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da La Stampa del 23 settembre 2006

Abbandonato tra le macerie muore dopo 48 ore d’agonia

Travolto dal crollo di una palazzina.

Ma è morto dopo essere stato estratto dai vigili del fuoco, e per tirarlo fuori i medici gli avevano amputato i piedi.
Sono state ore concitate per salvare Mircea Spiridon, un operaio di 32 anni. Dopo 12 ore di lavoro il rumeno è fuori dalle macerie, ma dopo la corsa in ospedale, l’uomo è deceduto.

I sindacati sostengono che veniva pagato «in nero» dall’impresa che stava ristrutturando l’edificio con dodici appartamenti. Per la ditta «non esisteva» nella contabilità ufficiale e i responsabili del cantiere hanno anche dimenticato di segnalarlo ai vigili del fuoco dopo il crollo avvenuto mercoledì scorso. Nessuno si è preoccupato di sapere che fine avesse fatto Mircea Spiridon. Nessuno aveva detto che sotto quella montagna di detriti e sbarre di ferro ci poteva essere qualcuno.

E’ stata la moglie a denunciare la scomparsa del rumeno dopo che la sera non lo aveva visto rincasare. Sono scattate le ricerche nelle rovine del cantiere e i vigili del fuoco dopo aver utilizzato i cani e apparecchiature capaci di rilevare i battiti del cuore, hanno individuato il rumeno, sepolto a pochi metri da una massa di detriti.

Era sotto una grande trave di cemento armato, era sveglio e bisbigliava. Era riuscito a sopravvivere grazie al fatto che il pilastro, quando si è abbattuto, si è bloccato un attimo prima di schiacciarlo. I vigili hanno iniziato a scavare, ma dopo alcune ore si sono resi conto che non potevano estrarlo: aveva i piedi bloccati e schiacciati da alcune assi di ferro. Le gambe sanguinanti sono apparse piene di ferite.

Rimuovere il pilastro è impossibile perché può provocare la caduta di altri grossi detriti. E così Spiridon Mircea viene alimentato per diverse ore da alcune flebo. L’operazione di soccorso è difficile. La scelta è dura quando i medici si rendono conto che i piedi stanno andando in cancrena e così l’unico modo per salvarlo, togliendolo da sotto quella massa di cemento armato, è quello di amputargli gli arti inferiori.

Prima dell’amputazione, forse a causa dello stato confusionale in cui si trovava, ai soccorritori parla di altri due compagni che potrebbero essere finiti come lui sotto le macerie. Scatta un nuovo allarme. I vigili del fuoco si mettono subito all’opera per cercare di scovare eventuali altre persone sepolte. Ma gli accertamenti, dopo molte ore, sono negativi. Non vi sarebbe nessun altro. Per scrupolo i soccorritori proseguiranno stamani le ricerche.

La procura di Agrigento ha aperto un’inchiesta sul crollo. L’ipotesi di reato su cui si indaga è di disastro e omicidio colposo. Il fascicolo è ancora a carico di ignoti. La Cgil siciliana sostiene che «si è di fronte a un evidente comportamento criminale del titolare dell’impresa edile e a gravi ritardi nei soccorsi». Italo Tripi, segretario generale della Cgil siciliana, ed Enzo Campo, segretario del sindacato edili si chiedono «perché l’imprenditore non ha detto subito che mancavano all’appello alcune persone? Perché si è dovuto aspettare la denuncia della moglie dell’operaio? E perché dopo la denuncia prima che scattassero i soccorsi sono trascorse 24 ore?».

Secondo Tripi e Campo «c’è un comportamento colpevole di chi ha pensato a se stesso anziché alla vita di tre persone, e questo solo perché clandestini quindi “invisibili”. Ma vorremo anche comprendere perché i soccorsi sono arrivati così in ritardo».

Il sindacato sottolinea che «vicende come quella di Licata accadono in Sicilia perché mancano i controlli e ci si può consentire di tenere in nero lavoratori clandestini, sfruttarli e in caso di incidenti lasciarli al proprio destino. Alle associazioni di categoria chiediamo di emarginare chi fa impresa senza rispettare le regole».