Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Servizio immigrazione e promozione dei diritti di cittadinanza (Venezia)

Impressioni sull’Humanity Day di domenica 15 settembre a Treviso

A cura di Rosanna Marcato

Per riferirmi alla manifestazione di Treviso parto da dei ricordi personali perché nella Marca Trevigiana ho trascorso gli anni della mia infanzia e domenica, durante la bellissima manifestazione dell’Umanity day, quando dal palco un signore ultra ottantenne ha salutato gli immigrati della sua città nelle loro lingue di origine mi è affiorato il ricordo di quella vecchia contadina con la quale trascorrevo interi pomeriggi ad ascoltarla raccontare l’America.
Dodicesima di una famiglia di 15 figli che sopravvivevano come mezzadri era partita diciottenne con due fratelli per l’America. Ma tutto per lei era andato male, non resisteva lontano dalla sua terra e soprattutto dal suo amore lasciato a casa. Era tornata dopo due anni e da allora aveva vissuto nella sua campagna , con le sue mucche e il suo sempre più prezioso vigneto, oggi fonte di vino DOC tra i più pregiati.
Ma Eleonora, pura razza piave, attaccata alla sua terra, alle sue dolci colline, dotata di una curiosa intelligenza per le cose della vita, aveva vissuto questa sua avventura ricavandone amore per gli altri. Il suo arrivo in America non era stato dei migliori ed erano finiti a fare le stesse fatiche in altri campi con altri padroni, in compagnia di emigranti polacchi, russi, tedeschi e irlandesi. Da ognuno di loro aveva imparato qualcosa, ma soprattutto aveva imparato che il mondo era più vasto e complicato del suo campo.
E questo lo aveva conservato nel cuore, a lei ci si poteva rivolgere per un conforto, per un aiuto, erano in tanti a farlo e per ognuno aveva una risposta. Diceva chi ha sofferto non lo deve dimenticare e chi è stato fortunato deve condividere con gli altri quello che la vita gli ha dato.
Questo è quello che Eleonora insegnava, non la grettezza e la volgarità di chi, come Gentilini si arroga il diritto di rappresentare queste terre.
Il padre di Carlo Giuliani ha detto dal palco di Treviso che il peggior difetto e la peggiore colpa è essere indifferenti, indifferenti alla vita, indifferenti agli altri, indifferenti a se stessi.
Nessuno si indigna più di fronte a niente, non ai morti degli sbarchi, non alla riduzione in schiavitù di migliaia di donne e bambini, non al fatto che lavoratori che contribuiscono in modo determinante alla ricchezza di questa terra debbano dormire per la strada. I così detti “moderati” non si sentono cattivi, sono semplicemente realisti nessuno, dicono, gli aveva chiesto di venire, potevano fare a meno di venire.
Ma è proprio l’indifferenza che sembra caratterizzare la maggioranza dei cittadini di Gentilini, la città domenica appariva deserta, i bar chiusi, le serrande abbassate, solo verso sera i trevigiani sono usciti, visibilmente infastiditi da quel popolo colorato che gli aveva invaso il salotto buono della città. Naturalmente alla manifestazione c’erano anche quei trevigiani, uno striscione diceva “ Trevigiani umanamente indignati”, che non tollerano più di confondersi con la laederschip di Gentilini e che hanno bisogno della nostra solidarietà e del nostro aiuto per aprire le menti e i cuori dei loro conterranei.
Quello che dobbiamo ostinatamente fare con tutti i mezzi a disposizione, ognuno nella propria città, nel proprio paese, nel proprio posto di lavoro è quello di lavorare uniti affinché le parole che diciamo: diritti, solidarietà, tolleranza, giustizia trovino applicazione. E purtroppo su questo versante si segna il passo.
Anche in questa manifestazione si è assistito a divisioni partitiche che non appartenevano sicuramente allo spirito in cui tutti i partecipanti si sono riconosciuti.
Allora da questa manifestazione ripartiamo per dire che nessuno di noi collaborerà con la nuova legge razzista ma ognuno di noi collaborerà con la sua coscienza, con il suo credo politico o religioso con la sua intelligenza cercando in ogni occasione di aprire le menti e i cuori di chi ha dimenticato la propria storia, la propria miseria, le proprie speranze.