Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza
Photo credit: Francesca Esposito (CPR di Ponte Galeria a Roma)
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Suicidio di Stato nel CPR di Ponte Galeria ed è rivolta

Il messaggio di addio di Ousmane Sylla: “Pace alla mia anima, che io possa riposare in pace”

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Nella mattinata di domenica 4 febbraio, tra le 5 e le 6 del mattino, dentro al CPR di Ponte Galeria (Roma) un giovane 22enne di nome Ousmane Sylla 1 è stato ritrovato esanime: si è impiccato con un lenzuolo annodato a una grata. Ha lasciato un messaggio di addio su una parete della sua camerata: un suo autoritratto, poi qualche riga in francese.

Si je meurs jaimerais quon rianvoi mon corps en Afrique, ma mère serait ravie(…)
les militaire Italien ne conait rien saufe largent,
mon Afrique me manque beaucoup et ma mère aussi. Il ne faut que pleure a cause de moi, paix á mon âme que je repose en paix
2.

Se un giorno dovessi morire, vorrei che il mio corpo fosse portato in Africa, mia madre ne sarebbe lieta (…)
I militari italiani non capiscono nulla a parte il denaro.
Mi manca molto la mia Africa e anche mia madre
. Non c’è bisogno di piangere su di me,
la pace sia con la mia anima e che io possa riposare in pace(..)”.

Secondo quanto riportato da altri detenuti agli esponenti politici che si sono recati nella struttura 3, Ousmane era da giorni visibilmente depresso e disperato. Sulle motivazioni del suo gesto estremo si sono ipotizzate delle ricostruzioni sulla base di quanto affermato da operatori e operatrici del centro o persone terze. Il suicidio é, alle volte, un estremo atto di autodeterminazione: una scelta tragica per sottrarsi a una non-esistenza di fatto, incongrua con la propria identità più autentica, con la propria dignità, con le proprie aspirazioni 4. Noi scegliamo quindi di rispettare la complessità che si cela dietro a un tale gesto, astenendoci dall’avanzare spiegazioni su quanto concretamente lo abbia spinto a metterlo in atto. 

Al contempo, l’autoritratto che ci ha lasciato, le parole che ci ha consegnato, sono un grido a riconoscere la sua umanità e storia negata da una necropolitica delle frontiere (Khosravi, 2019) che criminalizza, imprigiona e disumanizza le persone migranti, fino a negare loro un diritto ad esistere. É per questo motivo che vogliamo ripercorre i suoi ultimi giorni e le poche informazioni che abbiamo su di lui: perché Ousmane non è un numero, a cui sistematicamente sono ridotti reclusi nei CPR e morti in mare e di frontiera, ma una persona con una storia e una dignità negata, che grida giustizia.

Quanto sappiamo di Ousmane Sylla

Ousmane aveva solo 22 anni. Ben quattro anni in meno di chi scrive. Di nazionalità guineana, era arrivato in Sicilia il 28 ottobre scorso sopravvivendo al Mar Mediterraneo. Aveva fatto domanda di protezione internazionale ricevendo un diniego e un provvedimento di espulsione emesso dalla Questura di Trapani. Per questo, sbattuto dentro al CPR di Milo (TP), di cui proprio pochi giorni fa siamo tornati a parlare per le recenti rivolte che hanno reso praticamente inagibile l’intera struttura.

Proprio a seguito di questa rivolta nel CPR di Milo avevamo avuto notizia che, nella giornata del 25 gennaio alcune persone di nazionalità tunisina sono state deportate nel paese di origine; altre, provenienti da paesi dell’Africa Subsahariana, rilasciate; tre persone sarebbero state invece arrestate per gli atti di protesta; altre 50 ancora, invece, erano state trasferite nel CPR di Pian del Lago, Caltanissetta, da cui ci sono giunte le disturbanti immagini che testimoniano delle condizioni riprovevoli in cui versano i trattenuti nel centro.

Ousmane Sylla invece è stato trasferito da Milo al CPR di Ponte Galeria, Roma, dove era detenuto da circa dieci giorni e dove infine ha deciso di terminare il suo viaggio. Non sappiamo molto, dunque, né sul suo vissuto personale né sulla sua esperienza all’interno del CPR. 

Yasmine Accardo di LasciateCIEntrare ci riferisce che Ousmane, come troppo spesso accade nei CPR di tutt’Italia, non era stato messo nelle condizioni di nominare un avvocato di fiducia. «Era da parecchi mesi in Italia in cerca di giustizia e diritti che non ha mai ottenuto. È stato rinchiuso e la violenza esercitata su di lui dal sistema lo ha ucciso» afferma l’attivista, ribadendo la gravità dei 18 mesi di trattenimento in un CPR come da nuove normative: «Terrorizzano chi si trova all’interno, che non solo è ingiustamente trattenuto, ma è anche sottoposto all’immaginario di un tempo infinito dentro un posto di ingiustizia».

Lə attivistə solidali già attive in rete su quanto accaduto ci garantiscono che presto forniranno piú dettagli sulla storia di Ousmane e che combatteranno, con l’aiuto dei e delle legali che hanno preso in carico il suo caso, prima e dopo la sua morte, affinché una qualche forma di giustizia venga fatta, per lui e la sua famiglia.

Il grido di rabbia per la morte di Ousmane

Le persone recluse con Ousmane hanno presto reagito di fronte all’accaduto. Nell’immediato, quando alcuni di loro lo hanno ritrovato hanno tentato di aiutarlo.

Secondo quanto dichiarato in un post dalla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale di Roma, Valentina Calderone, “i suoi compagni hanno tagliato la corda 5 e provato a soccorrerlo chiamando gli operatori del centro. Il ragazzo è stato portato in infermeria dove hanno effettuato le manovre di rianimazione in attesa dell’ambulanza. Quando il medico è però arrivato non ha potuto far altro che constatare il decesso”.

Hanno fatto di tutto per mettersi in contatto con persone solidali e legali all’esterno del CPR, per denunciare quanto avvenuto 6. Oltre a intervenire e denunciare, hanno poi dato vita ad un’accesa protesta.

Secondo quanto riportato dalla stampa, in decine hanno dato fuoco ai loro stessi materassi per appiccare degli incendi che mettessero a fuoco la struttura. Hanno inoltre tentato di sfondare le porte che separano i 5 diversi settori in cui è strutturato il CPR. La polizia avrebbe tentato di reprimerli con lacrimogeni e idranti, ma i reclusi hanno opposto una dura resistenza: un vero e proprio grido di battaglia contro la violenza, i soprusi, l’ingiustizia e le mura. 

Alcuni sarebbero riusciti a sfondare delle grate di ferro e a raggiungere un’auto della polizia parcheggiata a cui avrebbero dato fuoco, ma gli agenti avrebbero presto sedato le fiamme. Una trentina di reclusi avrebbero poi divelto pietre dalla stessa struttura del CPR per lanciarli addosso ai poliziotti, nonché a operatori e operatrici internə. Ci sarebbero anche alcuni agenti feriti. Il Corriere della Sera riporta che la Scientifica avrebbe acquisito le videoregistrazioni per identificare i partecipanti alla rivolta, che rischierebbero immediati provvedimenti di rimpatrio.

Contestualmente, c’è innanzitutto da domandarsi come possa accadere indisturbatamente quanto avvenuto a Ousmane, in un luogo come un CPR che é completamente e costantemente videosorvegliato. Più in generale ci chiediamo come si possa pretendere di individuare e punire responsabilità tra le persone recluse, quando le condizioni del CPR di Ponte Galeria, come di altri CPR d’Italia, erano da tempo esposte e denunciate. Sono infatti proprio queste a istigare la rabbia dei reclusi e le loro legittime espressioni di protesta.

Vengo a conoscenza di un’ennesima morte nel Cpr di Ponte Galeria”, scrive Ilaria Cucchi (Avs), vicepresidente della commissione Giustizia di Palazzo Madama. “Mesi fa feci un esposto alla Procura di Roma, proprio su quella struttura, dopo averla visitata con una telecamera nascosta, depositai l’esposto e le immagini video sulle condizioni del centro che avevo raccolto, venni poi ascoltata dal magistrato ma non ho ebbi più notizie (…) Invito la Procura di Roma a fare chiarezza su quanto avvenuto questa notte e in generale sulle condizioni di vita in quel Cpr, perché queste morti non devono più accadere”.

Morti di Stato

Ousmane Sylla, non è la sola vittima dell’impianto mortifero dei CPR. Solo per citare gli avvenimenti delle ultime settimane, nella serata di venerdì 2 febbraio, una decina di persone trattenute nel CPR di Gradisca d’Isonzo sono salite sul tetto in segno di protesta. Tra queste, una è precipitata dal tetto, da un’altezza di sei metri. Sul posto, è intervenuto l’elisoccorso. Al momento il trattenuto, un uomo tunisino di 34 anni, è ricoverato presso l’ospedale di Udine e riporta fratture molto gravi.

A fine gennaio, nel CPR di Milo (Trapani), in più di 100 sono stati obbligati a dormire nei cortili del centro, esposti al freddo e alle intemperie, scatenando le già citate proteste.

Denunce, disordini e violenze giungono con frequenza allə avvocatə che si occupano di detenzione amministrativa, ma la maggior parte non arriva ad avere un risalto mediatico, restando nell’ombra. 

Non c’è bisogno di aspettare le indagini per poter dire che luoghi come Ponte Galeria sono totalmente disumani. Non c’era bisogno di aspettare la morte di un giovane ragazzo per dire che questi posti vanno chiusi“, prosegue nel post la già citata Garante sul territorio di Roma, Valentina Calderone. 

Ousmane Sylla è all’incirca la quarantesima vittima della detenzione amministrativa. Ancora alla quarantesima morte, i principali canali di informazione narrano i fatti come se si trattasse di casi isolati, tragici incidenti. La maggioranza delle violazioni dei più basici diritti umani che avviene quotidianamente nei CPR resta nell’ombra. I media si attivano solo quando si arriva alla morte di qualcuno. Invece, è necessaria  più che mai una narrazione che evidenzi la sistematicità delle violazioni dei diritti delle persone recluse, che evidenzi come non si tratti di “casi di suicidio”, “casi di violazione dei diritti”, ma che il caso è soltanto uno, il “caso CPR”: il risultato di una scellerata politica securitaria, che ogni giorno nega i diritti e produce morti e ingiustizie disperazione. 

E’ ora che la politica, il Viminale, lo Stato, le Prefetture si assumano la responsabilità di quello che da ormai 25 anni sta accadendo nei luoghi di detenzione amministrativa.
E così anche la società civile che per troppo tempo si è girata dall’altra parte, senza avvedersi che i diritti fondamentali – e in primo luogo quella alla libertà personale – quando vengono calpestati per alcun*, si affievoliscono per tutte e tutti
”. (Mai piú Lager – No ai CPR)

In ultimo, un appello al rispetto delle ultime volontà del giovane lo sottolinea con decisione Yasmine Accardo: «Prima di impiccarsi ha lasciato un messaggio che è un testamento estremamente importante, che tutti noi chiediamo con forza di rispettare, cioè che il suo corpo venga riportato nel suo paese di origine. Il corpo deve tornare nel suo paese. Non accetteremo che venga tumulato in Italia.
L’Italia non merita il corpo di questo ragazzo, non merita la sua presenza, la presenza di un ragazzo coraggioso che il sistema ha ammazzato
».

Intanto è stata predisposta l’autopsia sul corpo e la procura di Roma ha ufficialmente aperto un’indagine per istigazione al suicidio. Seguiranno presto aggiornamenti.

  1. Ancora non sappiamo se siano stati identificati dei familiari e se questi siano stati effettivamente avvisati della tragica perdita. Per quanto nominare Ousmane nelle sue generalità anagrafiche possa costituire una forma di violenza in caso la notizia sia arrivata prima a noi che ai suoi familiari, il suo nome é stato già nominato da media e autorità ufficiali, perció riteniamo sarebbe altrettanto violento silenziarlo.
  2. Abbiamo deciso di riportare il testo originale esattamente per come scritto da Ousmane.
  3. In particolare, il deputato e segretario di +Europa Riccardo Magi e la senatrice PD Cecilia D’Elia.
  4. Per una potente riflessione sul suicidio come gesto estremo di autodeterminazione nei soggetti razzializzati, si consiglia la lettura di “Memorie della piantagione. Episodi di razzismo quotidiano” di Grada Kilomba.
  5. Ovvero il lenzuolo con cui “ha fatto la corda”, nel gergo utilizzato dalle persone recluse.
  6. Ricordiamo contestualmente che comunicare con l’esterno é estremamente difficile: in quasi tutti i CPR d’Italia, Ponte Galeria compreso, i reclusi non hanno la possibilità di tenere i propri telefoni cellulari, in completa negazione del loro diritto a una libera corrispondenza. Per approfondire:  “CPR: il diritto alla libertà di telefonare è davvero inviolabile?” CILD, 2022.

Francesca Reppucci

Laureata nel corso di studi magistrale di Human Rights and Multi-level governance presso l’università di Padova, attualmente lavoro come operatrice sociale in un progetto di accoglienza straordinaria per richiedenti asilo.

Nicoletta Alessio

Dopo una laurea triennale in Scienze Politiche Sociali e Internazionali all'Università di Bologna, mi sono laureata nel corso magistrale in Migrazioni Inter-Mediterranee delle Università Ca' Foscari di Venezia e Paul Valéry di Montpellier. Mi interesso di politiche migratorie ed etnografia dei confini e ho approfondito con due esperienze di ricerca sul campo la cooperazione italiana con Tunisia e Algeria in tema di espulsioni.