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dal Piccolo del 1 Giugno 2005

Lavoro, gli stranieri hanno più infortuni

Una indagine realizzata a Trieste su progetto regionale dall’Azienda sanitaria

Operaio cade dal tetto di un capannone. Operaio investito da un carrello. Operaio ferito da un’esplosione. Operaio travolto da una lamiera. Piedi schiacciati. Mani tranciate. Schiene divelte. Ogni giorno o quasi una notizia di tal tristezza e gravità sfiora la vita degli altri, quelli seduti. Il lavoro dunque è pericoloso? O sempre più pericoloso? Una inedita indagine realizzata a Trieste su progetto regionale dall’Azienda sanitaria, precisamente dall’Unità di prevenzione e sicurezza degli ambienti di lavoro, e conclusa nei giorni scorsi, dà una fotografia allarmata e allarmante. Che è già stata presentata in Prefettura.
Per la prima volta l’inchiesta, che nel 2003 ha interessato 263 aziende del Friuli Venezia Giulia, nel 2004 ha visitato 101 cantieri controllando 174 ditte che vi erano a vario titolo impiegate, compiendo 268 sopralluoghi ed elevando 95 verbali di contravvenzione, ha messo a fuoco l’esistenza di lavoratori di serie A, B, o anche C. Ha trovato cantieri fantasma con tabelle segnaletiche false dalla prima all’ultima riga. Lavoratori «in nero». Stranieri clandestini. Perfino adolescenti che dai cantieri edilizi dovrebbero stare alla larga.
La novità consiste nel fatto che non era mai stato portato a termine un controllo capillare e diversificato tra dipendenti italiani regolarmente assunti, o assunti da agenzia interinale, e lavoratori stranieri, tanto «fissi» quanto «interinali».
I risultati sono impressionanti. I lavoratori assunti tramite agenzia interinale si infortunano il doppio rispetto a quelli assunti direttamente. Gli stranieri assunti con contratto interinale hanno il doppio di incidenti (129,9) rispetto a colleghi sempre stranieri ma assunti con contratto normale, che ne subiscono 65. Comunque il 26,7 per cento in più rispetto agli italiani con pari contratto. Gli italiani «interinali» hanno 94,4 incidenti. Il raffronto incrociato mostra l’accresciuto rischio di vita che hanno gli stranieri interinali – condizione peggiore – rispetto agli italiani assunti – condizione migliore: si infortunano il 153,2 per cento in più. Una strage di sfortunati.
I dati sono stati raccolti da una équipe di cui è responsabile Valentino Patussi, medico del lavoro. «Ci chiediamo il motivo di questi disorientati dati – afferma – ma è dovuto a più ragioni: la più semplice è un fatto di cultura. Lo straniero che cambia lavoro continuamente, chiamato ’’a ore’’, che cosa è in grado di capire quand’anche le norme sulla sicurezza gli vengono illustrate?».
Il ricorso al lavoro interinale è massiccio. L’indagine si è avvalsa della collaborazione di quattro fra le maggiori agenzia attive in regione e a Trieste. Forniscono manodopera per un totale annuo di circa 4 milioni di ore, pari a 2314 lavoratori «interi». Che interi però non sono, e si guadagnano la vita con successivi e passeggeri ingaggi, e come si vede dalle cifre, pure la rischiano.
Anche un grafico più generale, che mostra i risultati tra 2001 e 2003 dell’indice di incidenza degli infortuni nelle 263 aziende indagate non lascia spazio a dubbi. Gli stranieri si fanno male di più, anche se il fenomeno generale ha conosciuto un lieve calo. Nel comparto della metalmeccanica (104 aziende) su 36.379 occupati italiani l’infortunio ha interessato 3315 persone (indice 9,1); su 4043 occupati stranieri gli infortunati sono stati 487 (indice 12). Peggio nel comparto costruzioni: 36 aziende monitorate. Indice d’infortunio fra gli italiani: 11,8. Tra gli stranieri: 25,4. Più del doppio.
Tra gli interinali stranieri nella metalmeccanica si registrano cifre da strage: i non italiani hanno indice d’infortunio 257,39, gli italiani di 85,6. Anche l’indice di «gravità» dell’infortunio colpisce di più gli interinali stranieri.
Ma inquietante è anche quanto Patussi assieme a Gerardo Orpelli, coordinatore per la prevenzione degli infortuni in edilizia, hanno riscontrato a Trieste, in una specifica indagine condotta con la Direzione provinciale del lavoro. Hanno scoperto che la mafia del lavoro esiste. Che ci sono i «caporali», che ingaggiano lavoratori in nero. I quali, in presenza dei controllori, se la danno a gambe anche sul ciglio di burroni, rischiando due volte la vita. Che alcuni di questi sono stati trovati in cantieri di enti pubblici. Che si lavora su impalcature come ragnatele, fra mille infrazioni. Usando scale rabberciate e appoggiate su baratri. O imbragature «di sicurezza» che se dovessero entrare in azione spaccherebbero la schiena del lavoratore come un fiammifero. Che gli operai fanno pipì in cessi da trincea abbandonata, e merenda per terra. Qualcuno vigilerà, oltre ai medici?
di Gabriella Ziani

Rotelli: «Nella nostra regione ci aspettavamo dati migliori»

«Immigrazione e nuove forme di lavoro, analisi del rischio infortunistico»: era il titolo dell’innovativa indagine realizzata dall’Azienda sanitaria di Trieste che mette sotto gli occhi di tutti una realtà allarmante e pericolosa: il lavoro, nonostante le norme, di fatto in molti casi è tutt’altro che tutelato e il rischio si concentra sulle fasce più deboli: lavoratori stranieri, interinali, impiegati nell’edilizia e nella metalmeccanica. I medici «indagatori» sono anche pubblici ufficiali. Possono comminare sanzioni, ordinare correzioni, alla peggio passare il caso alla magistratura. Avrà impatto questa indagine?
Lo chiediamo a Franco Rotelli, direttore dell’Azienda sanitaria: «Non ha un intento di repressione – afferma -, ma di sensibilizzazione. Dobbiamo diffondere i dati e creare una strategia di attenzione, da approfondire nel tempo. Se più avanti riscontreremo che la situazione è addirittura peggiorata, alzeremo il grado di visibilità del problema».
Ciò che Rotelli sottolinea è l’«assoluta novità» dell’impianto indagatorio, perché «mette in luce per la prima volta le differenze tra i soggetti nel mondo del lavoro e i rischi differenti per ogni soggetto».
Il documento è stato appena illustrato anche in Prefettura. «C’è un accordo di programma con tutti gli enti – conclude il direttore generale – per poter incidere tutti assieme su questi aspetti negativi. Che altrove sono anche peggio, ma certo nella nostra regione ci si poteva aspettare qualche cosa di meglio».
g.z.