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Contratto di soggiorno – Va stipulato sempre e da tutti i lavoratori immigrati

Il Regolamento di attuazione della legge Bossi – Fini ((Decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n.334 – “Regolamento recante modifiche ed integrazioni al decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, in materia di immigrazione”, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 33 (supplemento ordinario n. 17/L)), per quanto riguarda la parte relativa al cosiddetto contratto di soggiorno (art. 5-bis del Testo Unico sull’Immigrazione), prevede l’obbligo per tutti gli immigrati di stipulare ogni volta un contratto di soggiorno da spedire in Prefettura. Questo vale sia per quelli che sono regolarmente soggiornanti, sia per quelli che devono rinnovare ogni volta il permesso di soggiorno, sia per chi deve semplicemente cambiare datore di lavoro o stipulare un nuovo contratto di lavoro durante la validità del permesso di soggiorno (si veda l’art. 36 bis del regolamento).

L’alloggio
Piccola complicazione, si fa per dire, è il fatto che all’interno del contratto di soggiorno (nel modulo predisposto dal Ministero del Lavoro, allegato n. 25) è previsto, per chi ha già il permesso di soggiorno in corso di validità, che il datore di lavoro dichiari, sotto la propria responsabilità, di assicurare che l’alloggio, di fatto disponibile da parte del lavoratore immigrato, è conforme ai parametri previsti dalla legislazione regionale in materia di edilizia residenziale pubblica (ERP).
Non solo: lo stesso datore di lavoro, nell’ambito di questa dichiarazione, s’impegna a produrre, a richiesta dell’Ufficio Territoriale del Governo (UTG), il certificato di idoneità dell’alloggio o la richiesta di rilascio del certificato di idoneità dell’alloggio, nel caso in cui questo non sia ancora stato rilasciato da parte del competente Ufficio tecnico comunale o da parte dell’Ausl.

La condizione prevista per stipulare un rapporto di lavoro e per rinnovare il permesso di soggiorno, come abbiamo già avuto modo di osservare, è particolarmente pesante perché, non solo si chiede allo straniero di dimostrare, naturalmente a sue spese, di avere una casa, ma gli si chiede di dimostrare di avere una casa sufficientemente confortevole in base ai parametri ERP, che, come già rilevato, non sono rispettati dalla maggioranza degli assegnatari italiani.
La differenza è che gli italiani possono continuare a stare in Italia anche se vivono in case “poco confortevoli”, mentre gli stranieri, essendo la fascia più debole e più povera della società, dovrebbero vivere in case più confortevoli rispetto alla media della popolazione italiana; ciò crea riflessi immediati sulla possibilità di lavorare in regola e di soggiornare regolarmente in Italia.

Le aziende denunciano una situazione pericolosa
A questo riguardo una grossa azienda che ha sede in Emilia Romagna, ha sollevato il problema formulando una lettera aperta ai parlamentari bolognesi, della quale riteniamo giusto citare alcuni brani molto eloquenti.
La ditta Manutem Coop (che svolge lavori di servizi, manutenzione e pulizie) occupa molti immigrati, e scrive: “Il tema dell’immigrazione ci tocca direttamente. La ditta tocca fra i suoi dipendenti oltre 1.400 persone provenienti da paesi non comunitari, pari a oltre il 16% del totale, con punte che toccano il 30-35% in Emilia Romagna e nella Provincia di Bologna. I cittadini non comunitari sono per noi, da sempre, una risorsa fondamentale. Ora però il regolamento della legge Bossi – Fini e le ultime disposizioni del Ministero del Lavoro, emanate ad interpretazione del Dpr n. 334 del 2004, aprono scenari preoccupanti, destabilizzanti non solo per la nostra impresa, per il mercato in cui operiamo, ma per gli equilibri sociali del paese stesso. Dalle nuove disposizioni e soprattutto dalle ultime indicazioni del Ministero, appare evidente il tentativo, nemmeno troppo dissimulato, di disincentivare l’assunzione di lavoratori non comunitari, condannandoli al lavoro sommerso. Quale impresa, infatti, potendo scegliere, preferirà assumere regolarmente lavoratori non comunitari, con l’onere di garantire a loro anche un alloggio, piuttosto che cittadini italiani con meno complicazioni e costi gestionali? E poi, cambiando punto di vista, che dire della disparità di trattamento tra lavoratore non comunitario a cui va garantito l’alloggio e quello italiano o comunitario che magari ne è privo?
Per concludere, riteniamo che la situazione di incertezza che già sta venendosi a creare fra le imprese e, soprattutto, tra i lavoratori non comunitari, rischi di avere pesanti ripercussioni. Per questo, rendendoci disponibili ad un incontro, vi invitiamo ad intervenire nei modi e con i mezzi che ritenete più opportuni per modificare la legislazione che, con le ultime disposizioni attuative, ha reso manifesti gli effetti dirompenti dei suoi frutti avvelenati”.

Quello che dice la lettera è chiaro e il problema che affronta lo è ancora di più.

Abbiamo già trattato questo argomento spiegando che il Testo Unico sull’Immigrazione (d.l.vo 25 luglio 1998, n. 286), così come modificato dalla legge Bossi – Fini (L. 30 luglio 2002, n. 189), in realtà prevede la stipula del contratto di soggiorno per lavoro subordinato (art. 5-bis) e la verifica sulla garanzia di un alloggio idoneo, solo nel momento in cui si autorizza l’ingresso dello straniero e si rilascia il primo permesso di soggiorno per lavoro.
Testualmente, la legge Bossi – Fini nulla prevede per le fasi successive, ovvero per il cambio di datore di lavoro e per il rinnovo del permesso di soggiorno. Le regole cui abbiamo fatto riferimento e quelle rispetto alle quali sono state sollevate le lamentele della ditta – ma naturalmente anche di tante altre – sono regole letteralmente inventate con il regolamento di attuazione. Che sia legittimo creare nuove regole con un regolamento di attuazione, rispetto a quelle contenute nella legge, anziché limitarsi ad attuare semplicemente quelle che sono nella stessa contenute, è tutto da discutere.
Staremo a vedere cosa succederà quando si verificherà, prima o poi, il primo caso di cittadino immigrato il cui permesso di soggiorno non verrà rinnovato a causa della indisponibilità di un alloggio idoneo. Inoltre staremo a vedere cosa succederà nel caso in cui verrà inoltrato un contratto di soggiorno e, nella parte in cui il datore di lavoro dovrebbe indicare la disponibilità di un alloggio idoneo, questi non voglia assumersi la responsabilità e cancelli questa parte, non potendosi e non volendosi prendere un impegno a questo riguardo.
In questo caso l’eventuale decisione della magistratura dovrà stabilire: se le norme contenute nel Regolamento di attuazione costituiscono una legittima ed effettiva applicazione di quelle della legge Bossi – Fini, o, invece, costituiscono l’esercizio arbitrario di un potere legislativo che il regolamento non ha; se la normativa che impone queste condizioni discriminatorie per far lavorare uno straniero rispetto ad un italiano o ad un comunitario, è una normativa che rispetta il principio di pari opportunità sancito dalla Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) n. 143 del 1975.