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Una strage senza fine

Numeri da capogiro per le tragedie alle frontiere europee, mentre il parlamento discute senza Italia e Frontex

Una strage senza fine, questo emerge dal rapporto di giugno 2007 redatto da Fortress Europe.

Secondo il rapporto infatti, “sono 154 i giovani morti lungo le rotte dell’immigrazione clandestina nel mese di giugno, tra cui almeno 7 donne e 3 bambini. I corpi recuperati dal mare sono soltanto 41, gli altri 113 sono dispersi sui fondali del Mediterraneo. Centodiciotto le vittime del Canale di Sicilia; 28 sulle rotte per la Sardegna, in Algeria; 4 sulla via per le Canarie e 2 nel mar Egeo, nelle acque di Samos, in Grecia. In Francia un ragazzo è morto soffocato nel camion dove viaggiava nascosto verso l’Inghilterra, mentre in Spagna un giovane nigeriano ha perso la vita a bordo dell’aereo sul quale veniva deportato. Gli sbarchi in Italia continuano a diminuire, e il 25 giugno è iniziato il pattugliamento europeo del Canale di Sicilia. Intanto dalla Libia arriva notizia di 2.137 arresti nel solo mese di maggio. Dal 1988 le vittime dell’immigrazione clandestina sono almeno 9.200″.

Il dibattito politico che cerca di affrontare questa situazione lo fa troppo sesso consegnandoci il fenomeno dei “viaggi della speranza” come un fattore strutturale del nostro tempo, e le morti che li accompagnano come frutto della voracità delle onde.
Ad essere strutturale è invece il desiderio incessante di mobilità che si presenta come una spinta connaturata ai fenomeni di globalizzazione che investono il pianeta. Le morti, le tragedie, i naufragi, sono il frutto delle scelte con cui l’Europa sta cercando di governare le migrazioni, dell’ impossibilità di accedere in altre forme al nostro continente, dell’esclusione funzionale prodotta dalla normativa vigente.
In mare si muore certo, ma i viaggi si affrontano per mancanza di alternative. Per chi riesce ad approdare invece, l’inclusione, l’accesso, si presentano nella forma del ricatto, della detenzione, di condizioni di vita terribili.

E mentre lungo i confini dell’Europa si consuma la tragedia dei viaggi senza fine, nei palazzi del Parlamento Europeo le discussioni ed i tentativi di arginare gli effetti impliciti della guerra ai migranti si spengono di fronte all’assenza dei principali attori del controllo della mobilità: l’Italia e l’Agenzia Frontex per il controllo delle frontiere esterne.
Il segnale allarmante viene dalla sottrazione del dibattito sulla preoccupante situazione dallo scenario della politica, con il rischio di ridurre la discussione ad una mera questione tecnica, legata alle scelte sulle forme ed sui tempi del controllo delle frontiere.

Non che il dibattito politico abbia saputo fino ad oggi produrre inversioni di tendenza – il rapporto di Fortress Europe è utile a confermare non vi sia una diminuzione del fenomeno ma semplicemente un suo spostamento su nuove rotte e nuovi scenari – ma l’assenza dell’Italia dalla discussione al Parlamento Europeo, ci racconta in maniera chiara quali siano le principali preoccupazioni dell’attuale esecutivo.
Il nodo immigrazione-sicurezza sembra oscurare ogni discussione che non affronti da questa prospettiva la vicenda.
Spesso l’Italia infatti ha discusso dell”emergenza sbarchi”, ma solo dentro la possibilità di mettere in campo nuovi istituti di controllo.

La mancanza di una normativa in materia di asilo rimane uno dei nodi scoperti, che metterebbe a nudo il “bel paese” davanti ad ogni possibilità di discussione.
Con questo non vogliamo certo promuovere l’idea che l’Italia stia scegliendo la strada “unilaterale” nella gestione dei flussi migratori, anzi, il governo italiano è solitamente uno dei principali protagonisti nella costruzione di reti “multilaterali” tra gli stati, per la definizione dei piani di intervento. Certo che però, davanti alla tragedia che riempie di morti i nostri mari, ed alle responsabilità che appartengono al governo Italiano, questo, dimostra segni evidenti di difficoltà.
D’altra parte è impensabile che l’impianto su cui regge il sistema di controllo delle migrazioni non venga continuamente messo in discussione e che non si producano rotture anche all’interno delle istituzioni politiche che lo governano.
In primis lo fanno le pratiche di attraversamento dei confini, il desiderio e le spinte dei migranti per la libertà di circolazione.
Questo non vale certo le morti che ogni giorno si consumano, ma basta a farci comprendere come la partita sul controllo della mobilità non sia una semplice questione di progetti, normative, mancanze o incapacità, piuttosto un campo di tensione aperto, una vera e propria guerra per il controllo della vita.

Nicola Grigion, Melting Pot Europa