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da Il Manifesto del 14 ottobre 2007

I braccianti schiavi della piana del Sele

Eboli – A marzo ci sono state seimila richieste per far arrivare dal Marocco i braccianti da impiegare nei campi della fertile Piana del Sele. Il decreto flussi 2007 aveva assegnato alla provincia di Salerno tremila entrate, dopo alcuni controlli di polizia e qualche settimana 5200 aziende hanno ritirato la domanda. Basterebbero solo queste cifre per aprire un’indagine sugli schiavi di Eboli e la tratta che gira intorno al mercato clandestino delle braccia «inchiodate» all’agricoltura. Un giro di affari e di malavita organizzata che però nessuno osa o vuole scoperchiare. Arrivano in centinaia ogni mese, le stime della Cgil parlano di circa 4.500 uomini sul territorio, pagano 6-7 mila euro e si aggrappano alla promessa dei trasportatori di anime che in questa maniera otterranno un lavoro per saldare il debito e un alloggio sicuro. Una volta ad Eboli trovano il deserto e la costrizione a contrattare con altri caporali che pretendono tra i 2 e i 5 euro al giorno per inserirli nel mercato. Non possono aggirare il «sensale», spesso un connazionale, non possono denunciare nessuno, giacché clandestini, e se in regola devono accettare un compenso di 22 euro in confronto ai 50 dichiarati in busta paga e oltre 10 ore di lavoro chino nei campi. Se si ribellano, se parlano, scattano le ritorsioni. «Sono qui dal 1999 – spiega M.A., originario di Casablanca – i primi due anni ho dovuto pagare il debito, oggi mando a mia moglie e i miei figli non più di 150 euro al mese e vivo come un cane. Quando mi scade il permesso per otto mesi non riesco a rinnovarlo e vado nei campi da clandestino».
E per tetto un supermercato
Piove sulla litoranea Salerno-Paestum e il grigio rende, se possibile, più straziante vedere un centinaio di marocchini intenti a scavare nelle macerie per recuperare coperte e vettovaglie, tra i resti delle baracche abusive appena abbattute dal comune di Eboli. Quattro catapecchie in cemento che Attilio Stanzione, 42 anni, e Domenico Desiderio, 62, affittavano, per 250 euro l’una, agli immigrati. I due uomini sono finiti in manette, accusati di sfruttamento dell’immigrazione e furto di acqua e elettricità, per gli allacci abusivi. Con loro sono stati fermati 12 sans papier, quattro potrebbero essere rimpatriati nei prossimi giorni, mentre un’ottantina di braccianti sono riusciti a fuggire ricevendo asilo da connazionali nelle stesse condizioni. Alcuni hanno trovato rifugio in un vecchio supermercato, suddiviso in alloggi anche questi abusivi e in «affitto», dal quale verranno a loro sgomberati. «Siamo fuggiti nei boschi – racconta T. J. – abbiamo dormito lì per tre notti, come sempre quando arriva la polizia, poi siamo tornati». Tornati e rifugiati nel «supermercato», dove in ogni stanza-monolocale alloggiavano tra i 14 e i 18 uomini, in un’accozzaglia di brandine dove dormono anche in due, vestiti sparsi ovunque, fornelli incrostati e un cesso in stanza che scarica direttamente urina e feci davanti la porta d’entrata.
Costretti a vivere come animali, questi sono i lavoratori che permettono di raccogliere frutta, verdura e ortaggi da distribuire nei mercati di mezza Italia. La Piana del Sele è infatti un polo ortofrutticolo di eccellenza, campi sterminati dove si susseguono fianco a fianco cupole bianche, serre che permettono la raccolta di fragole, carciofi e pomodori 10 mesi l’anno. La Bonduelle, multinazionale del settore, ha una sede proprio in queste terre, ma sono centinaia le piccole e medie imprese inserite nel mercato, e sono proprio queste che lucrano sullo sfruttamento illegale dell’immigrazione.
«Abbiamo presentato decine di denunce, ma non riusciamo a smuovere niente. E’ come se non esistessero, ma sono schiavi». Anselmo Botte, responsabile immigrazione della Cgil di Salerno, è circondato dai marocchini che appena lo vedono escono fuori dai loro rifugi, spuntano dal nulla, dai ricoveri di fortuna, da vecchie macchine parcheggiate e diventano una folla. Lo guardano in silenzio con occhi gonfi e pieni di speranza, si aspettano un permesso di soggiorno ricevuto, un lavoro in regola, insomma una buona notizia. Non oggi che il sindacalista è passato per un censimento, per sapere chi è stato portato in un cpt, chi è stato convocato in questura dopo l’abbattimento delle baracche voluto dal sindaco Ds Melchionda in onore all’ondata securitaria che percorre il paese. «Un’iniziativa assolutamente inadeguata – afferma Botte – perché crea un’emergenza nell’emergenza tra queste persone». Sono anni che la Cgil chiede al comune e alla Regione una politica di accoglienza reale e controlli dell’ispettorato al lavoro per i marocchini di Eboli, ma hanno ricevuto solo porte in faccia.
Ultimo di una serie di interventi disorganizzati e inefficaci rispetto alla drammaticità della situazione, la decisione delle istituzioni locali di investire 900 mila euro di fondi stanziati dal ministero per la solidarietà sociale in un centro-servizi per immigrati. «Una follia – denuncia Botte – qui abbiamo bisogno di alloggi e loro ci propongono sportelli informativi». Il sindacato aveva presentato quattro progetti di accoglienza, tra cui quello relativo a una serie di ostelli dove i braccianti avrebbero potuto vivere almeno in condizioni umane, invece la proposta degli amministratori è quella di creare uffici per impiegare gli italiani. Senza contare i fondi appena spesi a San Nicola Varco – il ghetto a metà strada tra Battipaglia e Eboli dove risiedono abusivamente oltre 600 marocchini, nato sulle rovine di un mercato ortofrutticolo costruito dalla Regione Campania con i miliardi dello stato a metà degli anni ’80 e mai avviato. Qui, lungo la statale 18, il comune è riuscito a spendere ad aprile 50 mila euro per costruire un solo bagno comune, con nove docce, che si è intasato dopo un mese e installare un unico faro che però non è allacciato alla corrente elettrica. Eppure nella città fantasma manca tutto, perfino l’acqua e l’elettricità nei tre casermoni in cemento armato.
Condizioni di salute precarie
La comunità maghrebina si arrangia come può, hanno due barbieri, una moschea e anche bancarelle dove si può comprare pane e patate. La Cgil ha allestito una scuola, insegnano l’italiano, ma anche le elementari norme di sicurezza sul lavoro. Medici senza frontiere presenterà a giorni un rapporto sulle condizioni di salute dei lavoratori. «I braccianti – spiega Botte – maneggiano con disinvoltura e senza nessuna precauzione gli ortaggi trattati con pesticidi letali. In tanti hanno problemi respiratori e dermatologici, ma il nostro presidio sanitario non riesce a far fronte alle esigenze». Da quasi dieci anni nel ghetto oltre ai pochi della Cgil e a un gruppo di volontari nessuno mette mai piede. «Sono il sindaco onorario di una comunità che non esiste» si sforza di ironizzare Botte, ma tra l’immondizia, le carcasse arrugginite di vecchie automobili, gli uomini che camminano in sandali tra il fango si muovono effettivamente come fantasmi. I gruppi che man mano tornano dai campi in maniche di camicia e con le galoche ai piedi, quelli caricati nelle macchine dagli italiani per il secondo turno riportano alla realtà: sono i braccianti che muovono l’economia agricola campana.
Francesca Pilla