Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

dal Piccolo del 5 aprile 2005

«Gli immigrati vanno accolti, ma non in un carcere»

Il parere di un gruppo di giovani sulla realizzazione di un Centro di permanenza temporanea nell’ex caserma «Polonio» a Gradisca

Cosa ne pensano i cittadini di domani su quella struttura che nasce a pochi metri da casa loro chiusa da un muro alto quattro metri circondato dal filo spinato. Ne abbiamo parlato con i ragazzi del gruppo cittadino dei giovanissimi di Azione cattolica, che in una serie di appuntamenti si sono spontaneamente interrogati sul tema dell’immigrazione, dell’integrazione, della necessità di dialogo fra confessioni religiose.
Abbiamo cercato di vedere il Cpt con i loro occhi, provando a capire cosa è emerso dal loro lavoro, culminato fra l’altro con una visita al centro di accoglienza «Balducci» di Zugliano, gestito da don Pierluigi Di Piazza. «Perché a Gradisca non è stata scelta questa strada?», la prima domanda. E poi: «Perché disgregare le famiglie?», «Dove finiscono i minori?»: quesiti senza risposta e un grande malessere per un luogo che non comprendono.
«La temporanea permanenza può avere un senso – afferma Max -, ma quello che non ha senso è il metodo scelto. È chiaro che servono limiti e criteri chiari per disciplinare l’immigrazione, ma ciò non giustifica l’esistenza di un carcere». «A scuola ci hanno mostrato il documentario di ’’Report’’ – racconta Luca – E trovo inquietante che abbiano dimostrato che non è possibile mostrare cosa accade all’interno dei Cpt». «Ci definiamo un paese liberale e democratico – fa eco Giacomo – ma tutto ciò che circonda questi centri sembra dimostrare il contrario: sono luoghi dove rinchiudono la gente e sono stati imposti alla comunità».
Concorde anche Silvia, che si richiama al concetto di accoglienza: «Non abbiamo dati per giudicare, ma già a prima vista mi pare gravissimo che i Cpt siano isolati dal mondo esterno. Servono strutture in grado di garantire una prima integrazione all’immigrati, ai quali per esempio potrebbe essere insegnati un mestiere o la lingua che gli servirà per cercare lavoro».
Ma c’è chi è preoccupato per la sua cittadina. «Si rischia di creare un ambiente diffidente, ostile», è il parere di Alessandro. Ma forse l’amara realtà si può leggere nelle parole di Matteo, pantaloni oversize da rapper: «È una questione di rispetto reciproco, tra chi emigra e chi dovrebbe accogliere. Vorremmo un’Europa multietnica e mutliculturale, ma forse qualcuno non si è ancora accorto che l’Italia è indietro anni luce».
Luigi Murciano