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da l'Unità di martedì 17 maggio 2005

Migranti e lavoro, ancora discriminati e sfruttati

L’Italia si conferma terra di approdo per i migranti. Una volta erano i nostri connazionali a partire: 60 milioni di italiani sono andati a costruirsi un futuro in giro per il mondo. Oggi, fisiologicamente, è il nostro paese uno dei luoghi di destinazione di chi lascia la propria terra in cerca di lavoro o per sfuggire a condizioni di vita difficili. I tassi di crescita della poplazione straniera ha fatto un salto negli ultimi 3 anni: se dal 1995 al 2001, la crescita media era aumentata del 14%, nel periodo 2001-2004 si è passati al 27%.
Restiamo tuttavia vicini alla media europea. Sono circa 3 milioni gli immigrati residenti in Italia, arrivati da 191 paesi diversi, e rappresentano l’8% dell’intera forza lavoro. La percentuale sale esponenzialmente in diversi settori: nel manifatturiero siamo al 12%, al 15% in agricoltura, al 20% edilizia e addirittura all’80% nel lavoro domestico e di assistenza familiare.

Ma al Palalottomantica di Roma, dove il 17 e 18 maggio è in programma la “Terza Conferenza nazionale dell’Immigrazione” organizzato dalla Cgil, a commentare i dati su lavoro e immigrazione emergono luci e molte ombre. Il terzo rapporto dell’Ires-Cgil “Immigrazione e sindacato – Lavoro discriminazione e rappresentanza” dimostra come ancora si sia lontani dalla completa assimilazione dei diritti dei lavoratori anche per chi viene dall’estero.
Gli immigrati incontrano discriminazioni sul luogo di lavoro e solo il 35% ottiene avanzamenti nell’inquadramento professionale. La penalizzazione è doppia poi se si è nate donne, perché si è discriminate di più rispetto agli uomini, sia dal datore di lavoro e sia dai colleghi maschi.

Ma il lavoro dei migranti non solo è discriminato ma è anche più duro. Emerge dal rapporto Ires costruito anche su centinaia di interviste dirette. Gli italiani tendono ad assegnare loro le mansioni più gravose, fenomeno percepito dal 39% di delegati stranieri e dal 15% degli italiani. La sensazione diffusa è che agli stranieri si assegna con facilità più lavori disagiati, come denunciano il 25% dei delegati stranieri e dal 10% degli italiani.
E poi, altra discriminazione rispetto ai colleghi italiani, gli immigrati sono costretti a lavorare più spesso quando gli altri sono in vacanza, cioè nei week-end e nei giorni festivi.

Poi, dicevamo, c’era la doppia combinazione sfortunata di essere una donna straniera che lavora in Italia. Soltanto il 31,4% delle lavoratrici immigrate ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 73,6% degli uomini, mentre appena l’11,4% ha dichiarato di aver avuto un qualche miglioramento della condizione professionale, contro il 41,8% dei maschi. Inoltre, sottolinea il rapporto dell’Ires, con la “regolarizzazione del 2002 assistiamo alla femminilizzazione dei flussi migratori”.
Significa che tra la prima e l’ultima regolarizzazione, le domande presentate da donne sono salite dal 20 al 45% del totale. Questo è dovuto soprattutto all’emergenza del fenomeno delle badanti: sono straniere 8 su 10.
E qui la riflessione del rapporto si amplia anche al nostro modello di protezione sociale: “È il caso più evidente di segregazione lavorativa -si legge nel rapporto- e la figura della badante apre la strada a un modello di welfare privatizzato e lasciato alle famiglie, a un sistema di servizi alla persona che oramai costituisce una nicchia etica per il lavoro femminile immigrato”.

Nemmeno un buon livello di istruzione aiuta un migrante ad affermarsi nel nostro paese,tranne sporadiche eccezioni. Solo il 28% dei laureati afferma di aver avuto un avanzamento di carriera, contro il 44% dei diplomati. La militanza sindacale cresce con l’aumento del grado di istruzione. Partecipa attivamente alla vita sindacale dell’impresa il 42% dei lavoratori immigrati laureati e solo il 9% di chi non ha titoli di studio o ha solo la licenza elementare. Tuttavia, anche la Cgil non utilizza appieno questi potenziali quadri: i dirigenti sindacali immigrati sono solo 170.

Infine il problema dei minori stranieri: sono ormai un quinto del totale dei migranti che vivono in Italia. “È un grandissimo problema sociale: decine di migliaia di minori – fa detto nel corso della Conferenza Fulvio Fammoni, segretario confederale della Cgil – sono soli e lontani dalla famiglia e, sopratutto, non sono intercettati dal sistema scolastico. Il tasso di abbandono scolastico dei minori stranieri è, infatti, superiore al 30% contro il 20% degli italiani”.
Per questo si chiede la chiusura dei Centri di permanenza temporanei e la loro sostituzione con centri di accoglienza che siano dei luogi degni degli esseri umani. Necessari anche degli osservatori contro le discriminazioni che vigilino sui diritti dei migranti. Ma la sfida più prossima sono due petizioni popolari intitolate “Diritti senza confini”, per la ratifica della convenzione Onu sui diritti dei migranti e per la “Cittadinanza europea di residenza”, per tutti coloro che vivono e lavorano nei paesi dell’Unione. Perché solo i diritti, quelli si, permettono una vera integrazione.

di red