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“L’Espresso”: in Puglia resta lo sfruttamento

Nuova inchiesta sul caporalato

Storie di immigrati che fuggono dai loro Paesi in cerca di una vita più dignitosa, di uomini costretti a vivere lontano dalle loro case e dalle loro famiglie in condizioni disumane, di lavoratori sfruttati a 3 euro l’ora per dodici ore al giorno. È questa la nuova inchiesta de “L’Espresso” in uscita domani. Il settimanale è tornato in Puglia un anno dopo la sua inchiesta choc sulle condizioni dei lavoratori stranieri impegnati nella raccolta dei pomodori nelle campagne del foggiano, per dimostrare come, da allora, nulla sia cambiato.

Il reportage, realizzato da Fabrizio Gatti, denuncia lo stato di paralisi delle istituzioni che in un anno non sono riuscite a combattere lo sfruttamento e le irregolarità della forza lavoro del nostro Paese.
La risonanza dell’inchiesta dello scorso anno ha prodotto un aumento delle ispezioni e penalizzato solo i braccianti che, senza il contratto di lavoro, rischiano l’espulsione: “Il caporalato – si legge sul settimanale – non è ancora reato. Il disegno di legge attende l’approvazione della Camera. E anche per questa stagione di raccolti e vendemmie bisognerà farne a meno. Così, perché un caporale finisca in carcere, un bracciante deve essere almeno sequestrato. Oppure ucciso”.

Dalla Polonia quest’anno potrebbero arrivare più di cinquemila persone disposte a lavorare senza sosta in condizioni pericolose per la propria salute e per la propria vita. “Il piccolo Kacper – racconta il giornalista – ride ancora. Ma è solo una fotografia nel cimitero del paese. Aveva due anni quando, sette mesi fa a Stornarella, un cancello gli è caduto addosso. Da quel giorno sua sorella Natalia, 6 anni, non cammina più. Il cancello ha colpito anche lei. La credevano morta, è rimasta paralizzata dal bacino in giù”.

“La mamma e il papà di Kacper e Natalia erano arrivati dalla Polonia l’estate scorsa per la raccolta dei pomodori. Avevano trovato lavoro come braccianti in provincia di Foggia. Ma i braccianti stranieri quasi mai hanno un contratto qui. Nemmeno una paga da esseri umani – continua – E in queste condizioni è impossibile prendere in affitto una casa dignitosa. Perfino tornarsene indietro diventa difficile. Un padrone li aveva sistemati in una casupola, nel deposito del suo cantiere. Così i due bimbi e il loro fratellino di 5 anni vivevano tra ruspe e camion. Non giocattoli. Ruspe e camion veri”.