le mutilazioni genitali siano una forma di persecuzione paragonabile alla tortura; in realtà le mutilazioni sono in Togo vietate per legge dal 1998, ma la legge stessa viene solo raramente applicata
.

Visto che si tratta di un argomento che più volte ha sollecitato l’attenzione dell’opinione pubblica, ricordiamo che effettivamente anche in base ad una corretta interpretazione della Convenzione di Ginevra sullo status di rifugiato del 1951, la condizione di una donna che viene sottoposta, senza il suo consenso, a mutilazioni sessuali in base alla tradizione del proprio paese, è una situazione che può essere considerata e definita come vera e propria persecuzione.

Per l’appunto la Convenzione di Ginevra garantisce protezione a chi teme di essere perseguitato nel proprio paese e, quindi, sottoposto a trattamenti lesivi della sua libertà personale e dei suoi diritti fondamentali in ragione, non solo della sua appartenenza ad un gruppo politico, etnico o religioso, ma anche in ragione della sua particolare condizione sociale.

La particolare condizione sociale delle donne come soggetti deboli, o comunque come persone soggette a forme di sfruttamento o di oppressione in determinati paesi, è stata già presa in considerazione in più di un’occasione ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato; e il caso del fondato timore di sottoposizione all’infibulazione è sicuramente riconducibile alla nozione di persecuzione.

Anche l’art. 19 del Testo Unico sull’Immigrazione (Divieti di espulsione e di respingimento) prevede espressamente il divieto dell’espulsione verso uno Stato in cui la persona possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviata verso un altro Stato nel quale non sia protetta dalla persecuzione. Ecco che è in questa definizione può rientrare la condizione della donna che per la tradizione del suo Paese deve essere sottoposta contro la sua volontà all’infibulazione.
Inoltre la Convenzione europea per i diritti dell’Uomo del 1950 (entrata in vigore il 3 settembre 1953 e quindi a tutti gli effetti legge dello Stato italiano) all’art. 3 recita: “nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”. Si ricorda che, in base alla giurisprudenza costante della Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo, tale divieto non deve intendersi soltanto riferito all’attività direttamente svolta dalle autorità dei paesi aderenti alla Convenzione, ma anche ad ogni provvedimento delle medesime autorità che indirettamente consentisse l’attuazione di tali trattamenti da parte delle autorità di paesi diversi. Quindi, non potrebbe essere legittimamente disposta ed eseguita, in base alla legge italiana, un’espulsione che consentisse all’estero la sottoposizione di una persona a tali trattamenti.

Questa sentenza tedesca, che potrebbe avere fatto scalpore per qualcuno, in realtà rappresenta ed esemplifica un principio di diritto umanitario che può trovare effettiva applicazione in molti casi, e non solo nel caso di persone che chiedono espressamente il riconoscimento dello status di rifugiato in Italia. Per fare un esempio, è capitato a chi scrive di impugnare un provvedimento di espulsione , ottenendone la tempestiva sospensione da parte del tribunale amministrativo (all’epoca avente giurisdizione su questa materia), in un caso di cittadino iraniano in condizione irregolare che stava per essere espulso dopo avere scontato una condanna in Italia per stupefacenti, e ciò perché era stato dimostrato che lo stesso rischiava concretamente di subire la condanna a morte mediante lapidazione, peraltro con riferimento allo stesso fatto per cui aveva già scontato la condanna in Italia (l’Iran non aderisce all’apposita convenzione internazionale rivolta ad impedire la duplicazione di processi e di condanne in paesi diversi per gli stessi reati)

Per l’appunto la pena di morte tramite lapidazione è evidentemente un trattamento disumano e degradante, perché in particolare deve essere eseguita scegliendo sassi che non siano troppo grandi (perché non uccidano subito) o troppo piccoli (perché non ucciderebbero), affinché si produca solo lentamente e dopo atroci sofferenze la morte della vittima.