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da Il Giornale di Brescia del 9 novembre 2004

L’immigrazione non è un pericolo: le aziende domandano manodopera

Dopo le associazioni imprenditoriali, che da tempo lamentavano l’esiguità delle quote d’ingresso stabilite dal Governo rispetto alle esigenze di manodopera delle aziende, finalmente anche il ministro Pisanu ammette che servono più immigrati. La legge Bossi-Fini, già inaccettabile sul piano dei principi e punitiva verso persone che hanno l’unica colpa di cercare con l’immigrazione una «chance» di vita migliore, non funziona neanche nella sua concreta applicazione. Gli strumenti per monitorare sul territorio la domanda effettiva d’immigrati sono del tutto imprecisi.

I meccanismi d’inserimento nel mercato del lavoro sono un vero e proprio percorso ad ostacoli e, di fatto, è davvero difficile per i datori di lavoro scegliere il personale nei Paesi d’origine, come prevede la legge. Le Questure sono ingolfate dalle pratiche di rinnovo dei permessi di soggiorno che hanno tempi d’attesa di 8-10 mesi (ciò significa che, in molti casi, quando un immigrato ha finalmente ottenuto il rinnovo deve ricominciare la trafila quasi subito, con il rischio sempre presente di ricadere nella clandestinità). La legge Bossi-Fini si dimostra insomma per quello che è sempre stata: una bandiera ideologica sulla quale il centro-destra, e la Lega Nord in particolare, hanno costruito parte delle proprie fortune elettorali, più che uno strumento efficace di governo dell’immigrazione. Le modifiche necessarie sarebbero davvero molte: dall’allungamento della durata del permesso alla reintroduzione dello sponsor, dall’istituzione di un permesso temporaneo per la ricerca d’impiego allo snellimento delle procedure per l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro. Ma soprattutto, ciò che sarebbe necessario è un salto «culturale», un ribaltamento della filosofia di fondo, per tradurre in politiche «positive» ciò che oggi è difesa, contrasto, contenimento.

In troppi casi l’immigrazione è considerata un «pericolo» da cui difendersi anziché una componente potenzialmente positiva dello sviluppo economico, civile e culturale. Le proiezioni demografiche stimano che dal 2023, quando gli attuali trentenni cominceranno ad andare in pensione, serviranno per rimpiazzarli 400mila nuovi immigrati l’anno, fino ad un picco di 800mila nel 2035! Queste sono le dimensioni del fenomeno e prima si capisce che l’immigrazione extracomunitaria è un dato strutturale e permanente, e ci si attrezza di conseguenza, e meglio sarà per tutti. Ecco perché diventano assolutamente prioritarie le politiche dell’integrazione. Ecco perché stona, tra le cose di buon senso dichiarate dal ministro Pisanu, la sua contrarietà all’estensione del diritto di voto amministrativo agli immigrati, che non sarebbe un «lusso» che si concede loro ma un’opportunità di prendere parte alla vita della comunità e di assumersene le responsabilità. A coloro che continuano ad agitare strumentalmente la retorica della sicurezza bisognerebbe chiedere: davvero avremo più sicurezza con un’immigrazione precaria, tenuta ai margini, insicura lei stessa, sempre in bilico tra regolarità e clandestinità, impossibilitata a progettare corsi di vita stabili, a sentirsi parte di un progetto collettivo?

MAURIZIO GOFFREDI