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Rifugiati in alto mare: quale protezione?

Commento e resoconto del convegno promosso dall'Unhcr e Cir a Palermo

E’ una curiosa coincidenza che ad una settimana dall’apertura, ad Agrigento, del processo Cap Anamur ci si ritrovi a parlare del soccorso in mare come di un dovere civico ed etico.
L’occasione è stata data dal seminario ”Rifugiati in alto mare: quale protezione? Aspetti giuridici e pratici legati agli sbarchi” organizzato da Unhcr e Cir e tenutosi l’altro ieri a Palermo, alla tonnara Bordonaro, (quale miglior “location” a disposizione dei numerosi giornalisti accorsi per intervistare il sopravvissuto ad un naufragio?).
Nel corso del seminario, che ha tentato di coniugare la questione del soccorso a quella del contrasto dei flussi migratori via mare (il paradosso è evidente), è stata presentata la pubblicazione “Soccorso in mare”, sulle linee guida da applicare per il soccorso di migranti e rifugiati, prodotta dall’Unhcr e dall’Organizzazione Marittima Internazionale, destinata “ai comandanti delle navi, dei pescherecci, agli armatori, alle autorità di governo, e a tutti gli altri attori coinvolti in situazioni di soccorso in mare”.

Ancora una volta si è posto l’accento sulle “carrette del mare” e sul loro carico di “disperati” parlandone come di un fenomeno ormai strutturale del processo migratorio, ripetendo che sin dall’antichità le persone hanno rischiato la vita via mare, senza invece considerare l’ipotesi che sia possibile garantire un ingresso legale per chi fugge dal proprio paese o per chi semplicemente ha scelto di lasciarlo.
‘’Bisogna rilanciare la tematica del salvataggio a mare con tutte le contraddizioni che si porta dietro – ha commentato Laura Boldrini, portavoce dell’Unhcr – nell’intervento che ha aperto i lavori. ‘’A livello politico si è parlato di pattugliamento congiunto, ma bisogna capire bene in che termini”.
Ai limiti della retorica l’intervento di Savino Pezzotta, nuovo presidente del Cir: “Dobbiamo impegnarci affinché il Mediterraneo diventi un luogo di incontro e ricordarci che ogni persona salvata è un gesto di umanità.”
Mario Morcone, Capo dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione del Ministero dell’Interno si è dilungato sul “modello Lampedusa, modello ormai da esportare”. In particolare la situazione sull’isola sarebbe migliorata dal 1 marzo 2006 con l’avvio del progetto “Praesidium”, al quale partecipano il Ministero dell’Interno, la Croce Rossa Italiana, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e l’ Unhcr. Sembra che i problemi dell’isola scompariranno con la costruzione della “nuova struttura che offrirà condizioni dignitose e di accoglienza per tutti.” Citate anche le commissioni territoriali di Siracusa e Trapani che, secondo i dati del Ministero dell’Interno, “operano con risultati confortanti rispetto al passato”.

Nel corso del seminario è stato dato spazio alla testimonianza di Fatah, un ragazzo etiope ora rifugiato, che nel 2003 sopravvisse ad un naufragio nel Canale di Sicilia e che da quel momento vive al Laboratorio Sociale Occupato Zeta di Palermo, e di Corrado Scala, comandante del peschereccio Cicho di Siracusa, denunciato nel 2002 per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina dopo aver soccorso una barca di profughi.
Fulvio Vassallo Paleologo dell’Università di Palermo ha auspicato una “depenalizzazione sostanziale di tutti gli interventi di soccorso a mare che non sono diretti ad eludere i controlli ma che possono anticipare il momento del salvataggio per salvaguardare la vita umana” sottolineando, nello specifico, come “sarebbe necessaria anche una modifica dell’articolo 12 della Bossi-Fini riguardante la cosiddetta esimente umanitaria per coloro che prestano soccorso ed assistenza umanitaria agli immigrati irregolari nel territorio italiano, norma che non è servita a proteggere chi ha prestato soccorso in acque internazionali.” Basta, a questo proposito, ricordare il caso Cap Anamur.
L’ultima parte della mattinata è stata dedicata alle relazioni più tecniche e giuridiche di docenti e comandanti della Marina e della Guardia di finanza.
Su una linea diversa l’intervento di Cristopher Hein, direttore del Cir, che ha parlato di una differente modalità di gestione delle richieste di asilo politico ipotizzando che “si possa chiedere asilo presso le rappresentanze diplomatiche italiane all’estero nei paesi di transito, come la Libia.” Anche volendo dare un ruolo fondamentale alle ambasciate e ai consolati stranieri, appare però difficile comprendere come si possa dislocare una mansione tanto delicata sul territorio di un paese che non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra e che, nonostante i recenti tentativi di “riabilitazione”, non risulta essere particolarmente dedito alla tutela dei diritti umani.

Alla fine della giornata Totò Cavaleri del Laboratorio Zeta commenta quanto poco senso abbia limitarsi a parlare delle problematiche del soccorso in mare senza affrontare seriamente anche i problemi connessi con le politiche migratorie sbagliate che costringono i migranti a rischiare la vita per attraversare le frontiere e che poi, qualora sopravvivano, dopo aver ricevuto nel 90% dei casi un diniego dell’asilo politico, prevedono per loro detenzioni e deportazioni. Totò commenta ironicamente: “ci ha colpito poi il fatto che anche il Procuratore di Agrigento Ignazio De Francisci durante il suo intervento abbia definito la Bossi-Fini una legge anti-immigrazione”.
Per il resto, lapsus freudiani a parte, siamo ancora in alto mare.

di Francesca Citarrella

Vedi l’articolo “Contrasto delle migrazioni irregolari via mare e diritti fondamentali dei migranti
di Fulvio Vassallo Paleologo, ASGI