Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Le condizioni dei migranti in Libia

Intervista a Silja klepp, ricercatrice in antropologia culturale presso l'Università di Lipsia

Il governo libico detiene arbitrariamente i migranti in condizioni vicine alla tortura, li espelle abbandonandoli nel deserto, li cattura in gruppi attraverso retate che incitano alla xenofobia in tutto il paese.
L’Unione europea, col governo italiano come tramite, continua a delegare alla Libia una parte importante del controllo della sua frontiera mediterranea, incurante dei metodi adoperati per adempiere a questo mandato.

Già Salvatore Lupo, in una intervista raccolta qualche mese fa, ci aveva raccontato parte delle pratiche repressive contro i migranti messe in atto in questo paese del Maghreb.

Abbiamo intervistato Silja klepp, ricercatrice in antropologia culturale presso l’Università di Lipsia, perchè, nell’ambito dei suoi studi relativi alla protezione dei profughi nell’Unione europea, ha trascorso un mese nella terra di Gheddafi, tra l’ottobre e il novembre del 2006.

D. Perchè hai deciso, nell’ambito dei tuoi studi, di arrivare fino in Libia? che cos’è che hai ritenuto fosse così interessante da raccontare?

R. Volevo capire cosa stava succedendo lungo la frontiera tra Africa ed Europa, tra Italia e Libia appunto. Negli ultimi anni c’è una cooperazione sempre più stretta fra l’Unione europea e la Libia in cui l’Italia funziona, per così, dire come avanguardia. Non ci sono infatti contatti formali fra UE e Libia ma tutto funziona a livello di accordi bilaterali con l’Italia. Ci sono accordi relativi al controllo dell’immigrazione tra Italia e Libia che purtroppo non sono mai stati resi pubblici e di cui non si conosce bene il contenuto.

Visto che da questo paese non si hanno molte notizie, volevo vedere con i miei occhi quello che succede lì, le condizioni di vita degli immigrati, l’effetto che il controllo alla frontiera, e forse anche la cooperazione tra l’Italia e la Libia, hanno avuto su queste condizioni di vita.

D. Ricordiamo, a proprosito di questo punto, che gli accordi segreti di cui tu parli sono quelli stipulati da Berlusconi nel 2004 nella sua famosa visita “sotto la tenda” di Gheddafi, contemporanea alle deportazioni che nel frattempo venivano effettuate dall’isola di Lampedusa alla Libia tra l’ottobre del 2004 e la primavera del 2005.

R. Infatti. questa mia idea è nata soprattutto nel momento in cui l’Italia effettuava addirittura dei respingimenti verso la Libia. Diventava allora ancora più importante vedere come trattano gli immigrati in quel paese.

D. La tua “missione” ha avuto dei pesanti margini di pericolosità. Il governo libico non è un governo particolarmente democratico, libertà di espressione e di inchiesta non sono certo garantite: che strategie hai adottato per entrare in Libia e poi in contatto con i migranti?

R. Sì, questo è vero, se c’è una piccola apertura della Libia dal punto di vista economico, Gheddafi non sembra certo interessato ad aprirsi verso la democrazia e verso i media.
Già entrare in Libia è stato abbastanza complesso. Non potendo avere un visto da ricercatrice sull’immigrazione ho pensato ad un visto turistico, ma ho dovuto imparare che in Libia non si fanno visti individuali ma solo per gruppi di turisti.
Grazie ad un imprenditore tedesco- libico ho avuto un invito finto tramite il quale ho potuto avere un visto individuale.
Il governo voleva affiancarmi un accompagnatore per tutto il corso della visita ma per fortuna sono riuscita ad evitare anche questo. Sapevo comunque di essere coperta dallo scarso interesse del governo libico ad avere problemi con l’ambasciata tedesca. Il vero pericolo era per quelle persone che mi davano informazioni su un argomento così delicato come l’immigrazioni.

D. Perchè si può dire che in LIbia, sull’argomento immigrazione, ci sia la tendenza a nascondere quello che avviene? come funziona? da cosa derivava questo pericolo?

R. Ultimamente ci sono stati rapporti come quello di Human Rights Watch e anche la Commissione europea ha mandato una delegazione per verificare la condizioni dell’immigrazione in Libia. Nonostante abbiano detto di aver trovato cose molto forti e preoccupanti, si trattava sempre e comunque di indagini molto seguite dalla polizia e dagli ufficiali libici.

D. Tu invece sei riuscita a muoverti liberamente o eri in qualche modo condizionata?

R. La mia presenza è stata una cosa molto strana. A Tripoli, nella capitale, una ragazza da sola, bionda, con gli occhi azzurri e senza velo, era una cosa molto speciale. C’era molta attenzione intorno alla mia persona, e chiaramente non potevo interagire liberamente con le persone che mi interessavano per la ricerca.
Alla fine però ho avuto la possibilità di entrare veramente in contatto con i migranti e parlare tranquillamente con loro tramite la locale chiesa cattolica.

D. E chi hai incontrato? quali storie sei riuscita a raccogliere?

R. C’è una piccola comunità cattolica con un vescovo italiano che sta lì da tantissimi anni, questa chiesa è molto frequentata da africani di tutto il contienente. C’è gente veramente da tutti i paesi, anche io sono rimasta colpita dal fatto che c’erano veramente tutte le nazionalità.

D. Qui tu descriveresti la Libia come un paese di immigrazione?

R. Sicuramente la Libia è stata per tantissimo tempo, diciamo da quando è stato trovato il petrolio, dagli anni ’50, ’60, un paese di immigrazione, purtroppo, negli ultimi anni, stando a quanto mi hanno detto gli immigrati, in Libia è diventato sempre più difficile lavorare.

Anche la legge sull’immigrazione è cambiata di recente.
Si può dire che fino al 1999 – 2000 Gheddafi abbia fatto dei veri e propri appelli ai migranti dell’Africa subsahariana affinché venissero a lavorare in Libia, ma questi tempi sono assolutamente passati.
Ora invece i libici cercano di controllare anche nel loro paese l’immigrazione.

D. Da cosa credi che dipenda questo cambiamento così radicale?

R. So che nel 2000 ci sono stati degli eventi, grandi insurrezioni, un grande caos, e sono morti tantissimi immigrati. I numeri che vengono rivelati sui morti sono molto diversi. C’è chi parla di 10, chi di 500 morti.
Comunque da quel momento in poi il governo ha scelto questa politica sull’immigrazione dicendo cha le gente in Libia non vuole più immigrati, tanto è vero che purtroppo, anche sulla strada, da quello che mi hanno raccontato gli immigrati, c’è molto razzismo. La gente non gradisce molto chi ha la pelle nera. La mia pelle bianca veniva invece molto apprezzata… il discorso della pelle in Libia è molto importante purtroppo…

D. Ma tu credi che in questa inversione di tendenza, da un reclutamento addirittura attivo dei migranti dal resto dell’Africa a un loro controllo e quasi a una chiusura delle frontiere nei loro confronti, l’influenza dell’Unione europea ci sia stata o no?

R. Questo è un argomento molto difficile. Sicuramente c’è una influenza in questa direzione dall’Italia, soprattutto, e anche dall’Unione europea. Credo sia un misto tra queste due cose: sia un cambiamento interno che un cambiamento della politica estera verso l’Unione europea e l’Italia, per far vedere che ora questi controlli in Libia ci sono.
Forse per tutelare la cooperazione economica… è difficile stabilire fino a che punto la repressione degli immigrati che esiste attualmente in Libia sia legata alla politica interna o esterna…

D. Ma prima del 2000 il razzismo, la xenofobia addirittura, di cui tu ci parli era presente o meno? I migranti che tu hai incontrato ti hanno raccontato di un tempo in cui vivevano tranquilli in Libia e di uno “sfogo” razzista che è arrivato dopo?

R. Mi dicono che le condizioni di lavoro erano migliori: si trovava facilmente lavoro e venivano pagati discretamente. Un certo livello di razzismo però c’è sempre stato, alcuni lo ricollegano alla storia della schiavitù e al fatto che a Tripoli c’era un grande mercato della tratta degli schiavi.

D. Come funziona esattamente il sistema del controllo dei migranti in Libia? In quale momento i migranti vengono fermati dalla polizia e che cosa succede quando questo accade?

R. Posso raccontarti un po’ la storia delle persone che ho incontrato, quello che mi hanno detto loro. Ho incontrato una famiglia che veniva dal Congo ed era appena arrivata a Tripoli. Stavano lì da neanche due settimane e avevano due bimbi molto piccoli.
Avevano fatto questo viaggio difficilissimo tramite il Sahara.
Normalmente questo viaggio, dal Congo e dagli altri paesi dell’ovest dell’Africa, avviene tramite il Niger, e poi verso il deserto dell’Algeria e Gath che è la prima città della Libia nel deserto. Questa è la via degli immigrati e anche questa famiglia aveva fatto questo viaggio. Sono stati fermati nella zona di frontiera tra l’Algeria e la Libia, e tutta la famiglia è stata arrestata.
Solo grazie al fatto che il padre, che è elettricista, aveva aiutato uno dei poliziotti a sistemare casa sua sono stati rilasciati dopo poco.

D. Ma venivano arrestati con quale accusa?

R. Di immigrazione illegittima. Ormai questa cosa esiste anche in Libia. Non in Niger, ma in Libia sì.

D. Sai quando è stato introdotto e se è un reato penale o meno?

R. Negli ultimi anni hanno veramente ristretto molto la legge. Sono stati introdotti dei permessi di lavoro, diverse carte verdi, gialle e rosse, il sistema mi sembra abbastanza complicato. Le persone che ho incontrato mi hanno raccontato che i passaporti o i permessi di soggiorno, durante i controlli dei poliziotti, possono non avere alcun valore. Questi documenti vengono anche strappati.

D. Ma se il padre di questa famiglia non avesse avuto una conoscenza precedente di questo poliziotto per cui aveva fatto l’elettricista, che cosa sarebbe successo?

R. E’ difficile dirlo, ma per quel che mi è stato riferito c’è un grande business attorno a tutti questi piccoli e grandi centri di detenzione, più o meno formali, che ci sono ormai in tutta la Libia.
Il loro numero è molto elevato e ho sentito che tante volte i migranti riescono ad uscire da questi centri proprio perchè pagano o fanno dei servizi per i poliziotti. Se non riescono ad uscire vengono espulsi e li riportano alla frontiera o fino ai loro paesi spesso anche in condizioni molto difficili. Non si tratta di una vera e propria frontiera ma piuttosto di una zona del deserto molto difficile da controllare per chi si trova già a Tripoli. A volte avvengono anche delle espulsioni in aereo ma, per quello a cui ho assistito,spesso le espulsioni vengono effettuate con grandi camion attraverso il deserto, soprattutto verso il Niger.

D. Certo, i grandi camion di cui parli, li abbiamo visto anche nei reportages di alcuni giornalisti italiani.Queste persone spesso vengono abbandonate nel deserto. Quelli che invece stanno dentro i centri di detenzione, quanto tempo vi rimangono e in che condizioni vivono?

R. Quasi tutte le persone con cui ho parlato, di varie nazionalità, mi hanno detto di avere già avuto esperienza di detenzione. Sembra una cosa molto arbitraria: dei gruppi di persone, anche numerosi, vengono presi e portati in questi centri. Non sono quindi misure individuali, ma anche collettive.

D. Dove vengono fermati?

R. Sulla strada, nei centri abitati e anche sulla zona di frontiera. Molti mi dicevano che evitano di uscire molto perchè hanno paura, e negli ultimi anni sempre di più, di essere presi e portati in questi centri di detenzione.

D. Anche alcuni migranti che hanno dei documenti possono venire portati nei centri di detenzione dopo che i documenti sono stati strappati?

R. Purtroppo spesso non aiuta avere un permesso di soggiorno e neanche una lettera dell’Acnur che dice che loro sono profughi.

D. La Libia è un paese che, ricordiamo, non ha mai aderito alla Convenzione di Ginevra del ’51 sullo status dei rifugiati.
I rifugiati in Libia sono riconosciuti come tali o no?

R. Come hai detto tu la Libia non ha sottoscritto questa convenzione e non fa alcuna differenziazione fra gli immigrati che vengono per lavoro e i rifugiati che fuggono dalla guerra o dalla persecuzione per esempio in Eritrea o in Sudan.

D. Vengono tutti indistintamente messi nei centri di detenzione o espulsi?

R. Infatti, è proprio così. l’Acnur ha un piccolo ufficio a Tripoli ma non può lavorare. Può rimanere solo nel suo ufficio. Alcuni immigrati vanno lì e chiedono lo status di rifugiato che però non li aiuta molto. Ho incontrato ad esempio un gruppo di persone, avevano tutti la lettera dell’Acnur, uno di loro era stato più di un anno in un centro di detenzione.

D. Quanto si rimane in media in un centro di detenzione?

R. Credo sia veramente difficile fare una stima. Alcuni vengono detenuti per moltissimo tempo, altri solo per qualche giorno. Questo uomo era rimasto in detenzione per un anno e tre mesi.

D. Cosa ti ha raccontato delle condizioni di questi centri?

R. Devo dire che, purtroppo, tutti quelli con cui ho parlato delle condizioni di detenzione mi hanno detto cose molto simili. C’è un sovraffollamento che non possiamo quasi immaginare. mi hanno tutti parlato di stanze di 25 o 30 metri quadri in cui erano detenute 80 persone. Le condizioni igieniche sono disastrose.
Il cibo non è spesso adeguato, si possono mangiare solo pane e acqua per molte settimane. Una persona mi ha addirittura detto che gli veniva dato da bere solo acqua salata, acqua del mare. Le condizioni sono molto difficili…

D. Descrivi una situazione ai margini della tortura.
Ci sono violenze da parte delle forze che gestiscono questi centri? che cosa accade?

R. Alcuni hanno parlato proprio di tortura. Dicevano frasi come: ci hanno trattato come animali… ci hanno trattato come cani.
Un altro grandissimo rischio in questi centri è prendere una malattia grave, come ad esempio la tubercolosi. Le condizioni di detenzione possono essere mortali.
Purtroppo ho conosciuto una persona che poco dopo la mia partenza dalla Libia è morta proprio, colpita dalla tubercolosi in galera, dove spesso vengono rinchiusi anche i migranti accusati per cose diverse, senza un processo.

D. Quindi i migranti vengono detenuti sia nei centri speciali fatti apposta per loro che nelle carceri normali.
Sono una parte sostanziosa della popolazione carceraria come succede anche da noi?

R. Penso che questo si possa dire. Ma non so se faccia parte del controllo dell’immigrazione. I centri di detenzione certamente si.

D. Ci stai parlando di centri di detenzione dove ci sono condizioni vicine alla tortura, dove le persone contraggono malattie mortali, vengono detenute arbitrariamente per periodi di tempo indefiniti spesso a pane e acqua, e subiscono violenze continuative. sono questi i centri finanziati dall’Italia?

R. Per quello che sappiamo – ma le informazioni date dal Ministero degli Interni italiano sono molto scarse – c’erano, e probabilmente ci sono, tre campi in Libia che vengono finanziati dall’Italia e poi gestiti da libici. Soldi italiani, quindi, e condizioni di detenzione libiche.

D. Queste persone che tu hai conosciuto avevano subito le cose tremende che hanno raccontato dentro campi finanziati dall’Italia?

R. Spesso i migranti non sapevano neppure dove fossero i campi dove erano stati portati. Quello che è sicuro è che l’Italia finanzia espulsioni dalla Libia verso altri paesi, ad esempio l’Egitto, e che ci sono probabilmente ancora tre campi finanziati dall’Italia. Inoltre, nell’ ambasciata italiana a Tripoli, c’è un ufficiale italiano di collegamento sull’immigrazione.
Purtroppo non ho potuto parlare con lui ma sicuramente avrà un ruolo nel controllo della frontiera. L’Italia ha anche mandato aiuto tecnico alla Libia: tende, fuori strada, cose del genere…

D. Sostanzialmente tu diresti che l’Italia collabora a un regime di violazione costante dei diritti fondamentali dei migranti in LIbia?

R. Penso che questo si possa dire, perchè sicuramente l’Italia non fa molta pressione sulla Libia per migliorare le condizioni di controllo e detenzione dei migranti e invece finanzia, o aiuta a finanziare questo sistema.

D. La Libia ha come scelto, a un certo punto, di essere vicina alle politiche migratorie dell’Unione europea a discapito dei cittadini del suo stesso continente, con cui prima c’erano altri rapporti. Possiamo dire che l’Unione europea stia quasi dividendo l’Africa tra paesi a sud e paesi a nord del Sahara?

R. Direi che sicuramente è una strategia interna alle politiche di Gheddafi. Nel periodo in cui l’occidente ha visto la Libia come un paese ostile, lui ha cercato molto il consenso africano, ha dato molti soldi ai paesi africani per averli al suo fianco. Aprendosi economicamente verso i paesi dell’Ovest, invece, Gheddafi ha cambiato politica nei confronti degli altri paesi africani, e con i paesi vicini alla Libia specialmente in tema di immigrazione.

D. Hai avuto notizie dell’ultima visita in Libia dell’attuale ministro degli esteri italiano Massimo D’Alema?
Si poteva sperare in una qualche forma di discontinuità tra un governo di centro-destra e uno di centro-sinistra, e invece sembrerebbe che l’attuale governo, sui temi dell’immigrazione e sui rapporti con i paesi a cui si delega il controllo dell’immigrazione, si muova in una linea di continuità con il vecchio …

R. Si, ho saputo che è stato in Libia. Credo che sostanzialmente l’unica cosa che sia cambiata è che non ci sono più respingimenti verso la Libia, che erano poi assolutamente illegali. Ma sembra che, purtroppo, per il resto, non sia cambiato nulla.
C’è sempre una politica di amicizia verso la Libia, una politica che deriva da interessi economici molto forti. Non mi pare che D’Alema abbia fatto a Gheddafi anche un discorso sul rispetto dei migranti o sui diritti umani in Libia.

D. Non sembra fosse il suo obiettivo principale, purtroppo. Ma ci sono ancora persone che dalla Libia stanno cercando di raggiungere l’Italia?

R. Ho incontrato tante persone che vogliono venire in Italia, soprattutto perchè dicono che non è più possibile restare in Libia.
Forse alcune di loro avevano in mente un altro progetto: rimanere in Libia e lavorarci. Anche profughi di guerra dell’Eritrea o del Sudan. Però poi hanno visto che c’è troppa tensione contro di loro in Libia e siccome tanti non possono più tornare a casa (essendo rifugiati), devono fare questo viaggio molto rischioso verso l’Italia. Si sentono in trappola.

D. Hai avuto modo di capire come vengono organizzati questi viaggi dalla Libia all’Italia?

R. Mi è stato detto che si tratta di piccole organizzazioni di varie nazionalità che preparano con piccole barche questo viaggio che purtroppo negli ultimi anni è diventato sempre più pericoloso…

D. …Per aggirare gli ostacoli imposti da politiche migratorie che prima costringono queste persone a potere partire solo così e poi rendono questi viaggi sempre più impervi…
Un’ultima domanda che vorrei farti per darci un po’ di speranza e ricordare che il fenomeno migratorio è anche un fenomeno potente, che porta in sè una grande energia, una grande forza difficilissima da spegnere…
Hai incontrato anche delle “strategie di resistenza” in Libia da parte dei migrant

R. Devo dire che tutte le persone che ho incontrato erano molto pronte ad “agire” e non solo a re-agire alle politiche della Libia e si organizzavano bene tra di loro aiutandosi, incontrandosi presso la chiesa o in altre situazioni. La rete tra connazionali sembrava molto forte: vivono in gruppi e reciprocamente si aiutano moltissimo.
Presso la chiesa cattolica c’è anche un servizio di salute per gli immigrati ma ufficialmente non ci sono molte possibilità di lavorare con loro perchè solo la Gheddafi Foundation può operare in Libia. Ma gli immigrati stessi sono sempre pronti a organizzarsi e darsi una mano.

D. Ci sono forme di organizzazione politica e di resistenza o questo è reso assolutamente impossibile dalla violenza del governo Gheddafi?

R. Organizzazioni di emancipazione mi sembra molto difficile che ce ne siano perché il livello di controllo di polizia segreta è molto alto.
Anche se tutte le comunità dei migranti sono molto organizzate, sanno benissimo che tra loro ci sono tante spie.
La Libia è sempre uno Stato di polizia.

Redazione Melting Pot