Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Il Manifesto del 6 novembre 2004

Gli avvocati del soccorso stradale

Quando gli avvocati di strada debuttano a Bologna, nel gennaio 2001, sono solo in due. Oggi, sotto le due torri, a difendere gratis i senza fissa dimora sono stabilmente in trenta più un bel po’ di volontari. E questa esperienza, nata intorno al mensile Piazza grande, ne ha partorite di analoghe a Torino, Milano, Verona, Padova mentre Bari e Napoli, le due Reggio (Emilia e Calabria), Vicenza si preparano a seguirle. Il loro sportello bolognese era in via Libia 69, sede di Piazza grande – prima rivista italiana «dei senza tetto» – e degli omonimi magazzini: riparazione biciclette, vendite di oggetti usati, unità mobile di sostegno e molto altro ancora. A luglio un incendio l’ha resa inagibile ma gli avvocati di strada – d’ora in poi avs – hanno continuato a lavorare, intensificando la loro presenza nei dormitori: una pratica senza dubbio più adatta a un tipo di clientela poco avvezza a frequentare studi legali. Di cosa avevano bisogno le persone – 341 uomini e 132 donne nei primi tre anni di attività – che a Bologna si sono rivolte agli avvocati di strada? Perlopiù chiedevano aiuto per piccole noie legali di vario tipo: molto spesso multe non pagate o rapporti burrascosi con le forze dell’ordine. Ma al primo posto per importanza ci sono tutte le delicatissime questioni legate all’affidamento dei minori e (pur se sembrerebbe paradossale parlando di chi non ha un tetto sulla testa) il diritto a una residenza, che molte amministrazioni faticano a riconoscere «pur se è contemplato dalla Costituzione», ricorda l’avvocato Antonio Mumolo. Ed è qui che gli avs si sono scontrati con il Comune di Bologna: vincendo nel giugno 2001.

Causa pilota

La causa-pilota porta il nome di Antonio De Fazio che chiedeva di fissare la sua residenza nel dormitorio pubblico anche per esercitare il diritto di voto. Così De Fazio e altri trecento ospiti dei dormitori bolognesi alle ultime elezioni hanno potuto inserire la scheda nell’urna. Ma avere una residenza ovviamente aiuta nella ricerca di un lavoro o di una casa. Frequenti anche i ricorsi contro le decisioni del Tribunale dei minori che spesso affidano i figli di uomini e donne in difficoltà (senza tetto, alcolisti, tossicodipendenti) a estranei: talvolta cancellando del tutto l’esistenza di una famiglia, i nonni ad esempio, che potrebbe occuparsi dei ragazzi evitando un trauma maggiore per i più piccoli e consentendo al genitore di restare vicino al figlio. «E questo rapporto con i ragazzi è spesso uno stimolo a riprendere in mano la propria vita» spiegano gli avvocati bolognesi chiedendo però di non entrare troppo nei particolari: «perfino riconquistare la privacy può segnare il passaggio dall’esclusione a una cittadinanza».

A metà novembre un libro – almeno all’inizio distribuito, come inserto di un quotidiano locale, solo a Bologna – racconterà cosa fanno gli ads. Ma è evidente che, al di là delle modalità inedite, ci si trova di fronte a un vecchissimo problema, cioè la non parità nell’esercitare il fondamentale diritto a essere difesi, che sta riesplodendo. Nei confronti delle crescenti «nuove povertà» ma anche rispetto ai migranti, poco informati e ancor meno tutelati rispetto alle leggi italiane. Una maniera per affrontare questa emergenza sociale può essere quella scelta dall’Associazione dei giuristi democratici di Bologna che con la Regione Emilia-Romagna ha pubblicato in 8 lingue Il patrocinio a spese dello Stato in 15 domande, un testo rigorosamente gratis e no copyright. Ma altre – e opposte – strategie sono possibili: se girano troppi poveri, si può sempre fare come Enrico Hullweck, sindaco di Vicenza, che nel 2003 con l’ordinanza 25021 tentò di proibire sia l’esposizione di «deformità ributtanti» che il sovraffollamento di accattoni (ai quali veniva intimato per esempio di «lasciare uno spazio libero per il transito di pedoni di almeno un metro») nel territorio berico.

«I tentativi di inasprire le norme e/o di invitare le forze dell’ordine a maggiore severità non passano», spiega Antonio Mumolo, uno dei fondatori degli ads: «Sotto le due torri, tentò sia pure in sordina anche l’ex sindaco Giorgio Guazzaloca; e dovette fare marcia indietro».

Quanti sono?

Quanti italiani e non che vivono in strada? Le stime più prudenti contano 220 mila persone (un quarto sono donne). Ma se l’ultima indagine Istat annuncia che circa il 10 per cento delle famiglie è a livelli di povertà, non è difficile prevedere che quelli definiti sfd (senza fissa dimora) siano comunque destinati a aumentare. «Mostrami il vicolo e il treno, mostrami il vagabondo che dorme sotto la pioggia. E io ti mostrerò, ragazzo mio, mille ragioni per cui è solo un caso se al suo posto non ci siamo noi». E’ sempre dalla vecchia canzone-poesia di Phil Ochsche conviene partire: «There But for Fortune», solo per caso. In effetti basta che, in un momento di crisi economica e/o psicologica, manchi una rete amicale o familiare di sostegno per ritrovarsi in strada. «In 4 anni e seguendo centinaia di vicende a Bologna non abbiamo trovato nessun clochard per scelta. L’idea romantica del vagabondo va ripensata: oggi a chiedere l’elemosina, a cercare un letto al dormitorio incontri chi ha la pensione minima. Ma anche una separazione, il dover pagare gli alimenti, a volte fa saltare il difficile equilibrio reddito-casa», spiega Mumolo.

Gli ads difendono gratis chi non si può permettere di pagare neppure per difendere i diritti minimi, ristabilendo così un principio di giustizia. In alcune città (per esempio Reggio Calabria) ai nascenti ads viene lanciato un avvertimento: secondo l’ordine degli avvocati non sarebbe consentita la difesa gratuita. «Invece due sentenze della Cassazione civile, per la precisione sezione III, 30 dicembre 1993, numero 13008 e sezione II, 3 dicembre 1994, numero 10393 confermano che si può, anzi che è sacrosanto», insiste Mumolo. Infatti – spiega Carmen Quattrone, avvocato reggino – «partiremo anche noi, appoggiandoci alla Curia, nel 2005». Di come allargare la rete degli ads si è parlato (a metà ottobre) in un convegno a Padova. Ricorda Sonia Mazzon, funzionaria del Comune, che una recente indagine a Padova ha registrato 2367 senza fissa dimora: fra loro 303 donne e un 65% di immigrati, ma in questo caso la definizione si riferisce semplicemente ai non nati in città. «Abbiamo messo in piedi due progetti per aiutare chi vive in strada ma soprattutto cerchiamo di rendere i servizi più flessibili e meno frammentati», racconta la Mazzon.

Una delle questioni aperte è come allargare la tutela degli ads ai detenuti (e agli ex): ne parla, per esperienze vissute sulla pelle, Francesco Morelli, collaboratore storico della rivista Ristretti orizzonti. «Chi esce dal carcere spesso diventa, o torna, un sfd. A un nostro questionario hanno risposto, a inizio ottobre, 391 detenuti (245 italiani) e i tre quarti dicono che, al momento di uscire, non avranno un posto per dormire; il 31% ha già vissuto in strada». I commenti che arricchiscono il questionario sono illuminanti: «possedevo una casa prima che me la sequestrassero» oppure «sulla strada ci sono nato».

Difendere i detenuti

Esiste un modo per garantire la presenza degli ads anche fra i detenuti? «C’è un’esperienza nelle carceri toscane che vede impegnati 160 avvocati» racconta Ornella Favero di Ristretti orizzonti. «Attenzione però» replica Mumolo: «E’meglio uno sportello di informazione giuridica, magari con la clausola che quegli avvocati non potranno prendersi clienti nel carcere dove offrono la consulenza, altrimenti questo lavoro rischia di essere scambiato per una concorrenza ambigua». Per rompere il silenzio intorno ai «senza tetto» e alle altre forme di emarginazione, sempre a Padova è nato Il brontolo: mille e una voce dalle strade e dalle piazze. Uno dei redattori, Daniele Sandonà, spiega: «E’ la prima uscita, dopo 6 mesi di incontri e ora affiancheremo alla rivista un sito. C’è bisogno di far sentire il brontolio della gente qualsiasi che troppi mass media non ascoltano». E c’è chi azzarda la battuta: «più che Brontolo le redazioni d’oggi dovrebbero chiamarsi Mammolo o Pisolo, visto come si comporta la maggior parte dei giornalisti».

Nel dibattito padovano – che ne segue uno analogo a Roma in luglio – si sottolinea che l’impegno degli avvocati e dei volontari non può bastare se «il piatto delle risorse è sempre più piccolo» e che dunque occorre muoversi anche a livello economico e politico. Ottimista cosmico è don Gianfranco Zannato, direttore della Caritas diocesana, che si è spinto (se pure inmodo sorridente) a suggerire: «Lo Spirito Santo è un collega di questi avvocati». Qualcuno che in strada ci ha vissuto gli ha risposto, sottovoce: «Il vero miracolo sarebbe curarsi i denti gratis ma io mi accontenterei che resuscitasse il welfare».

di Daniele Barbieri