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Tratto da Redattore sociale

La situazione dei minori non accompagnati

Inseguono un sogno in fuga e raramente lo raggiungono. Sono 7921 i minori stranieri non accompagnati giunti in Italia al 31 gennaio 2002 secondo i dati aggiornati del Comitato per i minori stranieri. I ragazzi, in maggioranza maschi (86,2%) di età compresa tra i 16 e i 18 anni, arrivano da Albania (50,7%) Marocco (17,4%) Romania (8,5%) ed ex Jugoslavia (4,9%). Il fenomeno, in crescita, è alimentato dalla necessità di trovare un lavoro e un futuro migliore, con la complicità delle famiglie, disposte a indebitarsi per pagare il viaggio, il cui costo si aggira tra gli 800 e 1500 euro. Per questo “investimento”, viene stipulato un vero e proprio contratto con i “trafficanti di minori” che prevede il versamento di un anticipo alla partenza e il saldo dell’intero costo del viaggio una volta che il ragazzo arriva a destinazione. Giunti in Italia i minori non accompagnati hanno in tasca gli indirizzi degli enti che offrono ospitalità, a dimostrazione dell’esistenza dello sfruttamento da parte elle organizzazioni criminali. I più fortunati raggiungono parenti di secondo o terzo grado che vivono nel Paese di arrivo, per gli altri il destino è quasi segnato: sfruttamento, delinquenza e clandestinità.

A coloro che si rivolgono alle strutture viene concesso un permesso di soggiorno temporaneo, al quale hanno diritto fino al compimento della maggiore età. Qui si apre il momento più critico per il futuro dei ragazzi, in quanto le condizioni per il rinnovo del permesso di soggiorno, diventate più restrittive dopo l’introduzione della legge “Fini-Bossi”, vengono valutate dal Comitato per i minori stranieri, che solo in pochi casi emette parere favorevole. Che cosa accade dunque? I lunghi tempi di attesa gettano i giovani in un limbo, vera e propria anticamera di un ritorno alla clandestinità, anche per quelli inseriti da tempo in progetti di lavoro e nella vita attiva del Paese. Anche a questa anomalia si è trovata una risposta. Secondo l’esperienza di padre Peter, un “battitore libero” dell’assistenza ai minori stranieri non accompagnati di Roma e dintorni, molti di coloro a cui non viene rinnovato il permesso di soggiorno e dunque devono essere rimpatriati, fanno ricorso al Tar del Lazio, che ha maturato una giurisprudenza specifica. “Ad oggi si contano 60 processi in corso – dice padre Peter – e circa una quarantina di questi sono arrivati a sentenza con giudizio favorevole per i ragazzi, avversando la decisione della questura che avrebbe dovuto rimpatriare il giovane straniero nel suo Paese”. Storia finita? Sembra di no. La questura prende tempo, nonostante il parere del giudice, e quello che potrebbe essere un atto burocratico di qualche giorno, dura mesi come denuncia padre Peter, riaprendo la strada della clandestinità. E i ragazzi cosa fanno in attesa del rinnovo? “Alcuni tornano al lavoro tacendo lo stato di clandestinità, altri abbandonano l’occupazione che avevano, vanificando tutti gli sforzi prodotti fino a quel momento”. Il meccanismo del ricorso al Tar segue in linea ideale una prassi fin qui applicata da alcuni Tribunali per i Minorenni, che nell’affidare un ragazzo straniero, investono una Comunità di accoglienza dell’obbligo di inserirlo in un percorso formativo sia esso lavorativo o scolastico. Obbligo che viene indicato specificamente nel decreto. A questo punto è la comunità stessa ad intervenire presso la Questura competente per ottenere il permesso di soggiorno per il minore. Richiesta a cui la Questura non ha motivo di sottrarsi. Una prassi, questa, che va a tutela dei ragazzi ma che tuttavia non è così diffusa sul territorio italiano. Normalmente, infatti, il Tribunale affida il minore ai servizi sociali del Comune “perché provveda”, una formula molto più generica che non impegna concretamente a nessun intervento specifico l’ufficio comunale.

La legge sull’immigrazione “Bossi-Fini” prevede l’assegnazione del permesso di soggiorno ai giovani dopo il compimento della maggiore età solo se questi vivono in Italia da almeno tre anni e, se da due, “seguono un progetto di integrazione sociale e civile” di un ente pubblico o privato. Quest’ ultimo dovrà garantire che il giovane frequenti corsi di studio o possieda un contratto di lavoro e una residenza propria. Gli effetti della nuova legge non sono però quelli desiderati; infatti, i minori giungono nel nostro Paese troppo tardi per poter concludere i tre anni di progetto richiesti, e per non essere espulsi tornano allo stato di clandestinità. Un rischio ulteriore dovuto all’abbassamento dell’età media dei clandestini minorenni. Per soddisfare le richieste del decreto è infatti necessario giungere in Italia a un età non superiore ai 15 anni mentre l’età media dei ragazzi che arrivano ora è di circa 16 anni.

Per conoscere meglio gli effetti dell’entrata a regime della nuova legge sulla gestione dei minori stranieri non accompagnati, l’organizzazione Save the Children avvierà un monitoraggio, all’interno di un programma europeo, presso tutte le comunità di accoglienza per minori, attraverso la distribuzione di un questionario, i cui risultati saranno pubblicati a breve.

Nell’attesa qualcosa si può anticipare. La gestione e l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è stata affidata, con la nuova legge, agli enti locali. I fondi a disposizione dei comuni italiani sono però molto limitati e non sufficienti per garantire l’accoglienza di tutti i minori in comunità specializzate, con personale qualificato e presente 24 ore su 24. Per far quadrare i bilanci, alcune città come Torino e Genova hanno imboccato da poco la strada dell’accoglienza di bassa soglia. Si tratta di garantire ugualmente un’assistenza ai ragazzi che vengono inseriti in comunità per adulti o affidati ad associazioni di volontariato, con personale non specializzato, ma comunque efficiente, che assicura l’assistenza necessaria con un notevole risparmio di denaro. Con quali risultati? Elena Rozzi di Save The Children ci conferma che “è vero che la spesa per gli enti locali si riduce moltissimo, ma i giovani, soprattutto quelli alloggiati nelle centri per adulti, sono abbandonati a se stessi e talvolta non si vedono riconosciuti i diritti fondamentali. I risultati quindi sono negativi per i minori alloggiati nelle comunità per adulti e più confortanti per quelli sistemati presso le associazioni di volontariato”.