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Cassazione: clandestini poveri, da assolvere se non vanno via

Roma – Per la Cassazione è “giustificato” il comportamento dell’immigrato extracomunitario clandestino che, per mancanza di soldi, non rientra in patria dopo aver ricevuto dal questore l’ordine di allontanamento dal territorio italiano in quanto trovato senza i documenti di soggiorno in regola.
In particolare questa tesi è sostenuta dalla prima sezione penale della Suprema Corte con la sentenza 30774 depositata oggi.

Con questa decisione i magistrati di piazza Cavour hanno respinto il ricorso presentato dalla Procura della Corte di Appello di Roma, contro la sentenza con la quale il tribunale della capitale, lo scorso 10 gennaio, aveva assolto con la formula “perché il fatto non sussiste” una cittadina romena, Malina A.N., dall’accusa di non aver ottemperato all’ordine di allontanamento dal territorio dello Stato, in quanto la donna – così hanno argomentato i giudici di merito – era “sprovvista del denaro occorrente al rimpatrio, circostanza plausibile essendo emerso che alloggiava presso uno scalo ferroviario”.

Era stata la stessa Malina ad informare il giudice delle sue condizioni di estrema indigenza e del suo “precario” indirizzo.
Ad avviso del Pg della Corte d’Appello, invece, il “mero disagio economico dipendente dall’ingresso nello Stato, senza disporre di mezzi e dalla mancanza di occupazione connessa alla situazione di clandestinità volontariamente posta in essere” non è un “motivo di giustificazione che deve avere le “connotazioni di necessità inevitabile”.
Questa tesi non è stata condivisa dalla Cassazione che ha giudicato “infondato” il ricorso della Procura della Corte di Appello.

In proposito gli “ermellini” fanno presente che la Corte Costituzionale – con la sentenza numero 5 depositata il 13 gennaio 2004 – hanno affermato che la causa giustificativa del mancato allontanamento “non può essere costituita dal mero disagio economico di regola sottostante al fenomeno migratorio, ma ben può essere integrata da una condizione di assoluta impossidenza dello straniero, che non gli consenta di recarsi nel termine alla frontiera (in particolare aerea o marittima) e di acquistare il biglietto di viaggio”.

Nel caso di Malina, la Cassazione ritiene che il tribunale di Roma abbia compiuto un corretto “ragionamento probatorio” ritenendo riscontrate dalle dichiarazioni della clandestina, le accertate condizioni di estrema precarietà abitativa” che dimostravano, legittimamente, le estreme difficoltà economiche della donna, tali da renderle impossibile il rimpatrio.
Oltre a ciò la Cassazione ha ritenuto corretto il verdetto assolutorio, in quanto l’ordine di espulsione non era stato tradotto nella madrelingua di Malina.