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Badanti: la Regione Friuli Venezia Giulia propone una legge

Intervista a Sergio Lupieri, consigliere regionale

La figura delle badanti – così è stato tristemente coniato nella lingua italiana il lavoro di assistenza e cura di coloro che non sono autosufficienti – svolge un ruolo fondamentale nella società italiana, perché copre quella lacuna enorme che lo Stato non garantisce, ossia tutta quella parte di assistenza e servizi di cui le famiglie hanno bisogno.
Donne che lasciano al loro Paese tutto quello che hanno: mariti, figli, genitori. Molte non hanno il permesso il soggiorno e non possono essere regolarizzate – come il resto dei cosiddetti clandestini– anche se in possesso di un lavoro regolare. Costrette al lavoro nero sono ricattabili sotto tutti i punti di vista.

In Friuli Venezia Giulia lo scorso 1 ottobre è stata approvata la prima legge regionale che riconosce la figura dell’assistente familiare, la cosiddetta badante, e che, oltre a prevedere misure di sostegno economico per le famiglie che si avvalgono di queste figure professionali, prevede interventi di formazione, di promozione dell’incontro tra domande e offerte di lavoro.

Abbiamo rivolto alcune domande a Sergio Lupieri, consigliere regionale della Margherita e Vicepresidente della III Commissione consiliare. [ascolta ]

Domanda: Quale dibattito ha portato all’approvazione di questa legge?

Risposta: Si tratta di un dibattito molto costruttivo, trasversale a tutte le forze politiche, per risolvere e dare un contributo legislativo ad un fenomeno che esiste, che finora non era stato affrontato e che la nostra amministrazione regionale di intesa democratica del Presidente Riccardo Illy, ha inteso far suo per governare un sistema che finora si autoregolava da solo, cioè le famiglie della nostra regione da sole, quindi senza linee guida, senza linee di indirizzo e punti di riferimento – come tante altre famiglie italiane – cercavano queste assistenti familiari, facendosi carico di un’attività che non sempre le portava a delle scelte valide e le lasciava un po’ allo sbaraglio.
Noi abbiamo inteso porre delle linee guida, porre dei paletti, governare un sistema, creando formazione, creando un contributo alle famiglie che hanno questo onere, il tutto per evitare l’istituzionalizzazione dei pazienti, cioè il ricovero, per tenerli a casa il più possibile, in quanto riteniamo che la domicialiarità per le persone anziane sia il bene più prezioso, ossia restare nel proprio ambiente naturale con i loro affetti e le cose più care.

D: Alcuni esponenti della Regione Friuli Venezia Giulia, schierati trasversalmente, hanno sottoscritto un progetto di legge nazionale che propone una nuova sanatoria mirata per tale tipologia di lavoratrici. In cosa consiste questa proposta?

R: L’attività di assistente familiare è stata caratterizzata da una presenza forte di donne extracomunitarie, che provengono di solito da molti Paesi dell’est Europa, regioni balcaniche e territori dell’ex Unione Sovietica.
In Italia le donne che vengono a svolgere quest’attività lavorativa sono circa 400.000; si tratta quindi di un fenomeno importante, significativo, di rilievo sociale, per il quale sono state anche emanate delle disposizioni legislative nazionali (la legge n.189, n.195, n. 222 del 2002) che danno delle linee di riferimento all’emersione del lavoro irregolare, prestato da lavoratori extracomunitari che non hanno il permesso di soggiorno.
Questo fenomeno delle assistenti familiari assume rilevanza da un punto di vista del sistema dei servizi sociali, perché queste donne extracomunitarie assicurano prestazioni lavorative che, per le caratteristiche che hanno e per le modalità in cui si svolgono, non trovano consenso nelle donne italiane, cioè non vedono disponibili le donne italiane a questo tipo di attività. Si tratta di risorse umane molto importanti, indispensabili per mantenere i livelli di assistenza delle persone, soprattutto non autosufficienti, nel proprio domicilio.
Per questo, tante regioni italiane, come il Veneto, la Liguria, l’Emilia Romagna, la Toscana, le Marche e Friuli Venezia Giulia, hanno svolto delle iniziative per assicurare un inserimento di tali attività nella rete locale dei servizi, con interventi finalizzati all’acquisizione di capacità necessarie linguistiche, elementari abilità per l’assistenza continua alle persone.
Molto spesso si sono, però, registrati fenomeni di reperimento ulteriore di risorse umane extracomunitarie, che sono state ottenute mediante canali di ingresso non ufficiali nel nostro Paese, con una complicità delle famiglie, in netto contrasto con quelle che sono le normative poste in essere dal legislatore nazionale, relative all’emersione dell’irregolarità. E, quindi, ci siamo trovati ad affrontare una situazione generalizzata, non superabile senza un adeguato intervento legislativo, che consentisse nel contempo un’ulteriore trasparente regolarizzazione delle presenze irregolari, stimabili più o meno in qualche decina di migliaia di casi, per governare questo fenomeno nell’ambito dei flussi di accesso.
Queste finalità si possono raggiungere soltanto con specifiche norme di legge, oppure con atti che hanno valore di legge, che devono essere assunti da parte del governo; atti che si propongano di promuovere e sollecitare, con l’approvazione di un progetto di legge nazionale, che noi abbiamo presentato, intitolato “Interventi per favorire l’assistenza familiare”, elaborato ai sensi dell’art.26 del comma I dello Statuto.
Questa nostra proposta di Legge è composta da tre articoli; è una proposta che è secondaria alla legge sulle badanti, in quanto consente che la legge sulle badanti possa realizzarsi al meglio soltanto se, a livello nazionale, saranno legiferate delle situazioni che consentano ciò che andrò dicendo e che è contenuto negli artt.2 e 3 della Legge.
Con l’art.2 intendiamo promuovere la modifica dell’art.27 del decreto legislativo n.286 del ’98, che concerne la disciplina dell’immigrazione. Vogliamo introdurre un’ulteriore modalità di ingresso per lavoro nel nostro Paese, che vada in deroga alle quote previste dalla medesima normativa. Il personale da impegnare in attività di assistenza, che sarebbe il beneficiario di questa possibilità, deve comunque aver seguito una specifica attività di formazione nel Paese di origine. Questo, quindi, è il paletto: per usufruire di questo allargamento dei flussi d’ingresso bisognerà aver fatto la formazione nei Paesi d’origine.
Per tali lavoratori viene prevista la medesima disciplina che oggi è in vigore per gli infermieri professionali che vengono assunti presso strutture sanitarie pubbliche e private.
Abbiamo, quindi, allargato una disciplina che oggi è già in vigore.
Con l’art.3 di questo progetto di legge, vogliamo promuovere, invece, la modifica dell’art.10 del DPR 917 del 1986 del T.U. delle imposte sui redditi: proponiamo di introdurre la totale deducibilità dei contributi previdenziali ed assistenziali, versati dalle famiglie per gli addetti all’assistenza a domicilio delle persone in condizioni di non autosufficienza o di ridotta autosufficienza, e questo beneficio opera in favore delle persone se fiscalmente a carico. Le spese sostenute devono essere relative a personale qualificato.
La disposizione, attualmente in vigore, prevede la deduzione sino ad un importo massimo annuo di circa 1.800 euro. Aumentiamo, quindi, i flussi, garantendo personale formato, qualificato e la possibilità, da dare alle famiglie, di scaricare le spese, che finora andavano in nero.