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da Il manifesto del 23 settembre 2006

Licata, morte di un «invisibile»

di Patrizia Abbate

Palermo – Era rumeno, certamente impiegato in nero come muratore, probabilmente clandestino. Per questo la vita di Mircea Spiridon, 32 anni, valeva così poco per il suo «padrone», che davanti al crollo della palazzina in restauro dove l’operaio stava lavorando, e alla possibilità di avere grane, aveva rassicurato i vigili del fuoco: sotto le macerie non c’è nessuno. Invece c’era sicuramente quell’uomo di Bacau, arrivato da pochi mesi con la giovane moglie e tre bambini a Palma di Montechiaro, in provincia di Agrigento, e subito entrato nel perverso ingranaggio delle ditte che ti spremono e ti buttano via come niente, senza pagare quasi mai le conseguenze.
Mercoledì mattina Mircea Spiridon era uscito da casa per andare a Torre di Gaffe, località balneare tra Palma e Licata, affacciata sulle acque del Canale di Sicilia. Lì, da lavoratore fantasma, stava restaurando – pare con altri compagni, rumeni come lui – una palazzina che si è sbriciolata all’improvviso come un castello di sabbia. Dopo due giorni, ieri i soccorritori lo hanno individuato, vivo, intrappolato tra blocchi di marmo e travi di metallo. Per ore hanno tentato di tirarlo fuori, dalle 8 del mattino hanno provato di tutto fino a decidere di chiamare un chirurgo e far amputare quei piedi che non riuscivano a strappare alle macerie. Così, straziato sino alla fine, Mircea è finalmente arrivato in ospedale a Caltanissetta. Ma era ormai sfiancato: è morto qualche minuto dopo davanti alla moglie atterrita.
Per 24 ore quell’incidente era sembrato solo una tragedia sfiorata, grazie alle bugie di Antonino Di Vincenzo, l’imprenditore. La palazzina di 5 piani e 17 appartamenti, che sorge a pochi metri dalla spiaggia di Torre di Gaffe, era disabitata proprio per i lavori in corso. E lì attorno nel pomeriggio di mercoledì, a stagione estiva più o meno conclusa, non c’era la folla di vacanzieri che normalmente invade il litorale. Di Vincenzo aveva assicurato che quel giorno non c’erano neppure operai. Invece Mircea era lì, e quando la palazzina è venuta giù di botto – chissà perché: sarà la procura di Agrigento a cercare di far luce sulle vicende di quell’edificio, nato abusivo e poi «sanato» – si è ritrovato sepolto da tonnellate di detriti e così è rimasto per ben due giorni, grazie alle bugie del suo «benefattore» che ieri il segretario della Cgil siciliana Italo Tripi non ha esitato a definire «criminale».
Erano state solo la cocciutaggine dei cani dei vigili del fuoco – che continuavano ad agitarsi lì attorno, segnalando la presenza di qualcuno – e l’ansia della moglie di Mircea a convincere i soccorritori a cercare ancora. Mercoledì sera la donna, non vedendo tornare a casa il marito, era andata dai carabinieri. «Fa il muratore, è uscito stamattina…», e i militari avevano intuito che potesse essere rimasto vittima di quel crollo. Quando, ieri mattina, Mircea è stato finalmente individuato, avrebbe detto subito che con lui c’erano due compagni, rumeni anch’essi. Ma i cani non hanno trovato tracce, e neanche gli strumenti sensori utilizzati dai vigili del fuoco, che avevano scovato i battiti dell’operaio, hanno evidenziato altre presenze. Si è continuato comunque a cercarli, mentre si compiva la tragedia di Mircea.
La procura di Agrigento ha avviato l’inchiesta sul crollo della palazzina, costruita negli anni ’70 «con pessimi materiali», hanno voluto sottolineare persino i vigili del fuoco, convinti che questo abbia creato ostacoli ai soccorsi («ha dato origine a macerie eccessivamente compatte e difficili da rimuovere»), ed ha iscritto nel registro degli indagati sia il titolare della ditta che i proprietari dell’immobile, accusati da ieri sera anche di omicidio colposo, oltre che di disastro colposo. E la Cgil punta il dito sull’imprenditore Di Vincenzo, che «aveva ottenuto una concessione per i lavori nel maggio scorso, e aveva assunto una sola persona il 18 settembre», afferma il segretario regionale della Fillea, Enzo Campo. «Non è più tollerabile questa assenza di controlli, questa colpevole inadempienza di fronte alla realtà del lavoro nero che ormai, in Sicilia, è diventata la normalità», dice ancora Campo, che sottolinea anche le responsabilità del Comune di Licata: «Per dare la concessione, l’ente deve verificare la regolarità contributiva della ditta: ma come si può credere che una palazzina si ristrutturi con un solo operaio?». «C’è un comportamento colpevole di chi ha pensato a se stesso anziché alla vita di tre persone», dice il segretario di Cgil Sicilia Tripi, appellandosi alle associazioni di categoria: «E’ giunto il momento di agire sul serio, bisogna emarginare chi fa impresa senza regole».