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Flussi – Un po’ di chiarezza sul contratto a progetto

Dal punto di vista formale, il contratto di collaborazione a progetto (introdotto dagli articoli 61-69 del decreto 10 settembre 2003, n. 276 attuativo della legge 14 febbraio 2003 n. 30) è un contratto di lavoro autonomo ed è riconducibile “a uno o piu’ progetti specifici o programmi di lavoro o fasi di esso determinati dal committente e gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato, nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente e indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attivita’ lavorativa” (art. 61, comma 1 del decreto citato).
E’ un’autonomia un po’ particolare perché il titolare di un contratto di collaborazione a progetto non è un vero e proprio imprenditore; addirittura non ha nessun obbligo di aprire una propria partita Iva.
Per questi motivi la collaborazione a progetto viene definita contratto di lavoro parasubordinato in quanto ha molte affinità con il tipico contratto di collaboratore dipendente, ma è pur sempre un contratto di lavoro autonomo.
Proprio questa evidente somiglianza tra il contratto a progetto (che una volta si chiamava contratto di collaborazione continuativa) e il contratto di lavoro subordinato, facilita errori e fraintendimenti anche nell’utilizzo dei moduli per il decreto flussi.

Considerazioni generali
Teoricamente il contratto di lavoro a progetto dovrebbe salvaguardare l’autonomia del lavoratore, quindi dovrebbe prescindere da un preciso orario di lavoro, da un controllo costante da parte del datore di lavoro e dalle classiche condizioni di subordinazione. Ma sappiamo bene che nei fatti la situazione è molto diversa.
Nella pratica infatti si tratta di un contratto utilizzato per assicurare al datore di lavoro le medesime prestazioni che sono normalmente corrispondenti ad un contratto di lavoro subordinato.
Quasi sempre si tratta di contratti che vengono utilizzati per raggiungere lo scopo di totale precarietà del lavoratore, con la possibilità di risolvere il contratto di lavoro con maggiore facilità o di mettere sempre un termine allo stesso, nonostante sia possibile assumere a tempo determinato solo nei casi previsti dalla legge. Per i datori di lavoro vi è inoltre la possibilità di pagare meno contributi ed avere un salario depurato degli emolumenti accessori quali tredicesima, trattamento di fine rapporto, ferie pagate e indennità di malattia.
Tutto ciò rappresenta per le imprese l’elemento di utilità che ha dato luogo alla diffusa utilizzazione di questa tipologia di contratto.

Domanda di nulla osta e la collaborazione a progetto
Analizziamo di seguito se il contratto di collaborazione a progetto può essere uno di quei contratti in base ai quali ottenere l’assunzione dall’estero.
Ebbene, il contratto di collaborazione a progetto non è espressamente considerato in nessuno dei moduli messi a disposizione dal Ministero (per lo meno tra quelli messi a disposizione nel sito internet dello stesso). Verosimilmente non sarà previsto nemmeno nei moduli predisposti col sistema a lettura ottica distribuiti negli uffici postali.

Nel decreto flussi 2006 sono previste le quote per lavoro autonomo, ma queste quote sono condizionate nel loro utilizzo solo a determinate tipologie di attività di lavoro autonomo, nell’ambito delle quali è dubbio se si possa considerare compreso il contratto a progetto.
L’articolo 3 dello schema di Decreto flussi – non ancora ufficiale – relativo alle quote per lavoro autonomo recita: “Nell’ambito della quota massima di cui all’art. 1, è consentito l’ingresso di 3000 cittadini stranieri non comunitari residenti all’estero per motivi di lavoro autonomo appartenenti alle categorie di seguito elencate: ricercatori, imprenditori che svolgono attività d’interesse per l’economia nazionale, liberi professionisti, soci ed amministratori di società non cooperative, artisti di chiara fama internazionale e di alta qualifica professionale ingaggiati da enti pubblici e privati”.
Il comma 2 dell’art. 3 aggiunge che “All’interno di tale quota sono ammesse sino ad un massimo di 1500 unità, unicamente per la conversione dei permessi di soggiorno per studio e formazione professionale in permessi di soggiorno per lavoro autonomo.”

Quello che non è chiaro è se le quote riservate ai titolari di pds per studio e formazione professionale per la conversione in pds per lavoro autonomo, potranno riguardare qualsiasi attività di lavoro autonomo – nel qual caso si dovrebbe considerare compreso anche il contratto di lavoro a progetto -, o potranno riguardare unicamente le attività di lavoro autonomo indicate generalmente nelle 3000 quote riservate per lavoro autonomo sopra precisate.
Dovremmo però fare una considerazione rispetto al fatto che un libero professionista potrebbe anche stipulare validamente un contratto di lavoro a progetto e quindi, in linea teorica, l’utilizzo delle quote indicate non dovrebbe essere precluso.
D’altra parte l’art. 3, comma 2 sopra riportato si riferisce generalmente a 1500 quote per la conversione del permesso di soggiorno da motivi di studio e formazione professionale a lavoro autonomo quindi, visto che si tratta di una previsione distinta rispetto a quella riportata nel comma precedente, si dovrebbe anche ipotizzare che queste possibilità di conversione possano essere consentite anche a chi ha una possibilità di lavoro autonomo sotto forma di contratto di collaborazione a progetto. Inoltre, non è da escludere che per mezzo di un contratto di lavoro a progetto si possa regolare una prestazione che rientra nell’ambito dell’esercizio di una libera professione intellettuale (il riferimento ai liberi professionisti, contenuto nel decreto, è oprivo di ulteriori condizioni), ivi comprese le professioni per le quali non è prescritta l’iscrizione in appositi albi professionali; si pensi , ad esempio, al webmaster o programmatore o consulente di informatica, al grafico pubblicitario, all’aziendalista.

Qualcuno correttamente ci ha segnalato che gli uffici competenti avrebbero già espresso un parere quantomeno dubitativo sulla possibilità di utilizzare ai fini della conversione del permesso di soggiorno da studio a lavoro autonomo un contratto di lavoro a progetto, come prova che l’interessato svolgerà in Italia un’attività di lavoro autonomo.
Le considerazioni che abbiamo fatto finora sulla modulistica devono essere a maggior ragione riprese con riferimento a tipologie di contratto che non sono nella stessa espressamente previste, tant’è che, chi ci ha segnalato i dubbi di cui sopra a seguito di una richiesta diretta presso gli uffici competenti, si è sentito rispondere che dovrà compilare il modulo classico per lavoro subordinato con indicazione sia del contratto collettivo di categoria applicato all’attività lavorativa prevista, sia del livello di inquadramento del lavoratore e delle mansioni, compresa la natura del contratto (se a tempo determinato o indeterminato). Chiaramente tutte queste indicazioni sono elementi tipici del contratto di lavoro subordinato.

Cosa fare
Dal punto di vista pratico, poiché il tentativo di ottenere una quote del decreto flussi è una chance purtroppo rarefatta e già difficile da utilizzare, non ci sentiremmo di consigliare agli interessati di organizzare l’inoltro di domande di autorizzazione non aderenti il più possibile alla modulistica ed alla prassi indicata dagli uffici competenti, anche se vi potrebbero poi essere delle valide ragioni da difendere in un eventuale ricorso. Ma i ricorsi durano tanto tempo, costano soldi ed anche un po’ di salute per chi deve attenderne l’esito e inoltre, dal punto di vista pratico, non rappresentano una soluzione che raccomandiamo.
Dobbiamo suggerire, se non altro per motivi di stretta convenienza, di aderire il più possibile agli standard indicati dall’amministrazione competente. Questo indipendentemente dalla correttezza o meno di determinate questioni interpretative, o di determinate soluzioni adottate dall’amministrazione.