Si tratta di un dato ormai acquisito dagli studi sul rapporto tra mercato del lavoro e fenomeni migratori la presenza di lavoratori stranieri nei settori della cosiddetta “economia sommersa”. Secondo la stima fatta dall’Eurispes nel suo ultimo rapporto 2003 nel nostro paese circa il 30% del Pil riguarda l’economia sommersa, e le condizioni strutturali del nostro sistema economico sono tali da far pensare che tale fenomeno sia da considerarsi fisiologico. Ciò è particolarmente evidente per quanto riguarda il lavoro nero, la cui incidenza percentuale sul totale della forza lavoro oscillerebbe tra il 30 e il 48%.
Questo quadro macroeconomico ha trovato conferma anche nella ricerca condotta dal Censis e presentata il 21 gennaio 2003 dal titolo “tendenze generali e dinamiche dell’economia sommersa in Italia fra il 1998 e il 2002”. Ma è evidente anche l’aumento vertiginoso tra il 1998 ed il 2002 della presenza di immigrati extracomunitari (irregolari e non) nel lavoro nero, soprattutto in quei comparti in cui “possono sopravvivere unità produttive poco efficienti: servizi personali, edilizia, agricoltura, ristorazione e turismo”.
In una “recente ricerca di Emilio Reyneri” tali aspetti sono stati analizzati per quanto riguarda le economie di alcuni paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Olanda, Francia, Spagna, Italia e Grecia).
Ma ormai è un dato acquisito che una parte crescente di tale inserimento è alimentato dal traffico internazionale di persone. Da questo punto di vista, è di particolare interesse il rapporto del rapporto del Centro Studi di Politiche Internazionali (Cespi), che analizza tale traffico, soprattutto nei termini delle condizioni strutturali dell’industria dell’ingresso clandestino, e le caratteristiche dei gruppi e delle organizzazioni che operano su tale mercato a scopo di lucro (soprattutto in termini di lavoro nero e prostituzione). Ma non si trascura di esaminare le varie politiche condotte ai vari livelli politico-istituzionali per contrastare tale traffico.