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In quale caso il lavoratore ha diritto al rimborso spese?

Sarebbe importante sapere se la regolarizzazione dell’interessata è già completata perché, se fosse così ed avesse già ottenuto il permesso di soggiorno, potrebbe cambiare in qualsiasi momento datore di lavoro. La prassi sarebbe in questo caso quella di presentare le dimissioni al vecchio datore di lavoro, trovarne uno di nuovo che proceda subito all’assunzione comunicandola sia alla questura, che alla Direzione Provinciale del Lavoro.

Per il momento non è ancora operativa la prassi concernente la stipula del cosiddetto contratto di soggiorno per lavoro subordinato (previsto all’art. 5 bis del T.U., inserito dall’art. 6, comma 1, dalla L. 30 luglio 2002, n. 189, c.d. Bossi – Fini) per i nuovi rapporti di lavoro, essendo operativo soltanto per le regolarizzazioni.

Nel caso in cui l’interessata non avesse ancora perfezionato la regolarizzazione e fosse ancora in attesa della convocazione presso la Prefettura, sarebbe molto difficile poter cambiare datore di lavoro in quanto, secondo le indicazioni dei Ministeri del Lavoro e dell’Interno, si deve continuare ad attendere la convocazione stessa, anche se nel frattempo si è perso il posto di lavoro.

Per quanto riguarda la cosiddetta trasferta bisogna dire che nel contratto collettivo nazionale delle imprese di pulizie non è riconosciuta espressamente un’indennità di trasferta. In altre parole il disagio del lavoratore connesso al fatto di doversi spostare durante la giornata lavorativa in più luoghi, non comporta una maggiorazione del suo trattamento economico. L’unico diritto spettante in questo caso, è il rimborso delle spese vive effettivamente sostenute dallo stesso nell’interesse del datore di lavoro. Ne discende che le spese dovute alla necessità di prendere più autobus per spostarsi dai diversi luoghi di lavoro dovrebbero essere come tali risarcite, perché sostenute nell’interesse del datore di lavoro garantendo la prestazione lavorativa.

Sul pagamento degli 800 euro previsti per la sanatoria, più volte abbiamo specificato che sono soldi che dovevano essere versati esclusivamente dal datore di lavoro. Se l’interessata fosse in grado di dimostrare (cosa non sempre facile) l’avvenuto versamento dei soldi al datore di lavoro, magari con la testimonianza di un collega di lavoro, avrebbe il diritto di esigere il rimborso di tutta la somma illegittimamente corrisposta.

Anzi, se fosse dimostrabile che il datore di lavoro ha imposto il pagamento del contributo quale condizione per procedere alla regolarizzazione (dicendo “o paghi o non ti regolarizzo”) si configurerebbe una vera e propria estorsione con rilievo di carattere penale (art. 629 c.p.).