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da Il Manifesto del 23 dicembre 2006

«Quelli che amano il presepe, ma se è dei nomadi lo bruciano»

Don Massimo Mapelli, della Casa della Carità. «Ne ho viste tante contro i Rom, ma il raid di Opera è senza precedenti». L’incontro «faticoso ma possibile» con i nomadi

Milano – Manuela Cartosio

Don Massimo Mapelli, stazza da giocatore di football americano, braccio destro di don Virginio Colmegna alla Casa della Carità dove i rom sono cosa sua. Lo intervestiamo dopo il raid che ha distrutto il campo nomadi di Opera.

La prima domanda a un prete è obbigata. Tanto parlare di presepe e poi…
Faccio mio il commento di don Renato, parroco di Opera. Stavamo allestendo un presepe vivente. Quelli che si riempiono la bocca dei valori cristiani, senza sapere cosa siano, l’hanno bruciato.

I 75 rom sgombrati il 14 dicembre da via Ripamonti e che avrebbero dovuto andare sotto le tende a Opera adesso dove sono?
La prima notte l’hanno passata qui da noi alla Casa della Carità. Poi sono stati divisi in tre centri d’accoglienza invernale del comune di Milano. Domani (oggi per chi legge, ndr) saranno nell’area circense di Opera. Da mezzogiorno in poi faremo una festa, con grigliata e musica rom della Banda del villaggio solidale. Vogliamo che gli abitanti di Opera li vedano e li conoscano per quello che sono. Esseri umani.

Il raid squadristico di Opera è un fatto senza precedenti. Chi l’ha compiuto non si è nascosto. L’ha fatto con tracotanza, muovendo dal luogo pubblico per eccellenza, il consiglio comunale.
Anch’io che ne ho viste di cotte e di crude sono sorpreso e sgomento. Ne ho sentiti tanti berciare nei megafoni, gridare che i campi rom vanno bruciati. A Opera l’hanno fatto. Per fortuna, senza nessuno dentro le tende.

Come si è comporta la giunta di centrosinistra di Opera?
Con sensibilità e responsabilità. Ha dato la sua disponibiità a tamponare un’emergenza creata da altri con lo sgombero di via Ripamonti. Uno sgombero che, battuta da prete, sembra stato fatto dallo spirito santo. Emergenza, lo dice la parola stessa, significa aver poco tempo per informare la cittadinanza, per mediare, per costruire il consenso. E’ la prima nemica della solidarietà intelligente. Anche quando si ha tempo a disposizione far accettare i rom è fatica. Figuriamoci con 48 ore a disposizione.

Gli albanesi, alla fine, vengono digeriti. I negher sono allegri e ci stanno simpatici. Perché solo l’ostilità per gli zingari è inossidabile?
Li sentiamo come i più diversi da noi. Siamo maldisposti all’incontro e anche loro riluttano a farsi incontrare. Però si può fare.

Da un anno e mezzo, oltre a inseguire le emergenze, la Casa della Carità segue un’ottantina di rom che abitano in casette prefabbricate al parco Lambro. Il bilancio?
Tutti i bambini vanno a scuola, con operatori di sostegno. Tutte le donne hanno seguito corsi di formazione, dalla cura domestica al cucito. Alcune lavorano in imprese di pulizia. Un gruppetto di uomini lavorano nell’edilizia. Quelli che suonano hanno formato la Banda del villaggio solidale. Non fanno più accattonaggio con la fisarmonica e il violino. Li chiamano alle feste e si fanno giustamente pagare.

Il primo gennaio la Romania e la Bulgaria entreranno a pieno titolo nella Ue. Il vicesindaco di Milano De Corato (An) da settimane sottolinea quella data, paventa l’arrivo in città di 40 mila romeni in un colpo solo. Lo sgombero prenatalizio di via Ripamonti è un messaggio per dire «state a casa vostra»?
Se lo è, non funzionerà. Sono stato due volte nella zona di Craiova, da dove viene la maggior parte di rom presenti a Milano. Stanno in case senza luce e senza acqua. Come tutti i poveri si spostano nei paesi ricchi.