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da La Nuova di Venezia e Mestre del 15 dicembre 2006

La lunga odissea dei ragazzini venuti in Italia a cercar lavoro

Scorci di storia nelle parole dei sei ragazzini. Una storia lenta nell’essere raccontata dai piccoli afghani raccolti dalla polizia ferroviaria tre notti fa mentre vestiti con pochi stracci vagavano al freddo lungo i binari di Santa Chiara. Ora si trovano in un centro di accoglienza e di loro si stanno occupando gli operatori dei servizi sociali del Comune. C’è diffidenza. Non può essere altrimenti.
In camion, apiedi, ancora camion, pullman e ancora a piedi. Sei mesi così. Tra pietraie, strade polverose e villaggi di pastori. Il loro racconto è soprattutto questo. Del loro paese, delle loro famiglie poco o nulla. Gli operatori hanno capito che alcuni hanno ancora dei parenti, altri no. La guerra se li è portati via. Uno di loro parla un po’ di inglese, tocca a lui raccontare e presentare gli altri. C’è anche un interprete che aiuta a capire, ma resta la diffidenza.
Rispondono per il momento a domande semplici. Soprattutto sul loro lungo e difficile viaggio. Hanno lasciato l’Afghanistan per poter sopravvivere. In un chiaro progetto d’immigrazione: trovare un lavoro forse in Italia per mandare a casa il denaro alla famiglia. Il viaggio lo hanno fatto in parte a piedi, in parte su qualche mezzo dei nuovi mercanti di esseri umani che assieme a queste giovani vite trasportano oppio ed eroina prodotta nei campi dell’Afghanistan. Hanno dormito dove hanno trovato, mangiato quello che riuscivano a racimolare.
Erano in quindici, alcuni maggiorenni. In sette sono arrivati da noi, tra cui un maggiorenne. Gli altri otto chissà che fine hanno fatto. I ragazzi hanno attraversato l’Afghanistan, l’Iran, la Turchia e la Grecia. In Grecia sono finiti a Patrasso e qui si sono infilati in un camion nella stiva del traghetto per Venezia. A San Basilio hanno visto un binario, hanno atteso il buio, poi si sono incamminati verso Santa Chiara. Senza una mèta precisa, nessuno di loro ha in Italia un parente o un indirizzo di riferimento.
Ora come famiglia hanno il Comune di Venezia e in particolare il servizio minori stranieri non accompagnati.
Una famiglia che si allarga continuamente. Perchè continuamente minori non accompagnati arrivano da noi. Le loro famiglie sanno che per la nostra legge non possono essere espulsi e nel giro di qualche anno vengono inseriti nel mondo del lavoro.
I servizi sociali del Comune da anni gestiscono un’integrazione, portata a esempio in tutta Italia. Per i ragazzini ora inizierà un percorso di apprendimento della lingua italiana, di apprendistato per imparare un lavoro, anche di possibile affidamento temporaneo a una famiglia. «Sono la punta di un iceberg di disperazione – dice la dottoressa Paola Sartori dei servizi Sociali – sono loro, questi ragazzini, la vera emergenza.
E’ un fenomeno montante negli ultimi mesi che preoccupa molto anche l’Anci. Abbiamo dovuto raddoppiare gli stanziamenti del Comune per assisterli. la giunta ha fatto uno sgorzo notevole. Anche se di volta in volta dobbiamo ripensare i nostri progetti di integrazione. Infatti non dobbiamo rapportarci loro come se lo stessimo facendo con dei nostri ragazzi. Bisogna pensare che nel loro paese a 14 anni sono maggiorenni.
Sono preparati ad affrontare la vita molto più dei nostri ragazzi. Questo comunque non vuol dire non garantire loro assistenza e un progetto d’integrazione che dia loro gli strumenti per affrontare la nostra società», spiega la dottoressa Sartori. «Il loro viaggio fa parte comunque di un programma di migrazione pensato dai genitori per garantire un futuro a loro ma anche per garantire un reddito alla famiglia. Per noi questi progetti rappresentano un impegno notevole ma anche un grande stimolo».