Per la libertà di movimento, per i diritti di cittadinanza

Sentenza del Consiglio di Stato n. 2347 del 26 maggio 2008

In materia di tutela dei minori extracomunitari

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente

DECISIONE

sul ricorso in appello n. 4679/2003, proposto da:
-Ministero dell’interno, in persona del Ministro in carica, e Questura di Firenze, in persona del Questore in carica, entrambi rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato, domiciliataria per legge in via dei Portoghesi n. 12, Roma, appellante;
contro
-K. K., non costituito in giudizio, appellato;
per annullamento e/o riforma,
della sentenza breve del T.a.r. Toscana Sez. I, n. 523/2002, resa inter partes e concernente il decreto n. 1244/2001 del Questore di Firenze, recante il diniego di un nuovo permesso di soggiorno per lavoro, già rilasciato a minore in quanto affidato dal giudice tutelare (in base alle norme del codice civile) e poi divenuto maggiorenne.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati.
Visti gli atti tutti della causa.
Relatore, alla pubblica udienza del 4 marzo 2008, il Consigliere Aldo SCOLA.
Udito, per la p.a. appellante, l’avvocato dello Stato Maria Luisa Spina.
Ritenuto e considerato in fatto ed in diritto quanto segue:

FATTO

K. K. impugnava quanto in epigrafe dinanzi al T.a.r. Toscana il decreto con il quale il Questore di Firenze aveva respinto la sua richiesta di permesso di soggiorno per lavoro, quale cittadino straniero divenuto maggiorenne, cui era stato rilasciato un permesso di soggiorno per “affidamento” in quanto minore, giusta decreto di nomina del tutore emesso dal giudice tutelare di Empoli il 27 luglio 2000;
avverso tale decreto venivano dedotti diversi motivi di censura ed, in particolare, la violazione dell’art. 32, d.lgs. n. 268/1998;
Si costituiva in giudizio la p.a. intimata, opponendosi al ricorso e chiedendone il rigetto.
Il ricorso veniva poi accolto con sentenza breve, prontamente impugnata dalla p.a. soccombente in prime cure per errore di giudizio, in relazione alla ritenuta equipollenza tra “tutela civile” ed “affidamento ad ente pubblico”, di cui alla pronuncia dei primi giudici, essendosi tratte conclusioni difformi da quelle razionalmente ricollegabili alle premesse accertate.
All’esito della pubblica udienza di discussione la vertenza passava in decisione sulle sole conclusioni della p.a. appellante, non essendosi costituito in giudizio l’appellato.

DIRITTO

Prima di affrontare il merito del presente ricorso, appare opportuno delineare brevemente i principi cui si è ispirato il legislatore nel disciplinare l’ingresso e il soggiorno dei cittadini extracomunitari in Italia, in particolare con la legge 6 marzo 1998 n. 40.
Va, innanzitutto, rilevato che la scelta è stata quella di individuare una strada intermedia tra l’apertura incondizionata al flusso migratorio e la chiusura totale, sulla scia di quanto è avvenuto nel corso della storia in quasi tutti i Paesi democratici.
La normativa italiana si ispira conseguentemente al principio del cosiddetto flusso regolato, tendente cioè ad ammettere l’ingresso e il soggiorno degli stranieri nel limite di un numero massimo accoglibile, tale da assicurare loro un adeguato lavoro, mezzi idonei di sostentamento, in una parola un livello minimo di dignità e di diritti, e tra questi, quelli alla casa ed allo studio.
Quale corollario alla decisione di porre un limite all’ingresso dei cittadini extracomunitari, si pone l’obbligo di espulsione per quelli che non sono in regola, sia in relazione all’ingresso, sia al soggiorno.
Due sono i limiti esterni all’impostazione sopra esposta: uno è dato dalle ragioni di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato, per cui, quando sono in gioco tali valori, uno straniero può sempre essere espulso, anche ove si trovi regolarmente in Italia.
L’altro limite, questa volta di segno opposto, è dato da particolari esigenze umanitarie, che consentono una deroga alle norme sull’ingresso; si tratta, infatti, di dare priorità ai principi dei diritti dell’uomo fatti propri dalla Costituzione ed introdotti nell’ordinamento italiano con la ratifica di numerosi accordi internazionali.
Viene in rilievo, in particolare, la tutela della famiglia e dei minori (donde le deroghe all’ingresso per favorire il ricongiungimento familiare), di coloro che si trovano in particolari situazioni di difficoltà (per cui si concede l’asilo per straordinari motivi umanitari, come è avvenuto per gli sfollati dalla ex Jugoslavia), fino a giungere, in caso di persecuzioni dovute a ragioni etniche, religiose o politiche, alla concessione dello status di rifugiato politico.
E’ evidente quindi che, come affermato dalla Corte costituzionale (sentenza 21 novembre 1997 n. 353), le ragioni della solidarietà umana non possono essere sancite al di fuori di un bilanciamento dei valori in gioco: tra questi, vi sono indubbiamente la difesa dei diritti umani, la tutela dei perseguitati ed il diritto di asilo, ma altresì, di non minore rilevanza, il presidio delle frontiere (nazionali e comunitarie), la tutela della sicurezza interna del Paese, la lotta alla criminalità, lo stesso principio di legalità, per cui chi rispetta la legge non può trovarsi in una posizione deteriore rispetto a chi la elude.
Il bilanciamento dei vari interessi in gioco è stato effettuato dal legislatore, che ha graduato le varie situazioni: in alcuni casi, ad esempio, ha disposto l’espulsione dello straniero in via quasi automatica, al semplice verificarsi di determinati presupposti, mentre, in altri, ha ammesso una certa discrezionalità in capo all’amministrazione, nella valutazione e ponderazione dei fatti.
Naturalmente, anche nell’applicazione della normativa sui cittadini extracomunitari trovano ingresso i principi generali dell’ordinamento, in specie quelli regolanti l’attività della p.a., tra cui basterà menzionare quello relativo all’obbligo della motivazione dell’atto amministrativo (più attenuato qualora si tratti di un atto dovuto, più stringente qualora la discrezionalità dell’amministrazione sia più estesa), quello dell’economicità dell’azione amministrativa, per cui determinate irregolarità si considerano sanate qualora l’atto abbia raggiunto il suo scopo, ed infine la potestà dell’amministrazione di revocare in ogni tempo un atto amministrativo ad effetti permanenti, qualora vengano meno i presupposti per la sua concessione.
Nella specie, in ordine al profilo riguardante la posizione giuridica rivestita dal ricorrente, in quanto minore alla data di rilascio del primo permesso di soggiorno, le argomentazioni della p.a. risultano viziate per la palese erronea interpretazione e, quindi, violazione dell’art. 32, d.lgs. n. 286/1998, di nessun rilievo giuridico dimostrandosi il richiamo alla circolare ministeriale 13 novembre 2000 n. 300/c/2000/785/P/12.229.28/I Div., dato che una circolare di natura interpretativa non è vincolante per il giudice, tenuto ad interpretare ed applicare la legge, donde l’irrilevanza anche dell’impugnazione della circolare medesima, del tutto priva di carattere provvedimentale.
E’ chiaro, infatti, che l’art. 32, d.lgs. n. 286/1998 trova applicazione anche in favore dei minori stranieri che abbiano ottenuto dal competente Tribunale civile un provvedimento di affidamento al tutore appositamente nominato, risultando dagli atti che il provvedimento di affidamento era stato emesso a termini del codice civile a seguito dell’intervento dei servizi sociali; al che deve solo aggiungersi come la fattispecie delineata dall’art. 2, legge 4 maggio 1983 n. 184, richiamato dall’art. 32, d.lgs. n. 286/1998, intenda proteggere in via generale la posizione dei minori comunque privi temporaneamente di un ambiente familiare idoneo, prevedendo espressamente l’affidamento anche ad una persona singola che sia in grado di assicurargli il mantenimento, l’educazione e l’istruzione.
In varie occasioni il collegio ha ritenuto che l’art. 32, d.lgs. n. 286/1998, nell’uso della locuzione “e ai minori comunque affidati ai sensi dell’art. 2 della legge 4 maggio 1983 n. 184” evidenzia la ratio propria di una norma di chiusura di carattere onnicomprensivo, sottolineata dall’uso dell’avverbio “comunque”, coerente con i principi di uguaglianza, di tutela dei minori e di buon andamento fissati dagli artt. 3, 31 e 97, Cost., ai quali deve ispirarsi il giudice in sede ermeneutica, apparendo incoerente sul piano interpretativo una diversa disciplina, che faccia esclusivo riferimento alla posizione di “minore non accompagnato” ed al diverso titolo di rilascio “per minore età” del permesso di soggiorno, non sussistendo sul piano degli effetti giuridici alcuna apprezzabile differenza fra la posizione del minore non accompagnato affidato ad un tutore con provvedimento del giudice tutelare (come nel caso di specie) ed il minore destinatario del provvedimento di affidamento emesso dal Tribunale per i minorenni ex artt. 2 e 4, legge 184/1983, avuto riguardo tra l’altro al medesimo ruolo svolto dai servizi sociali ed agli obblighi derivanti dagli artt. 343 e 371, c.c..
D’altra parte, quanto alle determinazioni di competenza del Comitato per i minori stranieri, la mancata pronuncia di tale organo non può operare a danno della posizione del soggetto in favore del quale l’intervento del medesimo organo è previsto né può legittimare l’autorità di pubblica sicurezza a sostituirsi al Comitato stesso, tanto più che, nella specie, non risulta che il Comitato abbia predisposto ed adottato le misure previste dall’art. 2, comma 2, lett. g), d.p.c.m. 9 dicembre 1999 n. 535, ai fini del suo rimpatrio, mentre, quanto ai presupposti di diritto per l’instaurazione di un rapporto lavorativo (cui in via prodromica è finalizzato il rilascio del permesso di soggiorno), l’art. 32, d.lgs. n. 286/1998 espressamente prescinde dal possesso dei requisiti stabiliti dal precedente art. 23 e, quindi, dall’autorizzazione della competente Direzione provinciale del lavoro.
L’appello va, dunque, respinto, con salvezza dell’impugnata sentenza, mentre le spese del secondo grado di giudizio possono integralmente compensarsi per giusti motivi tra le parti in causa, tenuto anche conto del loro reciproco impegno difensivo e della natura della vertenza.

P. Q. M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta,
-respinge l’appello;
-compensa spese ed onorari del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Roma, Palazzo Spada, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, nella camera di consiglio del 4 marzo 2008, con l’intervento dei signori magistrati:
Claudio Varrone – Presidente
Carmine Volpe – Consigliere
Paolo Buonvino – Consigliere
Domenico Cafini – Consigliere
Aldo Scola – Consigliere rel. est.

PRESIDENTE
Claudio Varrone

CONSIGLIERE EST.
Aldo Scola

SEGRETARIO
Glauco Simonini