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da La Repubblica del 23 ottobre 2006

Cpt, la paura dei testimoni: intimiditi dalla polizia

Caltanissetta, dopo la denuncia sulle fughe a pagamento.

Giovanni Maria Bellu

Agrigento – Hanno denunciato apertamente, coi propri nomi e con le proprie facce, abusi e reati di cui sono stati testimoni e vittime. Hanno determinato l’avvio di un’indagine penale (da parte della procura della Repubblica) e di un’inchiesta amministrativa (ordinata dal ministero dell’Interno) sul Centro di permanenza temporanea di Caltanissetta. In cambio hanno avuto un trattamento da criminali. Adesso sono molto spaventati, temono ritorsioni. “Vogliamo andare via al più presto dalla Sicilia – dicono – abbiamo paura”.
Malik, Aidrus, Mansour, Mekonem, Youssef e tutti gli altri, in tutto undici giovani neri africani, ieri pomeriggio ancora facevano fatica a credere che quegli uomini che sabato mattina li avevano fermati e interrogati erano veramente dei poliziotti italiani.

Erano passate poche ore dalla decisione del procuratore capo di Caltanissetta di ordinare accertamenti sulle testimonianze apparse lo stesso giorno su “Repubblica”, quando i giovani africani sono stati intercettati da alcune auto civetta della polizia nel centro di Agrigento. Invitati perentoriamente dagli agenti in borghese a salire a bordo, hanno rifiutato e hanno proseguito a piedi fino alla sede del centro “Progetto Tarik” gestito dalla cooperativa “Acuarinto”, dove si trovano da circa due settimane, cioè da quando, ottenuto il permesso di soggiorno, hanno lasciato il Cpt di Caltanissetta.
Nel servizio apparso su “Repubblica” i giovani africani (otto eritrei, due somali, un sudanese) affermavano di aver assistito, nel Cpt di Caltanissetta, a fughe di immigrati arabi realizzate col sostegno degli operatori nordafricani e avvenute nell’inerzia degli agenti di polizia di guardia all’esterno del campo. Inoltre dicevano d’essere rimasti molto delusi per il trattamento sciatto ricevuto ad Agrigento proprio nel centro gestito dalla cooperativa “Acuarinto”. Gli accertamenti ordinati dalla procura di Caltanissetta si riferivano alla prima parte della denuncia, cioè al Cpt, perché la sciatteria non è un reato. Ma la cooperativa “Acuarinto” era comunque stata duramente criticata.

Ed ecco l’incredibile seguito della vicenda. I testimoni giungono nella sede della cooperativa “Acuarinto” e vengono interrogati da tre funzionari della questura di Caltanissetta (cioè colleghi dei poliziotti accusati di inerzia) alla presenza di una dirigente della stessa cooperativa, Natalia Gro, che nell’occasione svolge anche la funzione di interprete dall’inglese. Ad almeno uno degli interrogatori assiste Domenico Notonica, coordinatore del “progetto Tarik”. I giovani africani, comunque, confermano puntualmente le dichiarazioni fatte a “Repubblica”. “Tranne una – spiegava ieri uno di loro, Petros – Infatti non ho mai detto di aver visto i poliziotti prendere dei soldi”.
Un rapido controllo del testo rende chiaro che un’affermazione di questo genere non è contenuta nell’articolo. Chissà perché è stata contestata. Alla fine, la richiesta di firmare un verbale (in italiano), ovviamente rifiutata da quasi tutti i testimoni.

I giovani del gruppo che ha denunciato gli abusi all’interno del Cpt di Caltanissetta sono perseguitati politici riconosciuti come tali dall’Italia. Alcuni di loro portano sul corpo i segni delle torture. Tutti hanno avuto o l’asilo o la protezione umanitaria. E’ la prima volta che un gruppo di immigrati regolari si espone in questo modo. Il trattamento che hanno subito rischia di compromettere la serenità delle loro future testimonianze, per esempio quelle che dovranno rendere nell’inchiesta ordinata dal Viminale. “Siamo grati all’Italia che ci ospita – dice l’eritreo Malik – e sappiamo che i comportamenti che stiamo subendo sono messi in atto da singole persone e non dalle autorità del vostro paese. Ma abbiamo paura”.