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da Il Manifesto del 16 settembre 2004

Libia, missione impossibile di Carlo Lania

Iprimi poliziotti italiani potrebbero sbarcare in Libia entro la fine del mese, al massimo nei primi giorni di ottobre. Ormai è tutto pronto e al Viminale si stanno mettendo a punto gli ultimi particolari della missione che dovrebbe segnare il primo atto concreto della collaborazione italo-libica nel contrasto dell’immigrazione clandestina. Martedì scorso, presso la sede del reparto mobile di Ponte Galeria, vicino Roma, è cominciato un corso per insegnare agli agenti le nozioni base della cultura libica, della religione e alcune parole fondamentali di arabo. Informazioni che potrebbero servire ai nostri agenti per evitare incomprensioni con i colleghi libici. Anche se in ritardo sui tempi annunciati (inizialmente la data di partenza era stata fissata per ieri) l’arrivo a Tripoli dei primi 130 poliziotti è visto da Palazzo Chigi come il sospirato avvio degli accordi messi a punto ad agosto tra il premier Silvio Berlusconi e il leader libico Muhammar Gheddafi. Accordi presentati come un successo politico, ma subito messi a dura prova dai numerosi sbarchi che continuano a succedersi a Lampedusa, segno tangibile della scarsa voglia dimostrata fino a oggi dalle autorità libiche nel voler fermare le carrette del mare. «Proprio per questo serviva dare un segnale, far vedere che comunque le cose si muovono», spiegano dal Viminale. «Il problema, semmai è che la missione rischia di essere solo un’operazione di immagine, utile forse a placare le polemiche interne ma del tutto inutile a fermare gli immigrati». Più d’uno i motivi che spingono al pessimismo: oltre a un addestramento giudicato insufficiente, gli agenti rischiano infatti di partire male equipaggiati, specie per una missione che potrebbe vederli impegnati nel deserto, come ha ricordato anche ieri il sottosegretario agli Interni Alfredo Mantovano. Ma anche sprovvisti di tecnologie considerate indispensabili per individuare nel Mediterraneo i barconi carichi di disperati, comprese le telecamere a raggi infrarossi senza le quali il pattugliamento notturno diventa impossibile. «Ma non basta», prosegue un agente. «La missione potrebbe essere particolarmente rischiosa per i colleghi che vi partecipano, visto che le operazioni di pattugliamento verranno svolte con aerei ed elicotteri che sono disarmati».

Quasi cento anni dopo averla colonizzata (vicenda per la quale ancora oggi Gheddafi chiede all’Italia un risarcimento per i danni di guerra subìti), Roma si prepara dunque a tornare in Libia. I primi a mettere piede a Tripoli saranno 130/140 poliziotti, tra cui sei funzionari, una trentina di ispettori e qualche sovrintendente, oltre agli agenti che avranno il compito di allestire una sorta di questura all’interno dell’aeroporto. Si tratta di volontari, per i quali è prevista un’indennità di missione pari a 130 dollari al giorno fino al grado di ispettore capo e di 146 dollari al giorno per i superiori. «Il problema è che con questi soldi ci devi anche mangiare e dormire», prosegue l’agente.

Compito di questa prima avanguardia sarebbe quello di preparare, gestire e sorvegliare uno dei Centri di accoglienza temporanea che dovrebbe sorgere a circa 130 chilometri sud-est di tripoli, in pieno deserto. La costruzione del Cpt fa parte degli accordi raggiunti con Gheddafi, ma di recente è stata rinviata da Palazzo Chigi per mancanza di finanziamenti. Una decisione che, a quanto pare, non è piaciuta al leader libico. In attesa del via libera alla costruzione del centro di accoglienza, i nostri agenti dovrebbero comunque occuparsi del primo addestramento dei poliziotti libici. Purtroppo per loro, rischiano di ritrovarsi prigionieri all’interno dell’aeroporto. In queste ore, infatti, le autorità libiche stanno vagliando la possibilità di concedere loro il permesso per muoversi nella capitale ma le cose sembrano complicarsi visto che i libici non gradiscono molto l’idea di stranieri che – seppure poliziotti di un paese «amico» – se ne vanno a zonzo liberamente. L’ipotesi più probabile è che il permesso alla fine verrà concesso, ma i nostri poliziotti verranno «aiutati» nei loro spostamenti da un interprete attento nel consigliarli su dove andare e cosa fare.

Non si tratterà comunque di una vacanza. Della spedizione fanno parte infatti anche due aerei e un elicottero della polizia, insieme a due elicotteri della Guardia di finanza, quest’ultimo di supporto ai primi. Il problema dell’embargo a cui la Libia è sottoposta è stato aggirato inviando in Libia due aerei immatricolati al Rai, il registro dell’aeronautica italiana, e quindi considerati non come mezzi militari ma civili. «Anche per questo non è prevista la presenza a bordo di nessun sistema di difesa, né attiva né passiva – dice il nostro interlocutore -. Cosa accadrà se, come è già successo in Albania, i trafficanti ci spareranno addosso?».

Il mezzo prescelto per la missione è il P68 observer, un bimotore della Vulcanair ottimamente usato in Italia dalla polizia per sorvegliare strade e autostrade, ma che potrebbe essere insufficiente per le esigenze di pattugliamento anti-immigrazione. Per avvistare i barconi dei trafficanti di esseri umani infatti l’equipaggio, accompagnato da personale libico, potrà fare affidamento solo sui propri occhi. «Sembra incredibile, ma i due aerei in questo caso sono sprovvisti sia di radar di ricerca che di telecamere a raggi infrarossi, utili a rilevare la presenza di mezzi in mare durate la notte», spiegano ancora del Viminale. Ma cosa accadrebbe in caso di avvistamento di una carretta? «Niente, visto che i nostri aerei non possono comunicare con i sistemi radio libici. Si prende nota delle coordinate della barca con gli immigrati e una volta a terra gli agenti libici danno l’allarme. Solo allora dovrebbe partire un’imbarcazione».

A completare il quadro c’è poi il fatto che i due mezzi impiegati nella missione libica sono stati tolti dal servizio che svolgevano in Italia, uno dei quali predisposto appositamente per il pattugliamento anti-rapina nella Sardegna settentrionale.