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Cittadinanza – Un commento alle circolari che introducono disposizioni più favorevoli

a cura dell' Avv. Marco Paggi

La Legge 5 febbraio 1992, n. 91 non ha subito modifiche.
A parte questo aspetto, è comunque doveroso dire che alcune circolari del Ministero dell’Interno hanno apportato dei ritocchi all’interpretazione ed all’applicazione della legge stessa. Questo è positivo per gli aspetti toccati dalle circolari: la circolare del 7 Novembre 2007 n.22 del Dipartimento per le libertà civili e immigrazione, Direzione centrale dei diritti civili, la cittadinanza e le minoranze, che si collega a sua volta ad una precedente circolare del 5 Gennaio 2007, che aveva a sua volta introdotto alcune precisazioni destinate a condizionare la valutazione delle domande di cittadinanza da parte dei funzionari del Ministero dell’Interno.
La circolare del 5 Gennaio 2007 protocollo n. K. 60. 1, intitolata “Evoluzione di alcune linee interpretative”è stata introdotta dal Ministero dell’Interno, non semplicemente sulla base di una ideazione di nuovi criteri, ma recependo dalla giurisprudenza i criteri interpretativi più accreditati. A seguito di numerose cause intentate dai richiedenti la cittadinanza italiana verso provvedimenti che l’hanno rifiutata, la magistratura amministrativa ha avuto in più occasioni modo di elaborare ed interpretare la normativa vigente, soprattutto in riferimento ai problemi relativi la verifica del reddito dei richiedenti la cittadinanza. Questo poiché quasi sempre il provvedimento che rifiuta la domanda di cittadinanza italiana per naturalizzazione (pur essendo decorsi i 10 anni di regolare soggiorno e residenza in Italia, pur non avendo il richiedente precedenti penali o segnalazioni inerenti la sicurezza) sono stati motivati sino ora, proprio con riferimento alla mancanza di un reddito sufficiente da parte del richiedente. Questo, non solo quando il richiedente interessato era privo di un reddito minimo adeguato, ma anche quando la cittadinanza veniva richiesta, per esempio, dal coniuge non economicamente attivo, a carico dell’altro coniuge in possesso dei requisiti economici e la cui domanda di cittadinanza magari viene accolta.
Se marito e moglie chiedono entrambi la cittadinanza avendo tutti i requisiti, e solo al marito viene concessa poiché la moglie non ha reddito proprio, si pone un problema interpretativo anche rispetto ai principi generali sul diritto di famiglia.
La circolare del 5 Gennaio 2007 prende in considerazione la necessità di valutare il limite di reddito, con riferimento non solo alla posizione individuale del richiedente in senso stretto, ma in relazione al reddito dell’intero nucleo familiare.

Inoltre, secondo quanto stabilito dalla circolare, la valutazione sui redditi e sulle risorse economiche del richiedente, specie se si considera che trascorre molto tempo tra presentazione della domanda ed il momento in cui la domanda trova un riscontro dall’amministrazione (statisticamente circa 3 anni di attesa), deve essere effettuata allo stato attuale, ove si riscontri, testualmente, che il decorso sul considerevole lasso di tempo tra la data di presentazione dell’istanza e quella di perfezionamento del relativo iter richiede una valutazione attualizzata.

Altro aspetto che poi viene preso in considerazione è la valutazione della continuità della residenza legale sul territorio, attualmente è fissata in dieci anni dalla Legge 5 febbraio 1992, n. 91->455. Si fa riferimento alla possibilità di non tenere in considerazione dei brevi periodi di spostamento dal territorio italiano che di per sé non dovrebbero bloccare la pratica. Peraltro la circolare non manca di osservare che questi criteri evolutivi, o questa interpretazione più favorevole per gli stranieri, vengono prescritti agli uffici competenti al fine di riconoscere l’effettivo radicamento del cittadino straniero nel territorio e contribuire ad eliminare quel disagio sociale dell’immigrato che a volte determina risentimento nei confronti delle istituzioni.
In effetti ci sono state più volte manifestazioni di questo risentimento,da parte degli interessati che, dopo tanti anni di vita regolare in Italia, senza avere avuto nel frattempo benefici di assistenza o aiuto da parte della pubblica amministrazione, vedono poi, dopo un ulteriore tempo di attesa di molti anni, respinta la loro domanda, sulla base di motivazioni che spesso lasciano sconcertati.
Per quanto riguarda l’acquisto della cittadinanza italiana per residenza, la così detta naturalizzazione dopo 10 anni, viene data indicazione, da questa circolare, di valutare la presenza del nucleo familiare nel suo complesso, ai fini anche della determinazione del reddito necessario.
Per quanto concerne l’aspetto relativo al reddito, il parametro assunto dal Ministero dell’Interno sulla base del consolidato orientamento del Consiglio di Stato, è per il singolo individuo quello previsto dal decreto legge 382 del 25 Novembre 1989 convertito nella legge n. 8 del 1990. Praticamente è lo stesso parametro economico stabilito da questa legge per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria. Quindi, non si prende a riferimento il reddito minimo previsto dal nostro ordinamento, ossia l’assegno sociale, bensì un reddito di importo superiore corrispondente, secondo il Ministero dell’Interno, pari a circa 8mila 300euro annui. Lo straniero, prosegue la circolare, è quindi tenuto a provare la propria capacità reddituale e la regolarità dei degli obblighi fiscali dei periodi immediatamente antecedenti la presentazione dell’istanza, allegando alla stessa idonea documentazione.
La circolare non scioglie però un altro nodo che nella pratica può dar luogo ad incomprensioni e disguidi, ovvero quello per cui ci si chiede se, lo straniero che richiede oggi la concessione della cittadinanza per naturalizzazione, dovrà naturalmente produrre documentazione attestante i propri redditi da fonti lecite e le dichiarazioni dei redditi, o dovrà produrre solo la dichiarazione dei redditi dell’ultimo anno o degli ultimi anni. La documentazione da presentare a quanti anni deve essere relativa? Nella prassi attualmente vigente viene suggerita (non imposta perché non prevista dalla legge) la presentazione della dichiarazione dei redditi degli ultimi 3 anni, e qui la circolare parlando di periodi immediatamente precedenti la presentazione dell’istanza non è ben chiara. Se si considera che è prescritta una soglia minima di 8mila 300 euro l’anno è chiaro che questo non rappresenta un aspetto secondario.
Sempre con riferimento al reddito minimo previsto dalle circolari ministeriali per poter considerare ammissibile la domanda di concessione della cittadinanza italiana dopo 10 anni di residenza (e va sottolineato che si tratta di una concessione, ossia di un provvedimento discrezionale e non di un vero diritto soggettivo) la circolare prosegue sottolineando che sino a poco tempo fa non era possibile concedere la cittadinanza ad uno straniero non titolare di un reddito proprio, anche se lo stesso risultava essere a carico del coniuge e nonostante nel complesso il nucleo familiare percepisse un reddito complessivo che poteva garantire dignitose condizioni di vita.
Si tratta dell’esempio portato in precedenza. Nel caso di marito e moglie, anche se il reddito del nucleo corrisponde ai parametri previsti dalla circolare stessa, si era diffusa la prassi di rifiutare la concessione di cittadinanza al coniuge nonostante questi fosse residente in Italia da almeno 10 anni e vivesse a carico del coniuge munito di adeguate risorse di reddito, non avesse avuto un reddito proprio. L’interpretazione che si dava fino a poco tempo fa della normativa in materia di cittadinanza era quella secondo cui la cittadinanza poteva essere richiesta solo da chi produceva direttamente e personalmente reddito, non invece da chi viveva, come è normale, anche a carico dei propri familiari e congiunti.
Esemplificare, prosegue la circolare, il riferimento al reddito del singolo aspirante cittadino, non ha quindi consentito fino ad ora di concedere la cittadinanza alla donne straniere casalinghe, in quanto prive di un’attività propria come fonte di guadagno personale, anche quando le stesse risultavano a carico del coniuge titolare di un reddito tale da assicurare ampiamente il mantenimento della moglie e di eventuali altri componenti della famiglia.
Dobbiamo immaginare a questo punto che per reddito considerato adeguato si applichi una sorta di moltiplicatore della soglia minima di 8300 euro annui e che quindi in mancanza di diverse indicazioni da parte dell’amministrazione questo sia considerato il parametro da applicare per tutti i membri del nucleo familiare moltiplicando il parametro stesso per il numero di componenti del nucleo familiare.

Le mutate condizioni sociali e l’importanza di favorire il processo migratorio inducono oggi a riconoscere e a riconsiderare vicine quanto più possibile a quelle dei nostri connazionali le situazioni anche familiari degli stranieri coinvolti nel percorso di integrazione della nostra collettività. Si ritiene pertanto necessario nel rispetto al concetto di solidarietà familiare a cui sono tenuti i membri della famiglia valutare la consistenza economica dell’intero nucleo al quale l’aspirante cittadino appartiene, quando la documentazione prodotta dall’istruttoria che è stata esperita si può evincere che esistono altre risorse che concorrono a formare il reddito. In presenza di questi presupposti – cioè di risorse che possono coprire tutto il nucleo familiare indipendentemente dalla produzione personale o meno di reddito da parte del richiedente – la cittadinanza potrà essere concessa anche alle casalinghe prive di reddito proprio e verrà in questo modo garantito alle stesse di vivere in piena autonomia e consapevolezza l’essere e sentirsi italiane.
Sembra che l’ipotesi della convivenza a carico da parte del coniuge sia vista solo al femminile, non si immagina evidentemente nella circolare che può accadere anche che il marito viva a carico della moglie che lavora. Ciò nell’ambito, prosegue la circolare, di una struttura familiare alla quale partecipano in condizione di piena parità con il coniuge, a prescindere dalla titolarità di un proprio reddito.
La circolare, in buona sostanza, dice che la moglie è parificata al marito ed anche la donna o l’uomo, il coniuge che non produce reddito in proprio vivendo a carico dell’altro, ha diritto di essere considerato come titolare del reddito, o compartecipe del reddito, a livello di nucleo familiare.
Questi sono principi considerati pacifici nel nostro diritto di famiglia e che finalmente hanno trovato un’attuazione, o un riconoscimento, anche per quanto riguarda i rapporti familiari fra stranieri, che nella fattispecie sono interessati alla concessione della cittadinanza italiana.

La circolare precisa anche la necessità di attualizzare i redditi dei dichiaranti, ovvero di coloro che richiedono la cittadinanza italiana e che hanno a suo tempo documentato il reddito.
Accade spesso infatti che che la domanda venga presa in concretamente esaminata anche dopo tre anni dalla sua presentazione. Nel frattempo, visto che non vi è nulla di automatico, la documentazione inserita nel fascicolo del richiedente la cittadinanza rimane sempre quella presentata a suo tempo, quindi, la circolare prevede l’attualizzazione dei redditi dando modo al richiedente di indicare gli eventuali miglioramenti della propria posizione economica intervenuta nel frattempo. Questo è anche in linea con l’aggiornamento della pratica e quindi la valutazione anche di circostanze sopravvenute successivamente all’inoltro della domanda. Se si considera una domanda che ha un iter così lungo, tutto ciò è compatibile con le norme che regolano i procedimenti amministrativi. Naturalmente questa disposizione ministeriale che prescrive l’attualizzazione del reddito può funzionare in senso favorevole, consentendo a chi non aveva a suo tempo documentato un reddito sufficiente o ne aveva presentato uno inferiore ai parametri previsti dalla legislazione sull’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria, di dimostrare una situazione di reddito migliorata, che renderebbe quindi ammissibile la domanda di cittadinanza che al momento della presentazione poteva non essere considerata tale. Può però accadere anche l’inverso, cioè che una situazione di sopravvenuta disoccupazione rispetto al momento della presentazione della domanda, possa invece produrre un effetto negativo, consentendo, a fronte di questa attualizzazione del reddito, di respingere la domanda.

Per quanto riguarda il requisito del l’anzianità di soggiorno e residenza, poiché la Legge 5 febbraio 1992, n. 91 prevede che lo straniero possa chiedere la naturalizzazione, ovvero la concessione della cittadinanza italiana, dopo 10 anni di residenza legale, si sono spesso presentate situazioni problematiche nell’eventualità in cui lo straniero risulti avere lasciato temporaneamente il territorio italiano per esigenze varie. L’eventuale permanenza all’estero, indipendentemente dalla continuità di residenza, ovvero indipendentemente dall’aver mantenuto l’iscrizione anagrafica presso un comune italiano, o dall’aver mantenuto anche un permesso di soggiorno regolare e regolarmente rinnovato, poteva costituire, come in effetti ha costituito spesso, un ostacolo e quindi un’occasione di rifiuto.
Viene invece precisato, con la circolare del gennaio 2007 del Ministero dell’Interno, che in base a recenti pronunce giurisprudenziali eventuali assenze temporanee non dovranno essere ritenute pregiudizievoli ai fini della concessione della cittadinanza italiana, nei casi in cui l’aspirante cittadino che si sia dovuto recare all’estero abbia comunque mantenuto in Italia la propria residenza legale e quindi l’iscrizione anagrafica presso il comune oltre al permesso di soggiorno regolarmente rinnovato.
Tali periodi, determinati da necessità di studio, di lavoro, di assistenza alla famiglia di origine, o di cure mediche, dovranno essere adeguatamente comprovati con idonea documentazione che lo straniero dovrà produrre ad integrazione dell’istanza. Lo straniero non dovrà soltanto preoccuparsi, se ha già presentato a suo tempo una domanda di cittadinanza italiana e sta ancora attendendo una risposta, di integrare la documentazione relativa alle fonti di reddito per i periodi successivi alla presentazione della domanda; se nel periodo antecedente alla presentazione della domanda, o eventualmente anche in periodo successivo, vi sono stati momenti di interruzione del soggiorno in Italia, a condizione che sia stata comunque mantenuta la residenza legale ed il regolare permesso di soggiorno regolarmente rinnovato, sarà suo onere spiegare perché ha lasciato l’Italia per periodi più o meno lunghi e dare adeguata documentazione. Non sarà sempre semplice fornire, a distanza di tempo, questa documentazione, perché si parla di periodi di assenza dal territorio che sono dovuti alla necessità di assistere la famiglia di origine, di cure mediche, e non si vede come facilmente lo straniero potrebbe documentare e produrre idonea e adeguata documentazione circa la necessità di stare per alcuni mesi nel proprio paese di origine per assistere il genitore in condizione di grave malattia o di non autosufficienza. Certo è che, sarà bene per gli interessati, quelli che hanno una domanda di cittadinanza pendente o giacente, fare mente locale su questi periodi anche ricostruendoli in base ai timbri di ingresso ed uscita sul passaporto, che potrebbero essere verificati d’ufficio da parte dell’amministrazione. Quindi, per prevenire eventuali eccezioni relative all’assenza dal territorio italiano più o meno lunghe, sarà bene che si muniscano di eventuale documentazione o dichiarazioni o giustificazioni che possano spiegare il perché dell’assenza del territorio italiano e della sua durata. Questo non riguarda soltanto i richiedenti la cittadinanza italiana per naturalizzazione in generale, cioè coloro che presentano la domanda dopo 10 anni di regolare soggiorno di residenza, ma anche una particolare categoria di soggetti che in questo caso hanno un vero e proprio diritto all’acquisto della cittadinanza, cioè coloro che sono nati sul territorio italiano, figli di genitori stranieri che hanno mantenuto una residenza ed un soggiorno legali ininterrotti fino al compimento dei 18 anni di età. In questo caso la stessa Legge 5 febbraio 1992, n. 91 prevede espressamente che coloro che sono nati in Italia dopo che hanno compiuto i 18 anni e prima di compierne 19, hanno diritto di esercitare una sorta di opzione: possono chiedere al sindaco del Comune di residenza la cittadinanza italiana senza ulteriori condizioni o soprattutto senza soggiacere al rischio di una valutazione discrezionale che potrebbe dare un esito negativo. Ma questo sempre alla condizione di avere mantenuto legale soggiorno e residenza in Italia ininterrottamente fino al compimento dei 18 anni. La circolare dice che anche in questi casi l’eventuale assenza dal territorio italiano non potrà di per sé comportare il diniego della domanda di cittadinanza ma a condizione che si possano giustificare questi periodi di assenza con esigenze di famiglia, di cure mediche, oppure, come più spesso succede per i giovani, con esigenze di studio.

Un’ultima precisazione molto importante contenuta sempre nella circolare del Ministero dell’Interno del 5 gennaio 2007 è quella che riguarda i cittadini stranieri adottati da cittadini italiani. L’art 3, comma 1, della legge 91 del 1992 prevede l’acquisto automatico della cittadinanza italiana a favore dei minori adottati da cittadini italiani. Quindi, nel momento in cui si perfeziona l’adozione, l’acquisto della cittadinanza è automatico: così come sono italiani i genitori che li hanno adottati, automaticamente la cittadinanza si estende anche al figlio minorenne una volta che il provvedimento sia perfezionato. Nei fatti, ciò che spesso accadeva, visto che i procedimenti di adozione sono piuttosto lunghi, è che la pratica di adozione veniva avviata mentre il beneficiario era ancora minorenne. Tuttavia il procedimento di adozione aveva il suo compimento dopo che il diretto interessato aveva compiuto la maggiore età. Ed ecco che in questo caso si riteneva non applicabile l’automatismo previsto dalla legge 91 del 1992 perché la stessa prevede letteralmente che possono, anzi acquistano automaticamente la cittadinanza italiana, i minori adottati. L’ acquisto automatico e la trasmissione della cittadinanza potevano avvenire solo se l’adozione si perfezionava quando ancora i diretti interessati erano minorenni. Se nel frattempo erano diventati maggiorenni la risposta dell’amministrazione era “ci dispiace, per lei c’è solo la possibilità di chiedere la naturalizzazione”che però può essere richiesta solo dopo dieci anni di regolare soggiorno e residenza: non vi è quindi più un vero e proprio diritto di acquisto della cittadinanza italiana perché si tratta in questo caso di una concessione di natura discrezionale.
La precisazione per cui si deve tener conto, non tanto del momento in cui si conclude il procedimento, ma del momento in cui viene avviato lo stesso, permette se non altro di salvare buona parte di questi casi che scontano la lentezza dell’apparato giudiziario.
La sentenza di adozione di un minore straniero anche se produce i suoi effetti nei confronti di un soggetto divenuto nel corso del giudizio maggiorenne deve essere quindi considerata sentenza di adozione di minorenne con la conseguente riconducibilità alle disposizioni di cui all’articolo 3 della legge 91 del 1992 relative all’acquisto automatico della cittadinanza italiana da parte di minore straniero.
In altre parole si considera che, se il procedimento di adozione è stato avviato quando l’interessato era ancora minorenne, i benefici si producono indipendentemente dal fatto che il procedimento si concluda dopo che è diventato maggiorenne. Quindi la cittadinanza andrà riconosciuta, dice e conclude la circolare, a far data dalla sentenza di adozione in quanto riguarda effettivamente un minore adottato, ma essendo la sentenza costitutiva, non può retroagire alla data in cui è stata presentata la domanda, solo ai fini dell’acquisto della cittadinanza si considererà comunque possibile l’automatismo nell’estensione della cittadinanza, anche se è divenuto maggiorenne e anche se, presa a se stante, la sentenza produce effetti ovviamente solo dal momento in cui viene formalmente adottata.
Pur producendo effetti in un momento in cui l’interessato è divenuto maggiorenne, ai fini dell’acquisto della cittadinanza, in via automatica, finalmente il Ministero dell’Interno ha introdotto queste disposizioni interpretative che di fatto vincolano i funzionari che dovranno vagliare le singole domande di cittadinanza, che siano dei comuni o che siano del Ministero dell’Interno, ad attenersi a questi principi. I diretti interessati non si troveranno più a pagare così il ritardo dell’amministrazione. Certo, questa circolare non fornisce nessuna indicazione sulle situazioni pregresse, perciò chi si è visto rifiutare fino a poco tempo fa la cittadinanza italiana, ovvero l’estensione automatica della cittadinanza in caso di adozione, potrà oggi chiedere un riesame delle decisioni adottate dal Ministero dell’Interno o dai singoli comuni? In linea teorica un riesame può essere sempre richiesto, però non vincola l’amministrazione a dare una risposta che sia conforme alle disposizioni che oggi, d’ora in avanti, sono impartite.

Oltre alla circolare 5 gennaio 2007, è intervenuta un’ulteriore precisazione sullo stesso argomento: la circolare n. 22 del 7 novembre 2007, del Dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione, che introduce ulteriori disposizioni, utili soprattutto per i nuovi casi, perché anche qui non è dato sapere se l’amministrazione potrà uniformarsi a questi nuovi criteri anche con riferimento alle domande già esaminate dall’amministrazione stessa. La novità riguarda i ragazzi nati in Italia e ancora minorenni e quelli che sono appena divenuti maggiorenni.
Si tratta di prescrizioni in senso estensivo dal punto di vista dell’interpretazione della prassi che dovranno adottare le amministrazioni.

La legge prevede che lo straniero nato in territorio italiano che vi risiede legalmente ininterrottamente fino ai diciotto anni possa optare per la cittadinanza italiana. Questo requisito è stato interpretato in modo rigorosamente letterale. Si è verificato con una certa frequenza infatti, che stranieri nati in territorio italiano, regolarmente residenti fino alla maggiore età, al compimento del diciottesimo anno e prima di compiere diciannove, fatta richiesta di cittadinanza, ricevessero risposta negativa, con riferimento alla mancanza di uno di questi due requisiti, ovvero sia alla mancanza di una residenza anagrafica ininterrotta da zero a diciotto anni, sia alla mancanza di un permesso di soggiorno regolare ininterrottamente rinnovato da zero a diciotto anni.
Stiamo parlando quindi di questioni, di fatti, che si sono verificati nel corso di diciotto anni fa.
Se il bambino appena nato era stato tempestivamente iscritto all’anagrafe della popolazione residente e altrettanto tempestivamente inserito nel permesso di soggiorno di uno o di entrambi i genitori, certo non può essere colpa del bambino che in così tenera età non poteva né decidere né influire su questi adempimenti.
Si fa pagare ad una persona che chiede ora la cittadinanza, dopo diciotto anni, qualche eventuale errore commesso dai genitori. Eppure questo è quanto è accaduto in questi anni perché sappiamo che molti stranieri ancora oggi, ma soprattutto in passato, non avevano l’iscrizione anagrafica, si sentivano regolarmente soggiornanti ed erano convinti di aver fatto tutto quello che serviva di fronte alla legge semplicemente avendo richiesto ed ottenuto e poi regolarmente rinnovato il permesso di soggiorno. Non vi è un automatismo per cui lo straniero, nel momento in cui chiede o rinnova il permesso di soggiorno, debba anche chiedere e rinnovare l’iscrizione anagrafica, questa è una sua facoltà, ma non è un obbligo di legge e qui scontiamo purtroppo la mancanza di un adeguato coordinamento tra le diverse norme. Se è vero che il regolamento anagrafico di cui al D.P.R. n. 223 del 1990 prevede astrattamente l’obbligo d’iscrizione anagrafica da parte di tutte le persone residenti sul territorio, è anche vero che questo obbligo non viene fatto oggetto di coercizione, lo straniero, così come l’italiano, può chiedere l’iscrizione anagrafica ma se non la chiede non succede nulla, salvo in casi veramente rarissimi in cui l’autorità competente procede all’iscrizione d’ufficio. Può quindi succedere che uno straniero sia regolarmente soggiornante ma non abbia un altrettanto regolare, e soprattutto ininterrotta (da zero a diciotto anni), iscrizione all’anagrafe della popolazione residente. E’ più facile e normale che i suoi genitori si siano preoccupati di inserirlo nel permesso di soggiorno ma non è altrettanto facile e scontato che questi abbiano curato l’iscrizione all’anagrafe della popolazione residente del bambino, specie se magari loro stessi non erano iscritti all’anagrafe della popolazione residente e non lo consideravano come un adempimento obbligatorio. Questa mancanza di continuità è risultata fino a pochissimo tempo fa, cioè fino all’emanazione di questa circolare, sufficiente per rifiutare la domanda di cittadinanza.
Una sentenza del Tribunale di Torino, ormai risalente a molti anni fa, aveva adottato un’interpretazione che forse non era conforme al testo della legge ma sicuramente conforme al buon senso, dicendo che, “se lo straniero ha sempre avuto regolare soggiorno da zero a diciotto anni, anche se poi non ha sempre avuto un’iscrizione all’anagrafe, si deve intendere che ha comunque rispettato i criteri previsti dalla legge, quindi può chiedere ed optare per la cittadinanza italiana”.
Quella sentenza venne riformata quindi annullata sostanzialmente dalla Corte d’Appello di Torino che riaffermo un’interpretazione rigorosamente letterale della norma, dicendo che “non bastano diciotto anni, ovvero da zero a diciotto anni, di regolare soggiorno ma ci vogliono anche diciotto anni, da zero a diciotto, di regolare iscrizione anagrafica”. Questa interpretazione ha fino ad oggi falcidiato molti candidati alla cittadinanza, persone che, nate in Italia e sempre vissute qui, aspiravano al legittimo acquisto della cittadinanza italiana.
La circolare numero 22 del 7 novembre 2007 precisa che potrà essere anche tenuto in considerazione l’eventualità che vi siano state delle interruzioni o dei brevi periodi in cui non c’è corrispondenza fra regolare soggiorno ed ‘iscrizione anagrafica e quindi precisa la circolare alla luce delle più recenti linee interpretative si precisa che l’iscrizione anagrafica tardiva del minore presso un comune italiano potrà considerarsi non pregiudizievole ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana nel caso in cui previsto dall’articolo 4, comma 2, della legge 91 del 1992, egli intenda acquistare la cittadinanza dopo aver compiuto diciotto anni di ininterrotta presenza legale in Italia. Ma questo solo nel caso in cui vi sia documentazione atta a dimostrare l’effettiva presenza dello stesso minore nel territorio italiano.
Se per esempio da zero a sei mesi, da zero a un anno, il minore non è stato iscritto all’anagrafe da parte dei genitori che magari si sono preoccupati solo di inserirlo nel permesso di soggiorno, questo non potrà di per se precludere l’esercizio del diritto all’acquisto della cittadinanza al momento del compimento della maggiore età, nel caso in cui si possa comunque dimostrare con documentazione, (risalente però a diciotto anni fa) che dimostra in ogni caso la presenza sul territorio: per esempio, attestati di vaccinazione, certificati medici, oppure documentazione che dimostra la frequenza scolastica o l’iscrizione a asili nido o scuole materne, etc. Quindi l’iscrizione anagrafica, si precisa, nella circolare, dovrà comunque essere ragionevolmente ricollegabile al momento della nascita e quest’ultima dovrà essere stata regolarmente denunciata presso un comune italiano da almeno uno dei genitori legalmente residenti in Italia. Non si sa mai che si tratti di un nato all’estero ed entrato all’età di pochi mesi, sembra dirci la circolare, quindi va comunque verificato che sia stata denunciata in Italia la nascita e che sia stata ratificata come avvenuta; normalmente avviene in ospedale per cui l’adempimento dovrebbe essere automatico nella stragrande maggioranza dei casi.

Anche per quanto riguarda eventuali brevi interruzioni nella titolarità del permesso di soggiorno il Ministero dell’Interno mostra una qualche apertura.
Si prevede che, se vi siano dei buchi da zero a diciotto anni nella continuità di permesso di soggiorno, se quindi si verifichi che per un certo periodo non sia stato adeguatamente rinnovato, con documentazione idonea a dimostrare che comunque la persona è rimasta presente sul territorio italiano, si potrà permettere di superare questa eventuale carenza.
Il caso riguarda sempre documentazione che dovrebbe essere recuperata andando indietro di anni, spesso, sia per quanto riguarda il permesso di soggiorno, sia per quanto riguarda la residenza anagrafica, si verificano delle interruzioni che magari non sono nemmeno interruzioni sostanziali ma interruzioni puramente formali, dovute alle difficoltà, ai tristemente noti “pasticci” burocratici che condizionano sia il rinnovo del permesso di soggiorno, sia il mantenimento dell’iscrizione anagrafica. Pensiamo per esempio, e questo ha riguardato sicuramente buona parte di coloro che oggi potrebbero essere candidati alla richiesta di cittadinanza italiana, al compimento di diciotto anni e prima dei diciannove, che negli anni addietro, rispetto all’iscrizione anagrafica, molti uffici anagrafici dei comuni, non essendovi disposizioni a riguardo, provvedevano a cancellare dall’anagrafe della popolazione residente persone che erano regolarmente soggiornanti e che semplicemente dopo un anno dalla scadenza del permesso di soggiorno non erano ancora in grado di dimostrare che avevano rinnovato il permesso di soggiorno. Questo accadeva non perché non avessero richiesto tempestivamente il rinnovo del permesso di soggiorno ma semplicemente perché da un anno stavano ancora attendendo che la Questura, a causa del troppo lavoro e delle scarse risorse, desse una risposta alla domanda di cui potevano esibire un’idonea ricevuta. In molti casi le cancellazioni anagrafiche sono state addirittura prodotte in modo abusivo perché altre disposizioni ministeriali hanno precisato che in questo frattempo, se lo straniero dimostra di essersi attivato per chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno, non si può comunque disporre la cancellazione dall’anagrafe.

Le disposizioni ministeriali adottate vanno quindi considerate positivamente perché c’è un relativo miglioramento delle condizioni che consentono di esercitare il diritto d’acquisto della cittadinanza nel caso di chi è nato in Italia o comunque delle condizioni che consentono di proporre la domanda di concessione della cittadinanza per naturalizzazione dopo dieci anni. Anche se, per produrre questo piccolo spostamento nel senso unicamente del buon senso, c’è voluto del tempo e soprattutto un corposo contenzioso giudiziario che ha alla fine indotto l’amministrazione ad aderire a quella che la magistratura ritiene essere l’interpretazione corretta della legislazione vigente.