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Commento al decreto legge n. 241/2004, cosiddetto “salva espulsioni”

La novità del momento, ovvero il decreto legge predisposto dal governo al fine di adeguare l’attuale disciplina dell’espulsione amministrativa al contenuto della declaratoria di illegittimità costituzionale pronunciata dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 222 del 15 luglio 2004, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 settembre scorso, recante il numero 241 della serie ordinaria.
Il decreto legge, entrando in vigore il giorno immediatamente successivo alla sua pubblicazione, dal 15 settembre costituisce una normativa vigente a tutti gli effetti, la quale naturalmente, come tutti i decreti legge, attende di essere convertito in legge dal Parlamento.

La disciplina delle espulsioni contenuta nel T.U. sull’immigrazione è stata oggetto di una apposita riforma adottata in via urgente, proprio per tamponare gli effetti delle note sentenze della Corte Costituzionale che hanno dichiarato la illegittimità dell’istituto dell’accompagnamento immediato alla frontiera e del trattenimento nei CPT nella parte in cui non era garantita una effettiva possibilità di difesa per il destinatario del provvedimento di accompagnamento coattivo alla frontiera, la quale è effettiva esclusivamente in presenza di un difensore e consentendo all’interessato di essere sentito personalmente dal giudice.
Il decreto legge interviene anche sugli aspetti organizzativi dell’esecuzione dell’espulsione amministrativa, in quanto modifica la competenza funzionale del giudice: tutta la materia è stata sottratta al tribunale in composizione monocratica per essere demandata alla competenza del giudice di pace.
Su questa scelta sono state registrate alcune osservazioni critiche anche da parte della stessa magistratura. Pur senza mettere in dubbio la professionalità dei giudici di pace, tuttavia, sono state sollevate alcune perplessità riguardo al fatto che il giudice di pace, tradizionalmente considerato dal legislatore un giudice al quale affidare le controversie in materia civile e penale di lieve entità e ridotta complessità, sia stato ritenuto il soggetto più idoneo cui conferire la competenza nel caso delle procedure di allontanamento degli stranieri che investono rilevanti questioni attinenti alla restrizione della libertà personale.
L’odore di una scelta che individua un giudice “dei poveri” diverso dal giudice dei ricchi permea questa scelta legislativa.
Si tratta comunque di un aspetto che attiene più all’approccio culturale delle scelte di politica migratoria e meno alla stretta legittimità giuridica della scelta operata dal legislatore, che ha potuto ricadere sul giudice di pace senza che ciò comporti una lesione dei principi costituzionali.
Come per il trattenimento dello straniero nei centri di permanenza temporanei, anche per l’accompagnamento immediato alla frontiera, è ora previsto un esame da parte di un’autorità giudiziaria, che dovrà sentire l’interessato espellendo con l’assistenza di un difensore.
La norma è piuttosto ambigua su questo punto perché si riferisce all’audizione dell’interessato “se comparso”. Ci si augura che non sorgano problemi di tipo logistico per quanto riguarda la effettiva possibilità per gli interessati di essere messi in condizione di partecipare personalmente all’udienza di convalida e quindi di esprimere la loro versione relativamente ai fatti che hanno portato all’adozione del provvedimento espulsivo: non sarebbe confortante scoprire che, nella pratica, l’esame sulla legittimità della restrizione della libertà personale dell’interessato si limiti ad un’audizione di un difensore d’ufficio poco informato sulla situazione dell’interessato e sugli argomenti che questi potrebbe far valere direttamente, se fosse sentito personalmente dal magistrato.

Naturalmente la possibilità di comparire personalmente davanti ad un giudice – e vedremo nella pratica se sarà effettivamente assicurata – svolge un ruolo fondamentale nella garanzia del diritto di difesa.

La stessa ristrettezza dei termini previsti per il procedimento di convalida da parte del giudice dell’accompagnamento immediato alla frontiera, non lascia molto spazio per verificare quali sono gli argomenti che l’interessato potrebbe far valere in sua difesa: nell’arco di sole 48 ore, in cui l’interessato viene nel frattempo trattenuto provvisoriamente presso un CPT, l’udienza innanzi al giudice di pace si dovrà svolgere e questi dovrà decidere. Qualora il termine non fosse rispettato, gli effetti del trattenimento decadono e l’interessato deve essere rimesso in libertà.
Tuttavia, è difficile immaginare che l’avvocato d’ufficio, in un lasso di tempo così breve, riesca effettivamente ad incontrare l’assistito presso il centro di permanenza temporanea, esaminare i documenti di cui eventualmente fosse in possesso lo straniero, ma sopratutto recuperare gli eventuali documenti che l’interessato, magari fermato per strada e portato direttamente al CPT, non avesse, nel frattempo, potuto esibire. Se poi l’udienza di convalida, invece che dopo due giorni, si svolge immediatamente dopo l’adozione del provvedimento espulsivo, l’assistenza del difensore si risolverebbe in una garanzia di difesa di carattere meramente formale.

Al giudice di pace, in base al decreto legge 241/2004, è stata attribuita la competenza a decidere sia per l’accompagnamento immediato alla frontiera ai sensi dell’art. 13, comma 4 del T.U. Immigrazione, che per il trattenimento presso il centro di permanenza temporanea ai sensi dell’art. 14, comma 1 dello stesso T.U.. Ciò comporta che egli debba verificare se sussistono le ragioni che giustifichino il trattenimento ossia se questo possa concretamente assolvere alla funzione di consentire la verifica sull’identità o nazionalità dell’interessato e la organizzazione del viaggio. In alcuni casi, infatti, – come nel caso degli apolidi, cioè persone che non sono in possesso di alcuna cittadinanza e rispetto alle quali normalmente le polizie di frontiera degli altri paesi hanno tutto il diritto di rifiutare l’accoglimento – non vi sarebbe ragione alcuna di eseguire un trattenimento presso un CPT, perché non vi è la possibilità giuridica di poter eseguire poi l’espulsione dell’interessato verso alcun paese estero.

Oltre ai provvedimenti del questore relativi all’esecuzione dell’espulsione, al giudice di pace è anche attribuita la competenza a giudicare dei ricorsi contro il provvedimento del prefetto che dispone l’espulsione amministrativa, Ciò significa che, se l’interessato trattenuto in un CPT promuove in proprio un ricorso contro il provvedimento di espulsione, è sempre lo stesso giudice di pace che, riunite tutte le questioni, può decidere anche contestualmente.

Rimane il reato di inottemperanza all’ordine di allontanamento del questore, previsto dall’art. 13, comma 5 ter, del T.U. Immigrazione. Tuttavia, dovendosi conformare al principio di tutela della libertà personale enunciato dalla corte costituzionale, non è più previsto l’arresto in flagranza, (già previsto dall’art. 5 quinquies, introdotto nel T.U. Immigrazione dalla legge Bossi-Fini), nei confronti dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione, che fosse rintracciato sul territorio italiano successivamente all’intimazione da parte del questore a lasciare l’Italia entro 5 giorni, a fronte di una materiale impossibilità di provvedere al trattenimento presso un CPT.
Eliminato l’arresto in flagranza, è però possibile provvedere ad un nuovo trattenimento provvisorio presso un centro di permanenza temporanea e, quindi, dal punto di vista pratico per gli interessati la situazione non cambia di molto.

Restano comunque tutte le perplessità di fondo in merito alla utilità e alla adeguatezza di queste soluzioni adottate dal governo e, prima ancora, dal T.U. sull’immigrazione del 1998 perché i dati parlano chiaro: il tasso di successo dei trattenimenti presso i centri di permanenza temporanea è molto scarso, solo un’esigua percentuale di coloro che transitano attraverso queste forme di detenzione amministrativa viene poi consegnata alle polizie di frontiera dei rispettivi paesi di provenienza. La maggior parte delle persone sottoposte al trattenimento nel CPT, al termine della detenzione stessa – prolungata com’è noto da 30 a 60 giorni con la legge Bossi-Fini (art. 14, comma 5 T.U. Immigrazione) – viene rimessa in libertà.
Anche supponendo un perfetto funzionamento degli accordi di riammissione con i paesi di immigrazione (nei giorni scorsi è stato perfezionato l’accordo con la Libia ma dei suoi contenuti non si sa nulla), l’esecuzione dell’espulsione mediante l’accompagnamento alla frontiera comporterà in ogni caso un preventivo trattenimento nel CPT, sia pure di brevissimo tempo (48 ore) e un controllo dell’autorità giudiziaria. Se non altro, la necessità di questo adempimento in uno con la presenza di un difensore, potrà consentire anche di verificare un po’ più da vicino il funzionamento di questi accordi e il loro contenuto effettivo.