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da La Repubblica di Bari del 19 settembre 2006

Pina, la schiavista dei campi: “Ma io sono come la Caritas”

Lei e il marito Aziz hanno in mano le redini del caporalato per la raccolta del pomodoro.

Dalla statale c’è un quarto d’ora di auto. Si balla sullo sterrato, si curva in chicane degne della Formula 1. Non s’incrocia nemmeno un’ auto. E soprattutto, alle 11,30 del Tavoliere delle Puglie, 14 settembre, tempo di pomodori, si contano soltanto dieci uomini nei campi. Borgo Amendola, messo a nuovo, potrebbe assomigliare al Mulino Bianco: una chiesetta, le case ordinate. Oggi invece c’è un’auto dei carabinieri, i soliti immigrati accampati con i materassi per terra. E c’è Giuseppina Lombardo, la signora Pina: è lei, secondo alcune informative finite sui tavoli della Procura di Foggia, a gestire un grosso traffico di lavoratori clandestini insieme con il compagno tunisino, Aziz (all’anagrafe Azaiez Ayati). Aziz e Giuseppina da due settimane sono i caporali più famosi di tutta Italia: sono gli schiavisti raccontati da Fabrizio Gatti nel suo reportage per l’Espresso. «Non è vero niente. Noi siamo gente per bene, prego si accomodi». Giuseppina porta l’accento calabrese del paese dove vive e ufficialmente risiede, Delianuova, Reggio Calabria. Ha un vestito blu a fiori. Cinquantacinque anni. Aziz è più giovane di dieci anni. Un colosso. Sorride e gira attorno al patio dove è seduto anche l’avvocato Vincenzo Di Staso, che li difende.
«Sono venuta qui dieci anni fa, con mio marito per lavorare come raccoglitori di pomodoro. Non potevo stare a guardare e così ho cominciato a lavorare anche io».

Come?
«Prima nei campi. E poi abbiamo aperto un market, uno spaccio alimentare. Qui è tutto lontano e la gente aveva bisogno di comprare la carne, il pane, insomma di vivere».

Il borgo è disabitato.
«Qua vengono a vivere gli stagionali del pomodoro. In questi anni sono passate tutte le razze: i neri, i polacchi, i rumeni. Ne abbiamo viste di tutti i colori. Gli unici che siamo rimasti siamo stati noi. Che siamo brava gente».

Secondo la Finanza voi siete caporali. Gestite il traffico di immigrati e li obbligate a comprare dal vostro market roba scaduta a prezzi maggiorati.

«Tutto falso. Non ho nessuna proprietà, qua la mattina vengono i padroni e cercano braccianti. Allora io chiamo chi ci sta e li faccio andare a lavorare. Loro guadagnano e sono contenti».

Intermediari.
«Siamo come la Caritas, facciamo del bene. Accogliamo anche i cani randagi di quelli che vanno in vacanza e li lasciano per strada. Questo è tutto un complotto. Lo Stato si vuole prendere questo posto, il villaggio, per farci un campo d’accoglienza come a Borgo Mezzanone. Provate a chiedere agli immigrati se vogliono stare là, oppure qua. Se gli schiavisti siamo noi o loro».

Cos’è quel quadernone che ha in mano?
«È una raccolta firme. Ci sono tutti i nomi delle persone che vivono in queste case e vogliono che riapra il market. È la prova che a noi ci vogliono bene».

Lei è “un’imprenditrice individuale”. Titolare di un’autorizzazione per la vendita ambulante, concessa dal comune di Manfredonia e iscritta alla Camera di commercio il 31 marzo di quest’anno.
«Ce l’hanno chiuso subito dopo che sono usciti gli articoli vostri, dicono che non abbiamo le autorizzazioni sanitarie». Interviene Aziz: «Dentro abbiamo ancora tutta la roba, sta andando a male».

È vero che nei giorni scorsi è scappata?

«Io sono sempre stata qua. Noi rimaniamo sempre qua fuori, perché abbiamo paura che il vento si porti via i sigilli e l’avvocato ci ha detto che se ci denunciano per violazione di sigilli è ancora peggio. Comunque io posso andare dove voglio, nessuno mi può dire niente».

Tra le accuse che le forze dell’ordine le fanno, è di aver picchiato selvaggiamente chi non vuole sottostare alle sue regole.
«Non è vero. Se a noi non ci fanno del male, noi non facciamo niente a nessuno. Certo se vuoi rubare a casa mia, se ti prendo con le mani nel cassetto è chiaro che mi arrabbio e, se qualcuno perde ancora più la pazienza, ti può anche picchiare. Se le rubassero il portafogli lei cosa farebbe?».

Una denuncia.
«E noi le abbiamo anche fatte le denunce. Ma se noi ti diciamo che te ne devi andare da qua e quelli non se ne vanno, qualche cosa bisogna pure fare, non è che rimani così e fai finta di niente. Anche noi siamo lavoratori, facciamo una vita di sacrifici. Anche noi abbiamo il diritto di guadagnare qualcosa».