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da Il Trentino del 5 novembre 2006

Trento – Schiavi nei campi, otto arresti

Cinque agricoltori trentini ai domiciliari per caporalato

Entrare legalmente in Italia dopo aver pagato dai 2 mila ai 5 euro in cambio di un contratto di lavoro. Vendere la propria ditta in Marocco per trovare i soldi necessari e poi diventare, senza nemmeno capire come, clandestini, abbandonati a sé stessi e pronti ad essere sfruttati per lavori occasionali pagati due euro l’ora o nemmeno quelli. E’ successo, secondo le testimonianze raccolte in un’operazione della squadra mobile, in Trentino. Otto le persone arrestate, tre marocchini e cinque titolari di aziende agricole, e sei sono gli indagati a piede libero.
L’accusa è uguale per tutti: associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e all’impiego di persone senza i necessari permessi. Accuse gravi che, se provate, gettano una luce inquietante sul mercato del lavoro stagionale in provincia. Accuse che stupiscono anche chi la realtà agricola la conosce molto bene.
L’indagine della squadra mobile (denominata «Janye Ttufah» ossia raccolta mele in marocchino e diretta dal pm di Rovereto Marco Gallina) inizia a settembre quando in questura si presenta un ragazzo di poco più di trent’anni. E’ disperato e inizia a raccontare la sua storia. I poliziotti lo ascoltano e partono le verifiche. Le parole del giovane straniero vengono ritrovate nei racconti di altri stranieri che vengono rintracciati. La polizia lavora assieme al servizio ispettivo dell’ufficio provinciale del lavoro. Si controllano le date, i nomi, i documenti e si scoprono incongruenze.
Ieri mattina all’alba gli arresti. I tre marocchini – i fratelli Abdelkebir e Noureddine El Kihal residenti a Rovereto e Abderrazzak Ez Zarouali di Ala – sono stati portati in carcere mentre Filippo Luca Bleggi, 53 anni di Bleggio, Ezio Melchiori, 44 anni di Tuenetto, nel comune di Taio, Bruna Rizzi, 63 anni di Tuenno, Enrico Tovazzi, 42 anni di Volano e Arturo Gasperotti, 45 anni di Pomarolo sono agli arresti domiciliari. Loro sono tutti titolari di importanti anziende agricole ma all’elenco, per la polizia mancherebbe una sesta persona, un loro collega, che in questo momento di trova all’estero. Poi ci sono sei indagati accusati, alcuni, anche di reati minori quali falsità in scrittura privata commessi da chi, in occasione di controlli dell’ufficio del lavoro in cantieri della val di Sole, hanno successivamente attestato falsamente l’assunzione dell’extracomunitario. Sono quaranta, invece, gli stranieri che sono state vittime di questo sistema.
La ricostruzione fatta dalla mobile parte dalle testimonianze di queste persone e da successive indagini.
La storia è uguale per tutti. I marocchini, questa è la ricostruzione degli investigatori, tenevano i contatti con la loro madrepatria dove avevano ville che facevano invidia a tutti. Chi voleva lavorare in Italia sapeva che doveva mettersi in fila lì e essere pronto a pagare, per un contratto di lavoro, dai 2 mila ai 5 mila euro. E bisognava aver pazienza visto che pare che ora ci siano persone già «prenotate» per il 2007. Poi questi marocchini avrebbero indicato i nomi di chi aveva pagato ai titolari di sei aziende agricole e questi facevano regolare domanda all’ufficio del lavoro per farli venire a lavorare per la raccolta delle mele. Il visto arrivava quindi in Marocco e il lavoratore partiva con l’indicazione di chiamare un determinato cellulare una volta atterrato. Così facevano ma quel numero suonava a vuoto e solo dopo 9 giorni qualcuno, finalmente, rispondeva. Ma a quel punto era fatta. L’aspirante lavoratore non aveva firmato alcun contratto, non si era presentato in questura per avere il permesso entro il termine degli otto giorni previsto dalla legge e quindi era clandestino. Senza conoscere nessuno, senza una casa, senza soldi, senza speranze, diventavano facilmente sfruttabili. Ed ecco quindi che venivano proposti lavori in nero da compensi quasi irrisori – due euro l’ora – o addirittura inesistenti nei campi o in cantieri edili. Esseri umani che hanno vissuto in case disabitate senza la possibilità di lavarsi e di mangiare. E solo quando uno di loro ha trovato il coraggio di raccontare la sua storia, anche gli altri si sono fatti avanti. Ora, almeno per alcuni di loro si apre la possibilità, collaborando nelle indagini, di poter stare regolarmente in Italia e, finalmente di poter lavorare con le carte in regola. In base ai racconti di questi marocchini parte del denaro che loro davano per poter arrivare in Italia andava ai titolari delle aziende agricole. Si parla di mille euro per lavoratore anche se questo pagamento deve essere provato. La difese di Bleggi è chiara: lui ha fatto tutto regolarmente e le ipotesi per gli altri trentini coinvolti è non fossero consapevoli di quello che facevano, che magari, sì, presentassero le richieste con quei determinati nomi ma solo per fare un favore e che poi non si preoccupassero più di tanto se il lavoratore non arrivavano. Persone forse convinte di fare solo un’azione buona ma questo lo dovranno dimostrare davanti al giudice.
Mara Deimichei