Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

da Repubblica.it del 6 giugno 2005

Immigrazione, allarme del Viminale

In fuga dal Sael, dal Niger, dal Ciad, dalle carestie e dalle guerre etniche nel Corno d’Africa e nei paesi dell’Africa subsahariana. Spiegano gli esperti dell’Immigrazione del Viminale: “Gli ultimi sbarchi, circa cinquecento persone arrivate in meno di 24 ore venerdì scorso, segnano una svolta: almeno il settanta per cento sono in fuga dalla fame e dalla guerra e chiederanno asilo e rifugio politico”. Non più egiziani o nordafricani clandestini che possono essere mandati indietro in base agli accordi bilaterali, ma una massa di “circa quindicimila persone che hanno già lasciato le regioni del subsahara e si stanno avvicinando alla costa libica per cercare di raggiungere l’Italia e l’Europa”. Quindicimila arrivi, solo nei prossimi mesi estivi, un numero pari quasi al totale degli sbarchi in un anno.

È stato soprattutto questo numero, e lo scenario di povertà e disperazione che si porta dietro (analizzato anche da un team di esperti europei inviati in Libia nei mesi scorsi), a convincere i paesi europei a firmare, dopo un paio d’anni di discussione, il piano di aiuti e cooperazione con la Libia per combattere l’immigrazione clandestina. Un piano firmato per ora dai ministri dell’Interno e della Giustizia della Ue, che ha già valore vincolante e che sarà ratificato la prossima settimana a Bruxelles dal Consiglio europeo. “Il piano – spiegano al Viminale, primo artefice dell’accordo poiché da anni considera l’immigrazione clandestina nel Mediterraneo come un problema europeo e non solo italiano – fa diventare la Libia una specie di provincia europea in Africa”. Un avamposto al di là del Mediterraneo da dove valutare, gestire e coordinare il flusso ininterrotto di disperati. A Bruxelles sono ormai tutti consapevoli, anche i più scettici, dei morti senza nome in mare e nel deserto.
Tutti hanno visto i dossier con le immagini di cadaveri che affiorano dal mare o dalla sabbia del deserto. Il piano consiste in dodici punti e può accedere, per i finanziamenti, ai fondi del progetto Eneas, che dispone di qualcosa come cinque miliardi di euro.

Un parte del piano riguarda aspetti più concreti e immediati come la creazione di una task force “a disposizione della quale i paesi membri dovranno mettere navi, aerei e altri mezzi per il pattugliamento dei porti, degli aeroporti e delle frontiere interne”. In pratica quello che l’Italia sta già facendo da oltre un anno, inviando al governo di Tripoli navi e altri mezzi, diventa un onere e impegno condiviso con i paesi della Ue. La parte più innovativa, quella che dopo la caduta dell’embargo segna senza dubbio una svolta nei rapporti tra Tripoli e Bruxelles, riguarda i progetti da realizzare in Libia. Tripoli diventa “sede permanente degli ufficiali di collegamento dei vari paesi europei”. Un gruppo di esperti sarà inviato in tempi brevissimi nella regione del subsahara “proprio per valutare i rischi dei flussi migratori in Africa”, per vedere cosa si sta muovendo dal Mali, dal Ciad, dal Niger, dal Sudan e dal Corno d’Africa e per capire come intervenire.

Nel frattempo partono tutta una serie di iniziative per “rendere autonomi i libici sulla gestione delle frontiere, su visti e asilo, permessi di soggiorno e sicurezza dei documenti”. Si tratta di programmi di formazione per poliziotti e civili per addestrarli sulla “gestione dei flussi migratori improvvisi”. Insomma, quasi una frontiera europea in Libia che dovrà alleggerire la pressione dei clandestini sul paese. Il piano impone anche di “studiare un’azione con i libici per prevenire la morte delle persone in mare” e di “favorire progetti operativi che coinvolgano Libia, Egitto e Niger”.