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Lavoro – Se il datore di lavoro licenzia illecitamente per assenza ingiustificata

a cura dell'Avv. Marco Paggi

La crisi colpisce inevitabilmente in maggior modo i lavoratori migranti che spesso ricoprono le fasce più precarie del mercato del lavoro e quindi perdono in maggior percentuale rispetto agli italiani il posto di lavoro.
All’ordine del giorno vi sono veri e propri licenziamenti, mancato rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato, cessazione della chiamata da parte delle cosiddette agenzie interinali. Ma una pratica diffusa è anche quella dei licenziamenti mascherati da motivi di assenza ingiustificata. Si tratta di un caso trattato anche da un recente articolo di Fabrizio Gatti pubblicato sul settimanale L’Espresso del 2 marzo 2009.
L’espediente è quello utilizzato dal datore di lavoro che, anziché licenziare e quindi esporsi al rischio di una vertenza per licenziamento ingiustificato, convince il lavoratore – ancora regolarmente assunto – a rimanere a casa perché, dice, “in questo momento non c’è lavoro”. Il caso riguarda moltissimi lavoratori anche italiani, ma la conoscenza limitata della normativa e dei propri diritti, spesso, fanno si che i lavoratori più colpiti da questo tipo di strategia siano proprio i migranti.

Il lavoratore, davanti alla richiesta di presentarsi in data futura per mancanza di lavoro, ritiene spesso la richiesta plausibile, vista la crisi economica, accetta l’idea che possa esservi una mancanza temporanea di lavoro e quindi di attendere di riprendere l’attività nel più breve tempo possibile, confidando soprattutto nelle rassicurazioni offerte dal datore di lavoro che spesso rassicura il lavoratore sul fatto che si tratta di un breve periodo e che presto verrà richiamato.

La sorpresa? Accade spesso che, dopo aver atteso qualche tempo ed essersi riattivato per avere notizie sulla possibilità di riprendere a lavorare, il lavoratore scopre di essere stato nel frattempo licenziato per assenza ingiustificata dal lavoro.
Come è noto infatti la quasi totalità dei Contratti Collettivi Nazionali prevedono espressamente che, nel caso di assenza ingiustificata dal lavoro per tre giorni consecutivi, il datore di lavoro può licenziare per motivi disciplinari il lavoratore. Questo licenziamento è quindi di per sé legittimo, a meno di non poter dimostrare il contrario.

Molto spesso il lavoratore viene messo in ferie anche per un lungo periodo per poi essere ricollocato nel suo posto di lavoro, oppure viene messo in aspettativa, sospeso cioè per mancanza di lavoro. Altrettanto spesso il lavoratore personalizza la relazione lavorativa e quindi si basa su ciò che gli viene detto dal datore di lavoro, confidando di non essere ingannato. Il lavoratore, senza avere nessuna prova documentata, aspetta quindi fiducioso e non si presenta al posto di lavoro. Nella pratica vi saranno molti casi in cui non vi è inganno, quindi, quando il lavoro riprende, il lavoratore viene richiamato per riprendere il suo posto. Ma succede anche, sempre più spesso, che i datori di lavoro furbi ritengono di adottare una soluzione illecita per cessare il rapporto di lavoro, magari addebitando al lavoratore assenze che possono anche produrre delle trattenute nella busta paga e quindi che possono essere pagate meno di quello che i lavoratori hanno come spettanze retributive.

L’espediente è questo: si dice al lavoratore ”stai a casa verrai richiamato”. La raccomandata con ricevuta di ritorno con la quale poi gli si contesta l’assenza ingiustificata verrà recapitata dopo i tre giorni utili per contestarla (sono sufficienti tre giorni di assenza consecutivi dal lavoro per essere licenziati per giusta causa), formalmente quindi l’assenza ingiustificata si sarà già prodotta ed il lavoratore non potrà dimostrare di essere stato indotto dal datore di lavoro a rimanere a casa o a non presentarsi al lavoro. Dal punto di vista strettamente formale o legale il lavoratore non riuscirà a difendersi efficacemente, a dimostrare di essere stato furbescamente licenziato.
Quindi, se il lavoratore non ha una dichiarazione dal datore di lavoro che lo colloca formalmente in aspettativa, o che gli comunica formalmente la sospensione dal lavoro, o che gli comunica che è in ferie da un certo giorno fino ad una certa data, corre il rischio di vedersi contestare un’assenza ingiustificata dal lavoro che si è già concretizzata e rispetto alla quale non c’è larga possibilità di difesa per dimostrare il contrario, a meno che non si verifichi, come è già capitato, che il lavoratore possa portare come testimoni dei colleghi di lavoro in grado di dichiarare che è stato il datore di lavoro a chiedere al lavoratore di non presentarsi, o a comunicargli di essere stato messo in ferie fino ad una determinata data e quindi a dimostrare la strumentalità dell’assenza ingiustificata.

Questi casi sono sempre più spesso frequenti. Diamo quindi alcune indicazioni per i lavoratori nel caso in cui ci sia il motivo di temere che il datore di lavoro approfitti dell’assenza del lavoratore per inventare un’assenza ingiustificata:
– è sempre opportuno avere una dichiarazione su carta intestata della ditta, firmata dal datore di lavoro, dove si comunica la sospensione dal lavoro o la collocazione in ferie con l’esatta data di inizio e data finale del periodo;
– se il datore di lavoro pretende che il lavoratore si accontenti solo delle sue rassicurazioni verbali e si rifiuta di consegnare una dichiarazione scritta, sarà opportuno che il lavoratore, tempestivamente, prima di correre il rischio di maturare tre giorno consecutivi di assenza dal lavoro, invii una raccomandata con ricevuta di ritorno per comunicare che prende atto della decisione del datore di lavoro che gli chiede, per esempio, di non presentarsi al lavoro per qualche giorno, o di stare in ferie per un certo periodo, chiedendo la conferma scritta di questa dichiarazione e soprattutto dichiari di essere disponibile da subito a riprendere il lavoro (offerta di prestazione).

C’è un altro aspetto da tenere in considerazione: sospendendo unilateralmente la prestazione lavorativa, si cessa, in quel periodo corrispondente, di erogare la retribuzione. In realtà un lavoratore, quando firma un contratto di lavoro, si mette a disposizione all’interno di quell’orario di lavoro e quindi garantisce al datore di lavoro la disponibilità delle sue energie e risorse lavorative. Il datore di lavoro gli garantisce di poter confidare nella maturazione di una retribuzione minima che è regolata dai contratti collettivi di lavoro. Se il datore di lavoro unilateralmente sospende la prestazione lavorativa non vuol dire che altrettanto automaticamente si sospenda il diritto del lavoratore di percepire, per quel periodo, la retribuzione.
Per prudenza, come sempre, è opportuno inviare una raccomandata al datore di lavoro in cui si sottolinea il carattere unilaterale della sospensione, determinata quindi dal datore di lavoro verbalmente, ed in cui si sottolinea la disponibilità a proseguire la prestazione lavorativa e quindi all’immediata ripresa del lavoro. Inoltre è opportuno rivendicare il pagamento delle spettanze lavorative anche nel periodo in cui, di fatto, si è attuata una unilaterale sospensione dal lavoro.

Abbiamo voluto dare queste istruzioni per l’uso, che in realtà sono valide tanto per i cittadini italiani che per quelli stranieri, comunitari o extracomunitari, proprio perché si sta intensificando il ricorso a questi espedienti da parte di datori di lavoro che, con la scusa della crisi, stanno ponendo in essere degli atti illeciti che probabilmente avrebbero utilizzato lo stesso, crisi o non crisi.