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da La Stampa del 9 agosto 2004

Il Ministro degli esteri libico: Allarme da Tripoli “Ormai siamo all’invasione”

inviato a Tripoli

Lo scenario che delinea é a tinte fosche: “Se per voi italiani
l’immigrazione clandestina é un problema, per noi é molto di più: é
una invasione. E di fronte all’invasione abbiamo paura della reazione
del popolo libico”. Il ministro degli Esteri della “Gran Jamahiria
araba libica popolare socialista”, Abdulharam Shalgham, sul tema
della cooperazione nel contrasto all’immigrazione clandestina chiede
a Roma di fare di più: “Dobbiamo trovare insieme una soluzione al
problema”, spiega. Rispetto a un anno fa, quando l’intervistammo alla
vigilia della visita del nostro ministro dell’Interno, Beppe Pisanu,
a Tripoli, Shalgham é molto più allarmato. Anche perché, oggi, dalla
sua analisi affiora il timore che “con il popolo errante dei
disperati che emigrano, si possano infiltrare i terroristi islamici”.
Non solo, Shalgham teme che nella fascia al confine tra Libia,
Algeria, Nigeria, Ciad e Sudan, “gli integralisti islamici vogliano
fondare uno Stato cuscinetto islamico”. A questo proposito, parlando
della crisi nel Darfur, la regione del Sudan che confina con la
Libia, obietta a chi propone l’invio di una forza di interposizione
militare occidentale: “Se questo accadesse, quella regione si
trasformerebbe in un nuovo Afghanistan”.

Ministro, in queste ore continua il flusso di clandestini che,
salpati dalle coste di Zwara, sbarcano in Italia.

“In questi ultimi anni la cifra di immigrati é aumentata in modo
incredibile. Sono oltre un milione. Nei giorni scorsi, insieme al
collega Naser al Mabruk (ministro degli Interni, n.d.r.) abbiamo
convocato gli ambasciatori di ventidue paesi africani annunciandogli
che avremmo proceduto con il rimpatrio di migliaia di immigrati. Cosa
che abbiamo iniziato a fare dalla settimana scorsa, con voli charter
e carovane di bus e auto. Per questa nostra iniziativa abbiamo
ricevuto reazioni negative da paesi come il Ghana, il Ciad, la
Nigeria, che ci hanno criticato perché avevamo deciso il rimpatrio
forzato”.

Girando per Tripoli, colpisce vedere – come del resto accade
anche in Italia – immigrati che lavorano in quel segmento del mercato
che, evidentemente, é stato lasciato libero: per esempio, l’edilizia
o le pulizie. Insomma, é una mandopera preziosa, irrinunciabile. Qual
é allora il problema?

“Lei ha visto ancora ben poco. Alcuni quartieri della città sono in
mano loro. Impongono le loro leggi, circola la droga e la
prostituzione.
Quasi ogni settimana si registrano omicidi, la situazione diventa
sempre di più insostenibile. Quando dicevo che per noi é una
invasione, intendo dire esattamente questo: la loro presenza sta
cambiando anche il tessuto sociale della Libia. Se rimangono qui
ancora per 10-15 anni, la Libia non sarà più la stessa”.

Da circa un anno é in vigore l’accordo di cooperazione tra Italia e
Libia. Dal nostro versante, i risultati si vedono: i numeri dicono
che rispetto all’anno scorso gli sbarchi sono dimezzati. Dal vostro
punto di vista, qual é il bilancio dell’accordo?

“Positivo, anche se la cooperazione va molto al rilento. L’Italia
finanzia i voli charter di rimpatrio degli immigrati illegali, é
questo é positivo. Ma non basta. Gli altri punti dell’intesa, come
per esempio l’invio delle tende, l’allestimento di centri di
raccolta, ancora devono essere soddisfatti. Da una settimana abbiamo
iniziato la campagna di trasferimento degli immigrati nei loro paesi
d’origine. Dobbiamo agire in fretta anche perché temiamo che si apra
un nuovo fronte di invasione dal Darfur. Per questo abbiamo deciso di
chiudere la frontiera con il Sudan”.

Alcuni quotidiani occidentali hanno scritto che nelle settimane
scorse avete smantellato, ai confini con il Ciad, un campo
d’addestramento del Gruppo Salafita per la predicazione e il
combattimento. Conferma la notizia?

Il ministro tratteggia con un pennarello su un foglio i contorni
della Libia, marcando i confini con l’Algeria, la Nigeria, il Ciad e
il Sudan.

“Questo gruppo – dice riferendosi ai terroristi islamici -, dopo aver
attraversato il deserto passando dall’Algeria alla Nigeria e al Ciad,
cercava di infiltrarsi in Libia. Il nostro esercito e la polizia
hanno avuto un conflitto a fuoco. Il bilancio? Sono stati uccisi due
libici, mentre due o tre terroristi sono stati arrestati”.

Gli integralisti islamici volevano agire in Libia o raggiungere, l’Europa?

“Noi sappiamo che vogliono fondare insieme ai ribelli del Ciad uno
Stato cuscinetto, un regno islamico, in quella regione. Siamo molto
allarmati perché non sappiamo più chi sono gli immigrati che entrano
in Libia. Non sappiamo se arrivano per vivere, per lavorare, mangiare
oppure se sono terroristi”.

In queste settimane, in Italia, si é levata più di una voce critica
sull’uso strumentale da parte vostra della questione
dell’immigrazione clandestina.

“E cosa ci guadagneremmo? Chi fa profitti da questi traffici sono
soltanto le organizzazioni criminali. Non possiamo più tollerare
tutto questo. Al ministro Pisanu ho spiegato tutto. proprio in questa
stanza. Noi non stiamo strumentalizzando un bel niente, anzi
investiamo risorse, uomini e mezzi per fronteggiare questa invasione,
diamo aiuti a Paesi, come la Nigeria e il Ciad, per proteggere i loro
confini, ci stiamo spendendo al massimo per pacificare questa area,
martoriata da guerre civili e dalla fame. Ma da soli non possiamo
farcela. L’opinione pubblica italiana deve essere informata sulla
reale dimensione del fenomeno”.

Diceva prima della crisi nel Darfur. Il Consiglio di sicurezza
dell’Onu ha approvato una risoluzione che invita al disarmo le parti
in causa. L’Unione Africana sta valutando l’invio di truppe di
interposizione. E’ una strada percorribile?

“Perché si parla solo del Darfur ma non anche del Ciad o della
Nigeria, dove la situazione é anch’essa grave anche se, forse, non ha
le stesse dimensioni? Proprio nei giorni scorsi, con il presidente
della Nigeria, in qualità di presidente dell’Unione Africana, abbiamo
discusso a Sirte dell’invio di una forza militare africana di
interposizione che, perÚ, da sola non é sufficiente. Ci sono tanti
problemi urgenti nel Darfur: innanzitutto quello della sicurezza, di
garantire l’incolumità delle persone, e poi quello di far arrivare
cibo. Più in generale, dobbiamo lavorare per creare le condizioni per
un compromesso politico tra tutte le parti in campo. Quello che
comunque va evitato é la internazionalizzazione del conflitto. Se in
quella regione si insediassero soldati americani, inglesi od europei,
i fondamentalisti islamici arriverebbero come gli orsi attratti dal
miele. Avremmo un’altra Afghanistan, un altro Iraq. Gli integralisti
inciterebbero alla ìguerra santaî. Bisogna evitare assolutamente che
si arrivi a questo. Che gli aiuti degli Stati Uniti e dell’Europa si
limitino a cibo e mezzi logistici”.

Ministro, come giudica lo stato attuale dei rapporti tra la Libia e l’Italia?

“Dobbiamo continuare a lavorare insieme per rafforzare i rapporti
bilaterali, perché diventino strategici, solidi, veri, trasparenti.
Rispetto al vecchio contenzioso abbiamo siglato un accordo, dove nero
su bianco sono segnati gli impegni, che dobbiamo onorare. C’é bisogno
di rafforzare la cooperazione in diversi settori: penso al problema
delle mine, che per noi rimane un flagello. E c’é bisogno di un gran
gesto per voltare pagina, per costruire una nuova era di rapporti di
vicinanza e amicizia. Dieci giorni fa, la Francia ha siglato un
grande accordo con l’Algeria, che prevede investimenti francesi in
infrastrutture da parte di Parigi, la cancellazione dei debiti e
l’aperture di crediti per miliopni di dollari a interessi molto
bassi. Il rapporto fra l’Italia e la Libia deve diventare un modello
per tutti i paesi del nord e del sud”.