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da Liberazione del 13 maggio 2005

“Percossa e denudata in pubblico” di Paola Bonatelli

Parte da Padova la denuncia di un grave sopruso perpetrato dalle forze dell’ordine ai danni di due donne rom di nazionalità rumena. L’ennesimo, saremmo tentati di dire. Perché sono moltissimi gli abusi non denunciati, dato che i rom sono soggetti poco “difendibili”, deboli per antonomasia (e sanno di esserlo). Stavolta però la vicenda è venuta alla luce anche grazie al suo lato grottesco, perché Elena N., 37 anni, percossa, perquisita nelle parti intime e denudata – questo il racconto dei testimoni che si può ascoltare su www. meltingpot. org – da alcuni agenti durante un controllo alla stazione ferroviaria lo scorso 29 aprile, ieri sedeva sul banco degli imputati al tribunale di Padova, processata per direttissima con l’accusa di resistenza a pubblico ufficiale. Fuori, un gruppo di cittadini migranti dell’associazione “Razzismo Stop”, tra cui alcuni di etnia rom, esponeva gli ingrandimenti delle fotografie da cui risulta evidente la violenza subita dall’imputata stessa.

La donna, difesa dall’avvocato Aurora D’Agostino, ha partecipato alla prima udienza del processo e ha raccontato ai magistrati la sua verità. Le testimonianze – tutte concordi – di tre persone che hanno assistito ai fatti, e la deposizione dell’agente presunta vittima, devono aver convinto i magistrati che le cose non sono andate proprio come riferito dalle forze dell’ordine. Il pubblico ministero ha chiesto quindi il rinvio del processo per poter acquisire nuove informazioni, soprattutto le testimonianze degli altri agenti presenti. L’udienza è stata fissata per il 25 maggio prossimo ma la Procura riceverà forse prima notizie di Elena.

I fatti
Il 29 aprile scorso, poco dopo le quattro del pomeriggio, arriva una telefonata all’emittente locale Radio Sherwood. E’ una studentessa veneziana che racconta: «Stavo andando in stazione a Padova e ho visto una scena terribile, dei ragazzi rom che venivano arrestati dai carabinieri. Due ragazze sono state spogliate, pestate, prese a calci perché i carabinieri sostenevano che avessero degli ovuli di cocaina in pancia». E continua: «C’erano due agenti in borghese che bloccavano una ragazza e un signore, e un carabiniere in divisa che con un piede teneva ferma una ragazza. La stavano toccando, visitando, così, una visita ginecologica davanti a tutti sotto un porticato». La studentessa afferma che gli agenti erano tutti uomini, racconta che una giornalista che si è avvicinata ma è stata subito allontanata e che lei stessa se n’è andata perché gli agenti hanno iniziato a cercarla, dopo aver visto che aveva scattato delle foto con il cellulare.

La segnalazione provoca l’immediata reazione dei gruppi e delle associazioni che a Padova si battono contro il razzismo per i diritti dei cittadini migranti. Sul sito di “Melting Pot” compare la notizia e “Razzismo Stop” lancia un comunicato stampa e un appello per cercare altri testimoni del fatto: «Completamente ignorato dai media locali – afferma Francesca di “Razzismo Stop” – che invece pubblicano la versione delle forze dell’ordine, usando anche frasi pesanti nonostante l’accaduto sia evidentemente documentato dalle foto, in cui si vede chiaramente che la donna tentava di difendersi, di coprirsi».

“Razzismo Stop” è un’associazione conosciuta anche dai cosiddetti clandestini e da quelli che vivono in situazioni abusive, perché l’inverno scorso, con l’operazione “Siberia”, è entrata in contatto con le persone “invisibili” e inafferrabili, come sono spesso i rom.

E’ così che Elena si rivolge all’associazione e con grande coraggio decide di denunciare l’accaduto, sostenuta, oltre che da “Melting Pot” e da “Razzismo Stop”, anche dall’Opera Nomadi, dall’European Roma Rights Center (Errc), associazione europea che tutela e promuove i diritti delle popolazioni rom, e dai Verdi.

Il racconto di Elena
Le associazioni si muovono, raccolgono le testimonianze e convocano una conferenza stampa a cui partecipano vittima e testimoni. Il racconto di Elena (in un italiano incerto) è impressionante: «La polizia in borghese mi ha chiesto i documenti, quando li ho dati un poliziotto stava cercando di controllare me e anche la ragazza in strada. Ha controllato il figlio di mio marito. Dopo ho detto “No, non mi puoi controllare perché sei un uomo. Non si può mettere le mani sotto la gonna dove vuoi tu per controllarmi. Portami in polizia, quando mi porti poi, se mi porti da una donna, faccio un controllo normale”. Stava tranquillo, non è problema per noi. Lui dopo mi ha preso per il collo, quando mi ha preso per il collo mi ha messo sopra il piede, non potevo scappare dalle sue mani, mi ha fatto male. Quando mi ha fatto male stavo cercando di staccare le mani di quello in borghese, se mi lascia prendere aria. Quando ho visto se potevo scappare, lui è rimasto con i miei vestiti in mano e dopo sono caduta per terra e qua non so cosa è successo ancora perché mi è arrivato sangue dal naso e anche dalla bocca».

Quando Elena riesce ad alzarsi e a riprendersi i vestiti, dice all’agente di portarla in questura per i controlli e di non avere niente di quello per cui la sospettano. Racconta che la polizia l’ha trattata male, che è stata visitata da un’agente donna che non ha trovato nulla e che il poliziotto sosteneva di essere stato picchiato e faceva vedere le mani. Dell’incontro col magistrato, al quale spiega l’accaduto, Elena capisce solo che avrà il processo. L’altra donna intanto, terrorizzata, è scappata all’estero.

«L’episodio – dice l’avvocata D’Agostino – ha coinvolto tre cittadini stranieri. Sono stati accusati tutti e tre di resistenza ma solo Elena è stata arrestata, ha passato una notte in commissariato ed oggi (ieri per chi legge, ndr) è processata per direttissima. I testimoni che hanno deposto in questa prima udienza hanno visto la cosa in momenti diversi e fornito un quadro abbastanza completo dei fatti a cui hanno assistito, tanto che il giudice ha dovuto far presente alla supposta persona offesa che la sua deposizione non era compatibile con le testimonianze dei cittadini. Di qui appunto la richiesta di rinvio. Io ho ricevuto da Elena l’incarico di difenderla ma anche di presentare un esposto alla magistratura per le violenze subite, cosa che farò nei prossimi giorni».