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Commento alla Sentenza Tar Toscana n. 38/2003

Accesso al pubblico impiego da parte dei lavoratori extracomunitari

Una materia di cui ci siamo già occupati in più occasioni è il diritto – tuttora in discussione – di accesso al pubblico impiego da parte dei lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti, ovvero, la possibilità degli stessi di essere assunti (per esempio nelle istituzioni sanitarie, ospedali, case di riposo, scuola) laddove siano in possesso dei titoli di studio previsti per i cittadini italiani.
A prescindere dal problema del riconoscimento dei titoli di studio, il problema relativo al diritto di accedere ai concorsi per il pubblico impiego è stato affrontato – sia pure in occasioni non tanto numerose – da parte della giurisprudenza.
Era stata già data notizia di quelle poche pronunce della magistratura che avevano affrontato il problema: in particolare esiste una sentenza del Tar Liguria n. 129/2000, un provvedimento della Corte d’Appello di Firenze seguito da altre due ordinanze in materia di discriminazione del Tribunale di Genova.

Tutti questi provvedimenti avevano riconosciuto come, a seguito dell’entrata in vigore del Testo Unico sull’Immigrazione (D.Lgsl. 25 luglio 1998, n. 286), sia sancita all’art. 2 (Diritti e Doveri dello Straniero) piena parità di diritti e di trattamento tra lavoratori extracomunitari regolarmente soggiornanti e lavoratori italiani.
Dobbiamo invece dare ora notizia di una sentenza del TAR Toscana (depositata il 24 gennaio 2003) di segno opposto, che respinge un ricorso promosso da una lavoratore immigrato che aveva partecipato ad un concorso indetto dall’Usl n. 10 di Firenze per infermieri professionali.
In questo caso l’Usl di Firenze ha escluso l’interessato dal concorso che, quindi, ha proposto il ricorso al TAR Toscana, ottenendo tuttavia un rigetto dello stesso. Le motivazioni per giustificare il provvedimento sono diametralmente opposte rispetto a quelle adottate da tutte le altre autorità giudiziarie sopra citate. Lo stesso TAR Toscana richiama la sentenza n. 129 del 2000 del TAR Liguria, sopra citata, dimostrando pertanto di conoscere l’orientamento giudiziale di segno opposto, “ma ritiene diversamente … che le norme invocate non sostengano sufficientemente la tesi proposta” . In particolare, è l’interpretazione stessa delle disposizioni di legge – che secondo il TAR Liguria avevano portato al riconoscimento del diritto di accesso al pubblico impiego per i lavoratori extracomunitari – che secondo il TAR Toscana non riconoscerebbero questo diritto.

Si sostiene infatti che, dalla lettura dell’art.2 del Testo Unico sull’Immigrazione sopra citato, emerge che in materia di equiparazione tra lavoratore extracomunitario regolarmente soggiornante in Italia e cittadino italiano, il legislatore avrebbe accolto un principio non di equiparazione giuridica piena, bensì limitata, che, come tale, soffrirebbe di eccezioni. Una di tali eccezioni sarebbe proprio quella prevista all’art. 2, comma 5, in materia dei rapporti con la pubblica amministrazione, laddove si prevede che “Allo straniero è riconosciuta parità di trattamento con il cittadino relativamente alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi, nei rapporti con la pubblica amministrazione e nell’accesso ai pubblici servizi, nei limiti e nei modi previsti dalla legge”. La parità sarebbe pertanto riconosciuta non in termini assoluti e totali, ma nei limiti e nei modi previsti dalla legge.
In sintesi il TAR Toscana afferma che le norme che stabiliscono il requisito della cittadinanza italiana o comunitaria per l’accesso al pubblico impiego, sono rimaste in vigore e non si possono considerare abrogate a seguito dell’intervento del Testo Unico sull’Immigrazione.
Si tratta – anche in questo caso come in altri – di una interpretazione della legge che naturalmente può avere maggiori o minori margini di oscillazione a seconda di quanto puntuale, precisa e circostanziata è la previsione normativa.
Proprio il fatto che nel caso dell’art.2 del Testo Unico sull’Immigrazione, questo pieno diritto di equiparazione sia sancito in maniera generale consente – o meglio avrebbe consentito – al TAR Toscana di ritenere che questo principio generale non vada ad incidere su tutte le materie disciplinate dall’ordinamento giuridico ed, in particolare, non vada ad incidere sulla materia dell’accesso al pubblico impiego.
Sussistendo un contrasto di interpretazione nella giurisprudenza su tale questione, solo a livello di giudizio di appello, quindi in sede di ricorso al Consiglio di Stato, sarà possibile verificare quale dovrebbe essere ritenuta la più corretta interpretazione della legge.
Un’eventuale Sentenza del Consiglio di Stato avrebbe, di fatto, la funzione di uniformare, ovvero armonizzare l’interpretazione della stessa normativa da parte dei giudici amministrativi e, quindi, di dare un indirizzo in un senso o nell’altro, rispetto alla portata dell’art.2 del Testo Unico sull’Immigrazione in materia di parità di diritti.
La questione, come si vede, rimane ancora aperta. Tuttavia, ciò non toglie che l’apporto di ulteriori ricorsi all’attenzione della magistratura e di altri sedi giudiziarie, possa essere comunque utile, perché l’interpretazione della legge è in continua evoluzione e si alimenta di ulteriori apporti e spunti interpretativi che non è detto siano stati tutti finora sviscerati.